Da Francesco e il Sultano alle criptovalute: diplomazia ed economia nella visione pragmatica dei francescani

18 gennaio 2023

Di Mario Fois

Intervista a Paolo Evangelisti

Storico, si occupa del pensiero e dei linguaggi politici ed economici tra medioevo ed età moderna

1219: Francesco, disarmato e accompagnato da frate Illuminato incontra il Sultano Malik al-Kāmil, nipote di Saladino. Cosa si dicono e cosa rappresenta questo incontro?
Intorno a quell’incontro scontiamo una lunghissima sedimentazione di stereotipi e proiezioni retroattive su un passato che si ritiene plasmabile e malleabile a discrezione dei contemporanei. Basti ricordare la lunga galleria di immagini che, da Giotto al XXI secolo, ritraggono Francesco in atteggiamenti diversissimi e antitetici. Se ad Assisi si rappresenta un dialogo tra due soggetti dotati di un preciso status e di una specifica dignità, le rappresentazioni successive oscillano equivoche tra un Santo che intende convertire persuadendo i suoi interlocutori ed un Francesco che stigmatizza e condanna l’islam ed un mondo intero. Per restare alle fonti più vicine all’incontro va preso atto di un fatto indiscutibile: non abbiamo nessun report di quello che Francesco e il Sultano si possano esser detti. Sappiamo invece, anche da fonti epigrafiche non cristiane, che l’incontro c’è stato e che l’impatto mediatico suscitato dall’atto di Francesco ha sicuramente destato impressione. L’idea di costruire un dialogo è dunque un fatto storico che va riconosciuto, ma calibrato nella sua valenza. L’Assisiate infatti proviene dal campo crociato di cui è stato uno scontato e tranquillo ospite, muove verso il nemico senza scorta, convinto della preminenza della fede cristiana, unica religione salvifica.

Frate francescano lava i piedi di Cristo in un ospedale

Ma non possiamo sostenere con prove documentali che egli intendesse convertire il Sultano sulla base di questa precisa certezza cristiana, né avere contezza di come Malik al-Kamil abbia eventualmente reagito. Si può invece affermare che la sua missione potrebbe essere stata davvero una missione diplomatica. Infatti l’avversario era reduce da una sconfitta militare e le divisioni interne al campo mussulmano erano pesanti. Francesco era dunque in condizione di poter trattare una pace forte della sua forza e della forza politico-militare dei crociati in quel momento. Non era la prima volta che si provava a percorrere la via della trattativa come dimostra l’esempio illuminante di Federico II che riconquista Gerusalemme senza alzare nemmeno una lama di spada. Insomma Francesco potrebbe essere stato un vero latore di pace e di un tentativo di dialogo purtroppo non realizzatisi.


Giotto, Francesco incontra il Sultano. Assisi, basilica di San Francesco

Qual è il vero atteggiamento di Francesco rispetto alle crociate?
Se consideriamo la vita di Francesco dopo la sua conversione al Vangelo e se restiamo alle fonti dei suoi scritti non rileviamo alcuna condanna diretta od indiretta delle crociate, un fatto quasi impensabile nella temperie storica e religiosa di quegli anni. Sappiamo che il futuro santo di Assisi sbarcò nella Zara conquistata dalla IV crociata nel primo tentativo di recarsi in Terra Santa e sappiamo che egli fu un pacifico ospite dell’accampamento crociato nel periodo che precedette e seguì il famoso giorno dell’incontro di Damietta del 1219. Francesco nei suoi scritti ha sempre sostenuto con forza l’idea di una pace attiva, conquistata sul terreno del dialogo con chiunque, sul rispetto dei nemici secondo il dettato evangelico. Ma ha sempre sostenuto anche la preminenza della fede cristiana e cattolica su ogni altra fede e non ha mai condannato, neanche nelle sue prediche, chi, per professione, portava le armi. Un discorso diverso andrebbe fatto per l’Ordine da lui istituito. Basti ricordare che nel loro primo secolo di vita i Minori, chiamati dal Papato a predicare e a sostenere le crociate in Europa e in Terra Santa, furono poi capaci di un miracolo: tornare a Gerusalemme senz’armi quarant’anni dopo la definitiva sconfitta militare dei crociati. E dal 1333 essi hanno mantenuto il monopolio della presenza cristiana occidentale in quei Luoghi sino ad oggi. Un capolavoro diplomatico e politico sostenuto da una notevole capacità di governo economico di quegli insediamenti.

