Il capitalismo delle piattaforme. Il rischio della bolla dei servizi a domicilio

Di Marco Proietti

La chiameranno l’Era dei corrieri digitali. Ma è veramente un’innovazione oppure è un retaggio più antico? 

30 giugno 2021

Sicuramente di “nuovo” c’è ben poco in quanto in primo luogo, e se si toglie la funzione delle piattaforme per l’organizzazione del sistema degli ordini online, i corrieri continuano ad essere concretamente esseri umani che sfidano ogni condizione atmosferica per consegnare un panino: non lo è, in secondo luogo, perché non è figlio del digitale l’utilizzo delle consegne a domicilio, risalendo ad epoche molto indietro nel tempo, quando a fatica si poteva avere accesso perfino alla corrente elettrica.

Purtuttavia, vi è stata una impressionante esplosione negli ultimi 2-3 anni, e con la pandemia si è avuto un “boost” eccezionale.

Si parta da un dato di fatto: l’evoluzione tecnologica, l’implementazione di smartphone, social network e l’utilizzo di Big Data anche per la statistica dei consumi, ha contribuito a cambiare la faccia degli acquisti, di ogni genere, stante la indiscutibile comodità di poter ordinare qualunque cosa stando tranquillamente seduti sulla propria poltrona di casa, senza nemmeno avere il problema di dover accendere un personal computer (bastando qualche passaggio sul proprio cellulare). Le forme di consegna a domicilio degli acquisti online stanno vivendo la loro età più felice, complice sicuramente un certo entusiasmo verso l’utilizzo di quelle app che hanno reso sostanzialmente tutto fruibile all’istante: alimenti, bevande e farmaci da banco, ma anche scarpe, vestiti, oggettistica varia, strumenti da lavoro e per lo sport, tutto è acquistabile online, e chiunque può godere di quell’intimo piacere della fruizione immediata e illimitata.

Tutto questo ha comportato una contaminazione nel modo di concepire il lavoro, la retribuzione, nonché il consumo dei beni. Certamente, non si scopre ora quella particolare accelerazione impressa dalle tecnologie digitali: l’utilizzo di gps e app per il controllo a distanza, l’evoluzione dell’algoritmo quale datore di lavoro 4.0, l’utilizzo di sistemi automatizzati in sostituzione del lavoro dell’Uomo. Nulla che non sia più che noto, soprattutto in ragione delle considerazioni svolte in passato proprio in questa sede.

Ciò premesso, e da qualche tempo, sia nelle analisi di politica economica che in quelle di politica del diritto, si guarda con particolare attenzione all’evoluzione delle app per gli acquisti online, in gergo “delivery”, e come le stesse potrebbero essere frutto di una bolla destinata a scoppiare per una serie di ragioni.

In primo luogo, le ragioni di tipo economico.

Il Covid ha falsato alcuni dati delle aziende/piattaforme che operano sul mercato delivery e che sono sistematicamente in crescita ma strutturalmente con un bilancio economico in rosso. Strano a dirsi, ma è il dato incontrovertibile. Guardando il bilancio di società come Uber Eats, Glovo, Just Eat o Deliveroo (le più note) si potrà apprendere, non senza stupore, che l’aumento degli introiti del 2020 non ha portato a guadagni netti ma solo ad una minima riduzione delle perdite, tanto che nessuna delle aziende citate ha dichiarato di aver raggiunto quello che nel neologismo economico è chiamato “break even” ovvero il punto a partire dal quale si torna in attivo.

In questo senso la pandemia ha nei fatti alterato il mercato, e queste aziende si sono “gonfiate” ma sono paradossalmente instabili ed economicamente fragili.

In un interessante articolo del 3 giugno scorso, per il quotidiano Avvenire, Franco Becchis – economista – ha riportato proprio questa drammatica situazione: “Secondo un’altra teoria, che ancora non ha studi analitici a confermarla, i fondi di venture capital e private equity che finanziano queste aziende non puntano davvero alla redditività, ma solo a fare arrivare il valore delle azioni a livelli soddisfacenti. Quando ci riescono si liberano dei titoli, quotano la startup in Borsa ed escono dal business. Se i fondi avevano ragione, l’azienda si sgonfia”.

Allora è il caso di dire che “è solo questione di business” citando Gordon Gekko quando si rivolge al suo pupillo Buddy Fox, e cosi sembra anche per il destino del delivery.

In secondo luogo, le ragioni di tipo giuridico o gius-lavoristico.

I ciclo fattorini sono oramai argomento degli incontri sindacali e delle conversazioni giuridiche di vario rango: stipendi bassi, orari impossibili, condizioni lavorative al limite. Tutto questo è ciò che consente alle piattaforme di avere dei margini di incasso, poiché diversamente il costo del lavoro sarebbe talmente elevato da non permettere l’utilizzo sistematico di migliaia di lavoratori.

Ma la disciplina sul lavoro dei c.d. “riders” si sta evolvendo e a breve si avranno delle indicazioni più chiare su vari punti: se si tratta di subordinati o meno, quale è il livello di retribuzione spettante (magari anche con la previsione di un contratto collettivo), la gestione del rapporto di lavoro per quel che attiene ferie, malattia e quanto altro.

Dunque, è lecito ritenere che l’adeguamento delle condizioni lavorative al livello degli altri settori porterà una riduzione dell’appetibilità per questi servizi. Qualcosa di simile lo si è visto che con le compagnie aeree low cost, ora divenute sostanzialmente identiche alle compagnie di bandiera per quel che attiene ai costi di viaggio, su una buona parte delle tratte.

Infine, ragioni comuni o di tipo sociale.

Il cliente ha sempre ragione, verrebbe da dire, ma in questo caso è una mantra sacrosanto. Perché se il cliente non è soddisfatto non torna ad acquistare, e la mancanza di interazioni umane finisce per minare le fondamenta di quella fidelizzazione indiscutibilmente essenziale per consentire ad una società X oppure Y di conquistarsi una fetta di mercato; la tipologia del consumatore medio che utilizza queste app è costituito da una fascia di persone che in nessun modo si lega alla piattaforma: incerti, insicuri, fruitori seriali e con gusti sempre incerti o dediti al veloce cambiamento. Su queste basi non si crea una platea di clienti sicuri, e dunque ne risente l’intero sistema economico dell’azienda di consegna a domicilio.

Chi si è rivolto al delivery durante questo ultimo periodo lo ha fatto, per lo più, spinto da ragioni di emergenza, dalla solitudine imposta e forse anche dalla necessità di premiarsi con l’acquisto anche quando inutile, per il solo gusto di interagire con il mondo circostante.

L’uscita dalla pandemia farà il resto. Non sparirà l’acquisto tramite corriere – visto che esiste fin dalla notte dei tempi – ma verrà progressivamente ridimensionato in ragione di una società che, intanto, è nuovamente cambiata intorno.