Donne e lavoro. Cosa ci insegna Fondazione Ansaldo

Di Raffaella Luglini

30 settembre 2020

La Fondazione Ansaldo conserva un importante patrimonio di testimonianze sui temi delle donne, del lavoro e dell’emancipazione femminile. Tra i numerosi documenti di particolare rilevanza quelli relativi alle lotte per l’ottenimento di diritti e pari opportunità. Sono diversi i progetti che la Fondazione ha dedicato nell’ultimo anno a questi temi: la realizzazione del calendario 2020, incentrato sul ruolo delle donne in fabbrica; la partecipazione a “La notte degli archivi”, nel corso della quale gli archivi italiani hanno celebrato i traguardi delle donne, di cui la storia è disseminata, e dato testimonianza dell’importanza dei processi di trasformazione e cambiamento che in tanti ambiti esse hanno attivato; l’allestimento della mostra “#Women”, presso la sede Leonardo di Genova (visitabile on-line sul sito della Fondazione).

Il territorio genovese, a forte concentrazione industriale, vide la presenza delle donne nelle fabbriche emergere con evidenza tra Ottocento e Novecento: molte industrie e manifatture impiegavano manodopera femminile, a cominciare da quelle più grandi e antiche, come la Manifattura Tabacchi, attiva a Sestri Ponente sin dalla metà del Settecento, e il Cotonificio Ligure di Cornigliano, impiantato sulla marina nel 1868.

L’ingresso delle donne in contesti lavorativi considerati prettamente maschili, in particolar modo nel mondo operaio, è stato assai arduo e contrastato nonostante le urgenti necessità generate dal primo conflitto mondiale – si calcola che nella sola industria bellica ne vennero impiegate oltre 180.000. Fu in quegli anni che oltre ai ruoli considerati tipicamente femminili – infermiere, crocerossine, dame di carità o educatrici – le donne cominciarono a lavorare come autiste di tram o bigliettaie, postine e spazzine, garantendo così la sopravvivenza della società civile e dei suoi valori. Contemporaneamente, fecero il loro ingresso in fabbrica le prime operaie.

Le testimonianze di Fondazione Ansaldo ci raccontano di condizioni di lavoro faticose e di una presenza femminile spesso percepita – specialmente dagli operai più anziani – come un sovvertimento dell’ordine naturale, se non un vero e proprio “attentato alla moralità”. Talvolta le nuove assunte venivano accusate di favoritismi da parte dei capi uomini. Nelle numerose lettere di protesta indirizzate dal personale ai dirigenti delle fabbriche, le donne erano descritte come profittatrici, interessate al lusso e a sfruttare la loro nuova condizione sociale ed economica.

Maestranze femminili dello Stabilimento Artiglierie Ansaldo di Cornigliano, Genova, 1941

Con la fine della guerra il processo di emancipazione si arrestò: il ritorno dei reduci e la necessità di garantire loro un ricollocamento nella società civile significò per molte donne il licenziamento. Nel 1921 risultavano occupate nell’industria 1.173.000 donne in meno rispetto al 1913. Il dovere dell’impegno espresso attraverso il lavoro richiamò il diritto di cittadinanza. La questione del voto alle donne, quantomeno amministrativo, cominciò dunque a imporsi nel dibattito politico, ma bisognerà aspettare fino al 1946, quando venne concesso loro l’elettorato attivo e passivo. Per quanto concerne il lavoro, sebbene già la Costituzione italiana del 1948 contenesse norme che garantivano pari diritti e dignità sociale in ogni campo, il gap di genere era ancora lontano dall’essere colmato.

Seguirono gli anni del boom economico, della lotta fuori e dentro le fabbriche, delle contestazioni, del femminismo, delle conquiste politiche e sociali delle donne alla ricerca di un difficile equilibrio tra lavoro, famiglia e impegno sociale. La svolta avvenne nel 1977 con la legge n. 903 sulla “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”. Promotrice di questa rivoluzione legislativa – grazie alla quale ci fu in Italia un immediato balzo in avanti dell’occupazione femminile – fu Tina Anselmi, ministro del Lavoro e primo ministro donna della storia repubblicana. L’articolo 1 bloccava qualsiasi discriminazione fondata sul genere, mentre l’articolo 2 prevedeva retribuzioni uguali per tutti/e. Altre norme sulle reversibilità delle pensioni, sulle tutele delle madri lavoratrici, anche se adottive, sull’assunzione a carico dello Stato delle assenze per maternità, fecero della legge Anselmi una pietra miliare della storia dell’emancipazione femminile.

Nonostante le enormi difficoltà, guardando le tante testimonianze dell’epoca conservate anche in Fondazione Ansaldo, emerge la consapevolezza e l’orgoglio per il lavoro, grazie al quale si raggiunge l’autonomia e la dignità. Un percorso iniziato sottovoce, seguito da donne diverse e appartenenti a differenti generazioni, ma unite da un tratto comune: un percorso lungo e complesso che anni dopo sarà chiamato emancipazione femminile, nel quale l’impegno della Fondazione intende proseguire con la sua memoria.

Operaie del Proiettificio Ansaldo di Sestri Ponente, Genova, 1915

Degli archivi della Fondazione vorrei ricordare soprattutto i documenti che evidenziano l’esistenza dei primi esempi virtuosi di welfare nei primi del Novecento. La citata Manifattura Tabacchi di Sestri Ponente aveva una forte presenza femminile, poiché riconosceva alle donne una grande manualità e perizia in tutto il processo di produzione. Nonostante le condizioni di lavoro insalubri e pericolose di fine Ottocento, dopo gli scioperi degli inizi del secolo scorso iniziò un periodo di riforma interna volta a introdurre un vero e proprio sistema di welfare aziendale. La Manifattura infatti è stata tra le prime fabbriche a introdurre nel 1911 la nursery nell’azienda, gestendola e finanziandola completamente, consentendo alle lavoratrici di lavorare anche nel periodo della maternità. L’adiacenza della mensa aziendale alla nursery dava la possibilità, nelle pause, di poter accudire e allattare i propri figli.

Questo episodio storico di collaborazione tra direzione e lavoratrici – in un’epoca precedente all’introduzione dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970) – fece della Manifattura un posto privilegiato nel quale lavorare. Le dettagliate testimonianze raccolte nel libro: “Ragazze di fabbrica: immagini, memorie, documenti” (2010), a cura del Comune di Genova e del Municipio VI Medio Ponente, narrano di una realtà aziendale tutt’altro che grigia e insensibile ai bisogni delle lavoratrici: un luogo dove il duro lavoro a cottimo si alternava a momenti di socialità attiva tra le “sigaraie”. Un elemento di primaria importanza era l’incontro generazionale, che si esplicava attraverso un periodo di apprendistato tenuto dalle più anziane – le “maestre” – che insegnavano il mestiere alle più giovani. Il tramandarsi di generazione in generazione delle conoscenze, dei segreti del lavoro, dei valori sociali e culturali è ciò che Fondazione Ansaldo si prefigge di mantenere vivo, il ricordo di un mondo che, seppur lontano, ancora ci appartiene e ci arricchisce.