La civiltà separata

14 ottobre 2022

Di Orlando Figes

La Russia si è sviluppata nelle foreste e nelle steppe a cavallo tra Europa e Asia. Nessun confine naturale, marittimo o montuoso delimita il suo territorio che nel corso della storia è stato colonizzato da popolazioni provenienti da entrambi i continenti (il primo censimento sovietico del 1926 ha evidenziato ben 194 nazionalità diverse).
La Rus’ di Kiev, Stato fondato su queste terre nel IX secolo, non era né “russa” né “ucraina”, anche se entrambe le parti in guerra ne rivendicarono la fondazione. Si trattava di un’unione commerciale di gruppi etnici diversi – slavi, finlandesi, vichinghi e khazari, oltre che di tribù delle steppe turche – la cui influenza è visibile nell’adozione da parte dell’élite della Rus’ di abiti e simboli di status, come l’uso di cinture tempestate di pesanti montature metalliche e di briglie con elaborate serie di ornamenti.
Nel 988 il gran principe Vladimir venne battezzato in Crimea, allora parte dell’Impero bizantino, dando così inizio alla conversione del suo popolo alla Chiesa ortodossa orientale. La conversione di Vladimir portò la Russia nell’orbita culturale di Bisanzio dando il via a una rivoluzione non solo nella vita spirituale del paese, ma anche nell’arte, nell’architettura, nella letteratura e nella filosofia, nonché nel linguaggio simbolico e nelle idee dello Stato.
Tramite Bisanzio, i russi erano collegati a greci, bulgari, serbi, albanesi e rumeni, tutti affiliati alla Chiesa ortodossa orientale. Grazie ai più ampi legami di Bisanzio con la cristianità, essi entrarono anche in contatto più stretto con l’Europa, considerandosi europei, in quanto appartenenti a una fede comune.
Sebbene Vladimir avesse convertito la Rus’ al cristianesimo, fu suo figlio Yaroslav, gran principe di Kiev dal 1019 al 1054, a costruire la maggior parte delle prime grandi chiese. Avendo lottato con i fratelli per il trono, Yaroslav aveva compreso che la costruzione di chiese avrebbe aumentato il suo prestigio e gli avrebbe assicurato una base di potere a Kiev.
La più importante fu la Chiesa di Santa Sofia, strettamente modellata sulla Hagia Sophia di Costantinopoli, con una forma architettonica semplice a croce quadrata, iscrizioni greche, affreschi monumentali e mosaici colorati, dominati dal massiccio e solenne volto di Cristo Pantokrator che guarda dal cielo della cupola centrale. Le icone furono portate in Russia da Bisanzio. All’inizio furono dipinte da artisti greci e rimasero di stile austeramente greco, ma a partire dal XIII secolo si sviluppò uno stile russo più caratteristico, contraddistinto da colori più caldi, linee più semplici e toni più morbidi. Questo stile raggiunse il suo apice nelle icone di Andrej Rublëv del XV secolo.

(Sopra e in copertina) Proun 2C, El Lissitzky, 1920 ca.

