Che fare se l'individuo diventa un codice a barre

Di Giancarlo Giorgetti

11 settembre 2019

La forma nuova della volontà di potenza agisce in un inedito scenario binario: quello dell’e-commerce e quello dell’intelligenza artificiale. Carl von Clausewitz, lo stratega e teorico del conflitto, oggi non scriverebbe in tema di cannoni e divisioni militari. Nell’attuale epoca della tecnica compiuta, infatti, la prosecuzione della politica con altre armi, con l’autore di “Vom Kriege” (1832) avrebbe ben altra operatività belligerante.

Dunque non trincee, baionette e ordini di servizio nell’illimitato spazio d’impiego globale, bensì disintermediazione, decentralizzazione, cloud, IoT (Internet of Things), biotecnologie e big data. Sono le locuzioni indicative dei cambiamenti profondi, generati da invenzioni di assoluta novità e dalle spallate inferte da imprenditori visionari allo status quo di prodotti e servizi già esistenti. Certo permane anche la competizione in chiave strettamente militare. La stazione spaziale militare di Donald Trump richiama alla mente il caso di successo strategico dello scudo spaziale di Ronald Reagan.

La guerra, che è l’atto totale affinché il nemico esegua l’imposizione di una costrizione strategica, si rinnova oggi nella pluralità magmatica degli utenti, che sono – nel dispiegarsi del web – indistintamente clienti e venditori. Alla chiamata alle armi, e di quanto viene tatticamente loro offerto, rispondono volentieri per semplificarsi la vita o per renderla (anche nella referenzialità della propria esistenza) più interessante, capitolando così alla più efficace tra le tecniche di dominio.

Tutti vogliono arrivare prima degli altri come nella più classica delle strategie di egemonia politica. Ma questa guerra che si muove tra materiale e immateriale – tra l’invisibilità del codice che forgia il software e il corpo del dispositivo su cui il programma gira – nell’innovazione che stravolge le cose, con le sovranità dei singoli Stati privi di norme adatte, invade come un fiume in piena gli spazi sociali. Non trincee, quindi, bensì disintermediazione.

Amazon mette direttamente in contatto venditore e acquirente. Apple non utilizza le classiche catene di elettrodomestici ma ha creato un ambiente chiuso, proprietario, fortemente connotativo di visione, ovvero Weltanschauung (chi possiede una “cosalità” qualunque di Apple sente di distinguersi). Airbnb e tutte le piattaforme per valutare, comprare e gestire un viaggio in autonomia hanno fatto dimenticare le

agenzie viaggio, un luogo del modernariato che un adolescente oggi non sa neppure cosa sia. Non, allora, gli ordini di servizio, ma app per la pubblica amministrazione, per i servizi bancari, per la mobilità. Non i bollettini redatti dalle furerie dell’organizzazione burocratica, ma la totale Mobilmachung – la nuova mobilitazione delle masse – che si attua per tramite della disintermediazione politica, con gli eletti che parlano direttamente al cittadino.

La propagazione della volontà di potenza non è mai “l’opera di un istante” e nella nostra epoca procede appunto verso lo sgretolamento strutturale della “catena di fornitura”, della filiera industriale e sociale destinata alla decentralizzazione. Internet è già piuttosto decentralizzato. Non ha un centro, non ha un potere che lo governi (non uno solo, almeno). Su internet si producono mole di informazioni e di dati tali da poter continuare solo a generare complessità e grandi difficoltà in chi tenta una gestione univoca,

unilaterale, tradizionale. La decentralizzazione è alla base delle cripto valute con la tecnologia della blockchain.

Ma si potranno decentralizzare strutture aziendali, politiche, associazionistiche. Il potere sarà nelle mani di nessuno – questa è la suggestione –, le decisioni saranno prese direttamente attraverso regole chiare di partecipazione e protocolli di sicurezza di alto livello. Sarà forse questa la nuova utopia? Non più l’agone dove radunare uomini, mezzi e materiali. Piuttosto, cloud.

Dati personali e sensibili, dati professionali, dati di comportamento d’acquisto, programmi, ogni cosa e sempre più “robe” sono custoditi e inevitabilmente controllati da qualche parte nelle server farm o nei data center. La nostra vita digitale, che difatti attraversa senza scampo il nostro stesso esserci, è depositata in luoghi che non conosciamo. Ed è protetta – questa nostra vita virtuale – con sistemi e norme che non manovriamo.

Non armi da fuoco, dunque, ma internet delle cose. Gli oggetti finora silenziosi e senza intelligenza sono vettori della connessione, che diventano smart objects in grado di localizzare, sviluppare calcoli, elaborare dati e fornire informazioni in vista di potenziare sempre più la propria funzione. Esempi sono i dispositivi medici che raccolgono dati sulla salute e sulla nostra vita quotidiana, i processi produttivi industriali e la manutenzione predittiva (un beneficio tra i tanti).

Non più il genio militare, infine, ma l’intelligenza artificiale. Fatto salvo l’agguato dell’imponderabile se un evento come quello di Carrington nel 1859, la più potente tempesta solare mai registrata, non provocasse oggi – come ieri, per oltre 14 ore, l’interruzione delle linee telegrafiche negli Stati Uniti – un collasso ai sistemi interconnessi.

