27.03.2024 Antonio Castaldo

Ettore Majorana, il fisico che anticipò la storia e poi sparì

Sulla scomparsa dello scienziato è nato un giallo. Precorse i tempi, alcune sue equazioni sono ancora oggi oggetto di ricerca

Tra i ragazzi di via Panisperna, Ettore Majorana era l’unico ad avere le stimmate del genio. Enrico Fermi lo paragonava a giganti del calibro di Galilei e Newton, ponendo se stesso e gli altri suoi allievi su un gradino più basso. Nato a Catania nel 1906 da una delle famiglie più in vista della città, annoverava tra gli zii docenti universitari e scienziati. Talento precoce, bruciò le tappe della carriera universitaria alla Sapienza , trasferendosi dalla facoltà di Ingegneria a quella di Fisica. Passando ad occuparsi di questioni teoriche, riuscì a sprigionare le sue notevoli capacità intellettuali. Finì nell’Istituto di Fisica teorica guidato dal futuro premio Nobel Fermi. E lì si affermò rapidamente come uno dei ricercatori più dotati del gruppo. Secondo più di una fonte, riuscì ad anticipare di un anno la teoria del nucleo atomico fatto di protoni e neutroni, appuntando calcoli ed equazioni su un pacchetto di Macedonia senza filtro, che poi buttò via.

Ebbe in sostanza la stessa idea di Werner Heisenberg a proposito delle cosiddette “forze di scambio”, ma preferì non divulgarla, ritenendo che fosse incompleta. In realtà molte delle scoperte compiute dal giovane fisico nei primi anni ’30 a proposito delle componenti del nucleo e delle forze che le tengono insieme, sono ancora oggi oggetto di studio e di dibattito.

Proprio in virtù di queste straordinarie capacità, e visto che aveva cominciato a trattare i medesimi argomenti, Fermi lo inviò nel 1933 a Lipsia, dove lavorava lo stesso Heisenberg. Il grande fisico tedesco, che divenne poi capofila della corsa tedesca all’atomica (l’equivalente di Oppenheimer in campo nazista), elogiò pubblicamente uno studio del giovane collega italiano, con il quale ebbe numerosi scambi.

Nel 1934 Majorana tornò in Italia, ma si isolò e inutilmente i suoi amici provarono a farlo tornare in Istituto. Si rifece vivo solo nel 1937, quando presentò la sua candidatura per la cattedra di fisica teorica a Roma. Quel posto era destinato al figlio del ministro, Giovanni Gentile, che per sbrogliare la matassa gli conferì un incarico per “chiara fama” alla Federico II di Napoli.

Nei primi tre mesi del ’38 il solitario Majorana tenne lezioni e riunioni nell’istituto di Fisica partenopeo. Poi, il 25 marzo, inviò due lettere: al direttore di dipartimento Carrelli e alla famiglia, che viveva a Roma, lasciando presagire un gesto estremo. Quindi s’imbarcò alla volta di Palermo. Arrivato in Sicilia, e preso possesso di una stanza al Grand Hotel Sole, dettò frettolosamente un telegramma a Carrelli: “Spero che questo telegramma sia arrivato prima della mia lettera. Il mare mi ha rifiutato…”

Sarebbe quindi tornato indietro. Ci sono prove della sua presenza sul piroscafo Tirrenia diretto a Napoli, ma poche o nessuna certezza che sia effettivamente sbarcato all’alba del 27. Da allora del professore Ettore Majorana, di anni 31, non si sono più avute notizie certe, ma solo ipotesi e ricostruzioni più o meno fantasiose.

Nel suo “La scomparsa Majorana” Sciascia sposò la tesi del ritiro in convento, motivato dall’intuizione che la strada intrapresa dalla comunità mondiale dei fisici avrebbe portato dritti a un evento catastrofico, come poi è accaduto. Il fisico Edoardo Amaldi, amico e biografo di Majorana, la definì «una fantasia priva di fondamento». Il grande scrittore agrigentino si rammaricò che non fosse stata colta la sua provocazione su un tema più grande, che contrappone scienza e umanità.