Cavalieri mongoli

In questo inizio del francescanesimo è possibile scorgere un approccio diplomatico e pragmatico, che ne caratterizzerà l’azione nei secoli successivi?
Ho già in parte introdotto la questione. L’esperienza dell’insediamento in Terra Santa dimostra la particolare capacità dei Minori di sapersi rapportare con le istituzioni politiche non solo in Occidente. Si ricordi che nell’Italia dei Comuni essi furono rapidamente arruolati come consiglieri politici, mediatori di paci, conservatori di carte ed archivi istituzionali, garanti della sicurezza delle città. Se da fine Duecento la chiesa di san Francesco a Ravenna ospita le tombe dei nuovi potentes della città, i Da Polenta, a Perugia, nel 1266, frate Diotaleve è convocato dal Comune come esperto di moneta e di mercati, mentre già dagli anni ’30 i frati sono reclutati come mediatori di accordi tra comuni in diverse aree dell’Umbria. Plasticamente tutto questo si legge guardando a Roma. Sin dal 1240/50 il principale convento della città sta sul Campidoglio e, se si guarda una fotografia, si vede benissimo che l’Aracoeli è più alta della torre del palazzo senatorio: il luogo per eccellenza del potere cittadino dalla fine del secolo XII. L’architettura e l’urbanistica sono fonti preziose per la comprensione del peso specifico degli attori in campo e, naturalmente, delle loro relazioni. La capacità di essere interlocutori delle autorità comunali della penisola non è un fatto isolato o congiunturale, esso segna la storia europea e asiatica dell’Ordine. Cito solo due dati. Se in Terra Santa i francescani restano monopolisti indiscussi di quei Luoghi attraversando l’epoca mamelucca, quella ottomana e quella post-coloniale, sapendo costruire, tra l’altro, un significativo rapporto anche fiscale di convivenza con i diversi dominatori, in Europa, ad esempio nella Spagna medievale, i dati si fanno davvero interessanti. Limitandoci ai due secoli finali del periodo catalano-aragonese solo quella corona iberica si avvale di oltre 130 esponenti dell’Ordine, esclusi i vescovi, nell’amministrazione delle istituzioni, nella gestione di missioni diplomatiche, nella redazione di testi di etica e pratica per il governo delle città e della stessa monarchia. Forse è anche utile ricordare che il primo vescovo metropolita di Pechino, allora mongola, all’inizio del ‘300, è stato un francescano: Giovanni da Montecorvino, ospite e residente presso la corte del Khan sino alla sua morte.

Ascoli Piceno, Chiesa di S. Francesco

Quali sono gli elementi di modernità presenti nella visione della diplomazia e della società sviluppate dall’ordine?
Innanzitutto l’approccio pragmatico. In ogni posto dove giungono i Minori, il pre-requisito è: conoscenza dell’antropologia, dei costumi, dell’organizzazione militare, delle lingue, questo sin da metà del XIII secolo. In quello stesso periodo con Ruggero Bacone, i Minori teorizzano una concezione della filosofia politica e dell’analisi del mondo che va calibrata sugli obiettivi che si intendono raggiungere. La moralità della scientia, della cognitio linguarum e della stessa filosofia sono definiti dal frate inglese esattamente sulla loro corrispondenza a quei parametri realizzativi. Nella guerra, ad esempio, si debbono risparmiare uomini ed è per questo obiettivo che bisogna implementare la tecnologia militare con il ricorso a tecniche e tattiche efficaci. Raimondo Lullo, vicinissimo e venerato dai francescani, filosofo sperimentalista della Catalogna di quello stesso secolo, si muoverà nella medesima direzione anche quando metterà a punto una gamma vastissima di strumentazioni per la riconquista dei Luoghi Santi. In questo quadro il dialogo con ogni interlocutore, anche il più distante da sé è sempre preso in considerazione e condotto sino in fondo.

Raimondo di Lullo, Ars Combinatoria

Come si concilia la pratica della povertà con la concezione economica e della moneta elaborata dei minori nel corso dei secoli?
Con la scelta della povertà volontaria Francesco ha posto sé stesso ed ogni frate di fronte ad un interrogativo quotidianamente rinnovato: a che cosa serve il denaro e come si debbono gestire i beni che si hanno in uso? Nulla di stupefacente quindi che, sin dal Duecento, si sia formata una vera e propria Scuola economica francescana che ha saputo cogliere del denaro la sua dimensione immateriale, la sua forza capace di sprigionare valori oltre il suo valore monetato e numerato. Nulla di “inconciliabile” quindi con il fatto che i Minori, da non proprietari, abbiano saputo vedere nella moneta la sua dimensione istituzionale: autentico bene comune della res publica che andava salvaguardato anche dal principe che la coniava e la poteva falsificare segretamente. Questa sensibilità minoritica trova un suo versante fondamentale nella strategia che intende marcare l’identità povera dei frati veicolata da codici comunicativi immediatamente percepibili da chiunque, analfabeti compresi, vale a dire la maggioranza della popolazione dell’epoca. La povertà del tessuto e del colore del saio, degli edifici francescani trovano continue messe a punto sensibili alle specificità delle aree culturali, sociali ed architettoniche nelle quali essi si installano.

Bologna, Monte di Pietà

Quali sono gli elementi di modernità del pensiero francescano, ad esempio nel campo economico, che rappresentano oggi argomento di riflessione per il futuro?
Proprio sul terreno delle politiche monetarie colgo una straordinaria e non anacronistica attualità della Scuola economica francescana. I Minori hanno messo in evidenza non solo il fatto che la moneta non è un semplice velo negli scambi, ma che il suo valore va ben oltre il dato numerario e il tasso di cambio. Essa è misura insostituibile dell’affidabilità del credito e della solvibilità di un’intera comunità. Per questo non può essere ridotta o sostituita da sedicenti cripto-currencies o da un NFT. La moneta deve rimanere la misura ultima del credito e del debito che fanno vivere e sviluppare, nella trasparenza e nella responsabilità, dunque nell’etica finanziaria, l’economia e la convivenza civile di ogni comunità politica. Le vicende dei fallimenti anarchici di questi ultimi mesi, privi cioè di tutele per miners e titolari di criptovalute, sono solo l’oggettiva ennesima conferma di questa analisi “francescana”.

Sei santi dell'ordine francescano

Paolo Evangelisti monografie e insegnamento:
Il pensiero economico nel Medioevo. Ricchezza, povertà, mercato e moneta, Carocci 2016, tradotto e pubblicato in Francia lo scorso anno, La balanza de la soberanía. Moneda, poder y ciudadanía en Europa (s. XIV-XVIII), Barcelona 2015 e Dopo Francesco, oltre il mito. I frati Minori fra Terra Santa ed Europa (XIII-XV secolo), Viella 2020. 
Docente in Italia e all’estero in numerose università e istituzioni scientifiche. È consulente dell'Archivio storico della Camera dei deputati.