La società dello sciame digitale

30 novembre 2020

Di Enrico Savio

Dalla civiltà delle macchine alla civiltà digitale è il tema che lega il nostro presente con un futuro dalle evoluzioni tanto imprevedibili quanto ineluttabili. La digitalizzazione globale è l’ultima rivoluzione post-industriale ed è destinata a rimodellare profondamente la struttura dei rapporti sociali, economici, politici e internazionali dell’intera umanità. Il confronto in atto sul tema tra le grandi potenze ne è evidenza chiara: la società di domani, già da oggi, è destinata a essere tarata sulla cosiddetta information dominance; le capacità, i diritti e le vulnerabilità delle persone sono destinati a esserne investiti e il dibattito in tema ègià in pieno svolgimento.

Le grandi conquiste lungo il cammino del progresso umano hanno determinato cambiamenti epocali, drammatici e irreversibili: dalla tradizione orale alla scrittura amanuense, da questa ai caratteri di stampa. La trasmissione del sapere e le modalità della conseguente concentrazione della conoscenza in strumenti crescentemente fungibili da strati sempre più larghi di popolazione hanno rappresentato l’ossatura delle grandi rivoluzioni sociopolitiche e anche economiche. Dal sapere enciclopedico della Biblioteca di Alessandria, attraverso l’Encyclopédie di Diderot, sino al sapere dematerializzato e condensato nel cloud.

L’accesso alle fonti della conoscenza, da elitario a generalizzato, ha permesso la costruzione degli Stati nella forma vestfaliana che ancor oggi esiste e la costruzione del consenso al loro governo. Dall’assolutismo alla democrazia, in uno spazio di circa duecento anni, l’essere umano ha trovato l’acceleratore della sua affermazione attraverso le modalità di elaborazione e di propagazione sempre più rapida e allargata delle idee. Siamo adesso alla soglia di una nuova era caratterizzata dalla dematerializzazione delle fonti del sapere e dalla velocizzazione parossistica della loro accessibilità e diffusione. È un vantaggio indiscutibile, oltre che inevitabile, poiché permette a una crescente moltitudine di attingere alla conoscenza e alle opportunità di sviluppo oltre che di fornire il proprio contributo “in diretta” all’arena sociale, politica ed economica della cittadinanza del terzo millennio. Una cittadinanza digitale, in presa diretta e mai sconnessa, difficilmente contenibile negli spazi fisici cui i secoli scorsi ci hanno predisposto, senza apparenti mediazioni e in grado di modificare in profondità il nostro linguaggio.

Il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han parla di “sciame digitale” mirando a definire, senza mezzi termini, la condizione immersiva in cui il genere umano viene a trovarsi attraverso l’espressività digitale. Il linguaggio digitale diviene dunque componente esistenziale dell’homo digitalis, una sorta di evoluzione della specie umana cui pare impossibile sottrarsi, pena il decadimento in una condizione di irrilevanza, non solo digitale, di chi rimane all’esterno di questo corpo immateriale e avvolgente determinato dal volume iperbolico dei dati che istantaneamente, e senza interruzione, le macchine digitali producono dietro impulso dell’azione di elaborazione. Tanto avanzata, quest’ultima, da generare capacità di apprendimento autonomo da parte delle macchine, il machine learning e l’elaborazione di scelte autonome in base a un processo di educazione e rielaborazione, l’Artificial Intelligence (AI).

Esiziale opportunità, dunque, ma anche rischio intrinseco e multiforme. L’uomo si interroga al cospetto di un’ormai quasi raggiunta capacità di calcolo tale da pareggiare il numero e la velocità dei processi neurali del cervello. Dinanzi alla terribile maestosità di tale capacità sorge un pensiero: se l’uomo è in grado di costruire questa nuova dimensione, sarà anche in grado di gestirla senza perdere le radici di sé stesso, magari sull’altare di attrattivi livelli di performance in tutti i campi dell’agire, così da giungere a un punto di non ritorno rispetto alla ragione stessa della propria esistenza?

L’humanitas, declinata in tutte le sue forme, positive e negative, ha da sempre guidato l’azione, sia essa stata ispirata dal principio o dall’interesse, e ha consentito all’uomo di aggregarsi e cooperare in forme via via più articolate e complesse, primeggiando sulle altre specie. Quanto siamo disposti a cedere di essa o riteniamo invece di poter tracciare una linea mediana di equilibrio tra valori fondativi e nuovi mondi digitali?