L’occupazione mongola, dal XIII al XVI secolo, isolò la Russia dall’Europa e dai progressi culturali del Rinascimento. Solo le arti religiose fiorirono. Secondo l’intellighenzia russa, la cui mentalità europea era stata plasmata dalle riforme occidentalizzanti di Pietro il Grande nel XVIII secolo, i mongoli fecero sprofondare la Russia in un’“età oscura”, rendendo più rozzo ogni aspetto dello stile di vita del paese. Il critico letterario Vissarion Belinsky stilò il seguente elenco nel 1841: «L’isolamento delle donne, l’abitudine di seppellire il denaro sottoterra e di indossare stracci per paura di rivelare le proprie ricchezze, l’usura, lo stile di vita asiatico, la pigrizia della mente, l’ignoranza, il disprezzo per sé stessi – in una parola, tutto ciò che Pietro il Grande stava sradicando, tutto ciò che in Russia si opponeva all’europeismo, tutto ciò che non faceva parte delle nostre origini ma che era stato importato dai Tartari».
Ivan IV (“il Terribile”), che liberò la Russia dai khanati di Kazan’ e Astrakhan’ a metà del XVI secolo, rivendicò l’eredità bizantina incoronandosi zar (derivato da Cesare) attribuendosi nel “Libro genealogico”, la discendenza dall’imperatore romano Augusto. La Chiesa russa promuoveva Mosca come ultima vera sede della fede cristiana, succeduta a Bisanzio dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi, nel 1453, e il Concilio di Firenze, nel 1438-39, quando l’imperatore bizantino e molti altri leader della Chiesa d’Oriente chiesero una riunione con Roma per assicurarsi l’assistenza delle potenze cattoliche contro gli infedeli musulmani.
Il mito di Mosca come “Terza Roma” attribuiva all’espansione imperiale della Russia una missione sacra. L’intervento di successo russo nella guerra cosacca contro la Polonia, nel 1654, fu concepito dal patriarca Nikon come una guerra religiosa per liberare gli ortodossi dagli infedeli, non solo nell’Ucraina governata dalla Polonia (dove i cosacchi e i contadini erano ortodossi), ma anche in Moldavia e Valacchia, all’epoca sotto il controllo ottomano.
L’annessione dell’Ucraina aprì la Russia all’influenza europea in quanto a idee, mode e tecnologie. Lo zar Alessio rimase colpito dalle architetture gotiche, rinascimentali e barocche di città come Vilnius e Vitebsk, che attraversò durante la guerra contro la Polonia, e questi stili cominciarono a vedersi anche a Mosca. L’Accademia di Kiev, dove i sacerdoti venivano formati sia in latino che in slavo, avviò una riforma dei libri di servizio e della liturgia russa per allinearli alle moderne versioni greche e ucraine stampate in Europa. Un gran numero di ortodossi (noti come “Vecchi credenti”) rifiutò le riforme liturgiche, sostenendo che i greci, alleandosi con la Chiesa romana, erano caduti nell’eresia. Questo scisma religioso – la protesta dei Vecchi credenti contro il crescente potere della Chiesa e dello Stato – rappresentò una profonda frattura nella società, dividendo coloro che si identificavano con la vecchia Russia da coloro che avrebbero voluto rinnovarla rendendola più europea.

Cavalleria rossa, Kazimir Severinovič Malevič, 1928-32, olio su tela

Sarà poi Pietro il Grande a portare a termine questo conflitto. Le sue riforme occidentalizzanti dell’esercito e del governo, la costruzione di San Pietroburgo, la sua capitale europea, la creazione di una scrittura civile, simile al latino, da utilizzare al posto dello slavo ecclesiastico per la stampa, e l’introduzione di usi e costumi europei. Tutto ciò creò una profonda frattura culturale tra la civiltà urbana delle élite occidentali e il mondo dei villaggi dei contadini privi di istruzione e privati delle loro libertà, logorati dalla servitù della gleba e dalla povertà, attaccati a delle tradizioni ormai obsolete che interpretavano l’universo attraverso superstizioni pagane e credenze ortodosse. Questa frattura rimase aperta fino al 1917, nonostante l’emancipazione dei servi della gleba nel 1861: fu la linea di faglia lungo la quale si sarebbe poi combattuta la Rivoluzione.
Per coloro che credevano in un destino europeo della Russia, la tragedia del 1917 dipese dalla debolezza della cultura democratica preesistente nel paese – delle sue istituzioni civiche, del suo Stato di diritto e anche dell’interesse nazionale al di là delle divisioni di classe – che non offriva gli strumenti per prevenire il collasso della Rivoluzione di febbraio nella guerra civile e nella dittatura bolscevica. Socialisti come lo scrittore Maxim Gorky, che avevano sperato di vedere, con la rivoluzione, realizzati i loro ideali umanisti e una Russia più vicina all’Occidente, videro nella violenza scatenata dai bolscevichi una terribile esplosione della “ferocia asiatica” del popolo russo.
Settant’anni di dittatura comunista hanno separato la Russia dall’Occidente, politicamente e culturalmente, ma le riforme di Gorbaciov hanno riacceso la speranza che la Russia potesse rientrare nel mondo europeo che aveva lasciato nel 1917. Le repressioni di Putin e la sua guerra contro l’Ucraina hanno distrutto queste speranze per il prossimo futuro. Isolata dall’Occidente da sanzioni economiche, dall’esclusione politica dalle istituzioni internazionali e dal divieto di rilascio dei visti, la Russia sarà costretta a orientarsi verso Est, dove diventerà un partner minore della Cina, fornendo carburante per la sua produzione, in una nuova alleanza eurasiatica, che probabilmente includerà Iran, India e Turchia, insieme ad altre nazioni guidate da regimi autoritari nazionalisti. Se non verrà fermata, la guerra distruggerà il meglio della Russia, quelle parti della sua cultura e della sua società che hanno arricchito l’Europa per un millennio.