È storia di un altro mondo, oggi è l’era dei cloud e gli investimenti degli Stati per la ricerca sull’intelligenza artificiale si muovono su ordini impressionanti. La tecnologia non progredisce solo sulla base dell’entità del denaro destinato alla ricerca e allo sviluppo, ma anche assicurandosi il capitale umano che se ne occupa.

Attrazione e mantenimento dei talenti rinnova i codici militari di reclutamento e addestramento. Gli americani, con le università tecnologiche e con le grandi aziende del digitale, sono all’avanguardia. La Cina, intanto, si mobilita nella prospettiva di sopravanzare gli Stati Uniti d’America e il caso Huawei è ormai letteratura. Se si minaccia la Cina di non fornire tecnologia e sistemi operativi, il paese asiatico potrebbe rispondere non fornendo le terre rare, materiale fondamentale per la produzione di computer, tablet, smartphone. Agli Stati Uniti le terre rare arrivano per l’80% proprio dalla Cina. Altri fornitori ma di volumi molto più bassi potrebbero essere Australia e Caucaso asiatico d’influenza russa. The Great Game, ossia il grande gioco nell’attuazione dell’egemonia globale, si aggiorna seguendo il codice di questa inedita operatività belligerante.

A preoccuparsi, tra gli altri, sono Peter Thiel, Elon Musk, Bill Gates e Stephen Hawking. Ci si pone il tema del cosiddetto Existential Risk attribuito a possibili negativi sviluppi delle biotecnologie come dell’intelligenza artificiale, e studiato da centri quali il Future of Life Institute di Boston e il Future of Humanity Institute di Oxford.

Serve sicurezza perché una super-intelligenza cui viene dato un compito non è sensibile, non è cattiva, non sente alcuna emozione ma esegue. Non conosce quella pietas che l’umanità – incontrando l’ethos, sotto le mura di Ilio, col corpo sfregiato di Ettore che chiama a commozione – ha avuto segnata nel sentimento. L’intelligenza nel suo compimento tecnico, insomma, si occuperebbe di noi come noi ci preoccupiamo delle formiche che accidentalmente possono finire sotto le nostre scarpe. Non c’è più l’umano nel suo insondabile mistero, ma l’indicizzazione messa in atto su ogni singola esistenza se di qualunque individuo, in ogni angolo del mondo, la tecnologia può ricavarne un codice a barre, preda di un indiscriminato clic.

L’esito più precipuamente politico, grazie alle nuove tecnologie, tiene da conto la “leggibilità” semplice e godibile del mondo. Tutto è a portata di mano. L’attenzione è effimera ed è un avere tutto a portata di mano fino all’impossibilità di fruirne. La profondità del nostro mondo è però opaca. La mission di Facebook è quella di rendere più aperto e connesso il mondo. La mission di Google è quella di indicizzare le informazioni globali. A prima vista non sembrano strategie commerciali ma idee dirompenti per cambiare il mondo e messe in atto con genialità. Non sembrano essere derivate da pensieri di rozzi accumulatori – non sono come i personaggi dickensiani che vogliono solo fare quattrini fino a sguazzarci dentro come Paperon de’ Paperoni – gli imperatori del digitale, infatti, sono certamente dei visionari. Ma col clic e la possibilità di avere tutto ciò che si vuole gratis o con pochi spicci, ci sono i dati, le identità, le preferenze, le scelte.

Data Visualization di uno studio sull’epatite C, rete di 8500 medici e scienziati, 2008-12 © Inga Tomasevic Dreamstime.com

Molta più possibilità di potenza disumana che di volontà umana. Prima parzialmente libere e poi guidate dagli algoritmi che imparano ciò che ci piace e provano a indicarci nuove strade e nuovi acquisti, nuovi modi di pensare molto simili al nostro ma non uguali e non originali, non integralmente umani. Prive di emozioni, le azioni artificiali dell’intelligenza, sono anche orbe dell’elemento prometeico

della libertà.

Sono “dettati” elaborati attraverso un modello matematico in cui la volontà di potenza – quella del poter fare – volge in una prospettiva dove la forma della società e delle singole identità statuali arretrano rispetto alle grandi multinazionali del digitale, alle big four – Facebook, Apple, Google, Amazon – che stanno offrendo prodotti ed ecosistemi ormai padroni del tempo, dello spazio, e dell’agorà politica.

È la forma nuova del “Nuovo”. In questa prospettiva, i rigurgiti di populismo e di sovranismo che agitano la politica contemporanea sono forse l’inconsapevole ribellione a tutto ciò, allo spossessamento

di qualsiasi forma “democratica” di partecipazione, che si esprime inevitabilmente in ragione dell’esistenza di uno Stato (e cioè di un territorio e di una popolazione e quindi, ma si può dire?, di un confine). Il politicamente corretto vede un pericolo per la democrazia nel sovranismo, e se fosse l’ultimo disperato tentativo di difenderla?