È esistita ed esiste nell’uomo la propensione ad affermare le proprie ragioni in base a rapporti di forza, sin dalle prime aggregazioni tribali, come analizza Francis Fukuyama, le società si reggono su di un bilanciamento di interessi contrapposti, allo squilibrio dei quali consegue il conflitto. L’esasperazione delle capacità in chiave digitale consentirà di trovare questo bilanciamento affinché la composizione degli interessi concorrenti e competitivi nell’aggiudicazione delle risorse necessarie o anche superflue alla vita umana tragga vantaggio dalla dimensione digitale che trascende e condiziona, con ogni evidenza, la vita dell’uomo? Temi chiave di un dibattito che questo numero di “Civiltà delle Macchine” si propone di trattare, traendo spunto dall’imminente implementazione di un nuovo, rivoluzionario protocollo di comunicazione e connettività globale: il 5G.

(Copertina) Counting Memories, Chiharu Shiota, 2019, legno, carta e lana. Foto di Sonia Szeląg. (Sopra) Storia Universale, Maria Lai, 1982, filo e stoffa, 300 x 200 mm, particolare, Archivio Maria Lai

Esso rappresenta il veicolo, con fattore di moltiplicazione esponenziale “x 100”, di ogni esperienza di interazione interumana e fisico-virtuale che abbiamo potuto vivere sino a oggi. L’architettura territoriale di comunicazione che questo protocollo consente ha carattere di orizzontalità, con una cospicua dose di

intelligenza distribuita sino all’angolo della strada, e con la capacità di integrare pressoché tutte le dimensioni dell’attività umana: dalla persona fisica, con le biotecnologie, sino agli oggetti più ordinari della vita quotidiana, con l’internet delle cose, alle macchine del mondo industriale.

Grande libertà, dunque, cui consegue altrettanto grande responsabilità. “With great power comes great responsibility” è il motto di un supereroe della cultura popolare, Spiderman. Una responsabilità che richiederà declinazioni e coniugazioni molto serie, poiché l’era della tecnologia come “add-on”, ovvero accessorio strumentale, è destinata a finire per lasciare il campo all’intrinsecità, alla cointeressenza della componente tecnologica con l’essere umano. Queste capacità stanno già determinando volumi impensabili di dati, governati da leggi proprie e, soprattutto, gestiti da poche, se non pochissime, realtà-provider in grado di farlo. Realtà che trovano piena dignità d’ascolto al cospetto dei Parlamenti e che gestiscono le idee, gli orientamenti, le scelte, i contatti sociali, le attività economiche dei loro “clienti” in numeri che surclassano di gran lunga le possibilità di raccolta e gestione del consenso di qualunque organizzazione o Stato come oggi lo conosciamo.

Da qui la pulsione parallela a un’evoluzione innovativa dei cardini stessi della vita individuale e associata; dall’esercizio delle libertà fondamentali all’attività legislativa, dal welfare alla libera iniziativa economica, dalla difesa dell’individuo da violazioni, anche non palesi, alla tutela della coesione socioeconomica e delle

pari opportunità così come affermatesi attraverso secoli di conquiste difficili, senza distinzione alcuna.

La democrazia alla prova più seria di sempre, si può affermare, ovvero innanzi al confronto con una tecnocrazia implicita, sottile, silente e pervasiva che, a prescindere dai comportamenti devianti che sono e rimarranno tali, può giungere ad attingere la vita associata nelle sue forme da noi oggi conosciute. È la “prova del nove” per un’umanità molto concentrata sugli obiettivi di affermazione individuale, ma che può trarre spunto dal cambio di paradigma tecnologico-connettivo in corso per raggiungere, assieme a una piena consapevolezza, una nuova definizione dei rapporti tra pari, affinché nessuno prevalga ingiustamente sull’altro.

È un percorso sfidante e affascinante, cui non far mancare ogni contributo, scevro da connotazioni ideologiche a priori e, auspicabilmente, fondato sul valore dell’umano combinato con il pragmatismo delle opportunità di progresso e di sviluppo. La stessa dimensione del patto di sicurezza fisica, immateriale e sociale sul quale è fondato l’ordine politico globale richiederà un aggiornamento poiché la vita al tempo del 5G presenterà superfici di esposizione ben più vaste delle attuali e il rischio di un eccesso di controllo sarà pari a quello di un’assenza di controllo, poiché la libertà e l’indipendenza – anche tecnologica – sono creature fragili, la cui protezione richiede mano ferma e contemporaneamente delicata. Ogni eccesso e ogni difetto ne fanno rischiare il soffocamento.

Buona lettura!