Marco Simoncelli: 10 anni fa, il 23 ottobre 2011, la tragedia del Sic a Sepang

Di Massimo Falcioni

22 ottobre 2021

Sulle fiancate dei giganteschi van della Squadra Corse Sic58 presenti dal 2013 nei paddock del Motomondiale Marco Simoncelli sorride ancora oggi attraverso una gigantografia che richiama ovunque appassionati per un saluto: “Ciao, patacca”, come se quel maledetto pomeriggio del 23 ottobre 2011 non ci fosse mai stato. Un destino che pareva segnato, quello di Marco, che amava ripetere: “Il nostro è uno sport pericoloso e può accadere di tutto, anche l’irreparabile. Se capitasse anche a me quel che è capitato a tanti altri colleghi in passato, vorrei essere ricordato come un pilota che in gara sapeva emozionare”. Ecco, se proprio si dovesse caratterizzare con una sola parola il Sic, si dovrebbe dire: un ragazzo alla mano, un campione di razza, un pilota che sapeva far battere forte il cuore di tutti, emozionando.   

Sono passati 10 anni da quella domenica assassina a Sepang quando il 24enne pilota romagnolo di Coriano, già iridato della classe 250 e considerato oramai ben oltre una “stella nascente” ma l’erede di Valentino Rossi, perdeva la vita nel Gran Premio della Malesia dopo una caduta apparentemente banale, travolto a terra dalla Yamaha di Colin Edwards e dalla Ducati del fuoriclasse pesarese. È stata una tragica fatalità, solo una tragica fatalità, a innescare la carambola che ha tolto la vita a Marco: incolpare qualcuno, in primis i due piloti investitori, o accusare di negligenza i servizi di soccorso, come ancora oggi si tende a fare, è assurdo. Nelle immagini amatoriali fatte con un telefonino di uno spettatore presente si vedeva uno degli addetti giunto in soccorso di Marco inciampare facendo cadere la barella con il corpo esanime del corridore italiano. “Ero lì a 10 metri - ricorda papà Paolo con gli occhi lucidi - e quando si sono rialzati ho preso la mano a Marco, ho provato a salutarlo, ma lui era già andato, non c’era più niente da fare”. Già, il destino. In questo caso crudele: nessun rimpianto ma tanta rabbia.


Cosa accadde esattamente in pista quel giorno al secondo dei 20 giri del GP di Malesia, penultimo round iridato 2011 dopo che la settimana precedente il Sic era giunto gran secondo al GP d’Australia di Phillip Island dietro a Casey Stoner bruciando in volata Andrea Dovizioso? A Sepang Simoncelli tentava il colpaccio ma sbanda e cade alla curva n° 11, un rampino traditore. Invece di scivolare con la sua Honda verso l’esterno, la gomma posteriore ritrova l’aderenza sull’asfalto proiettando il conduttore sulla traiettoria dei due piloti (Edwards e Rossi) che lo seguivano da vicino. Sull’asfalto, la moto di Simoncelli slitta sulla pista in modo anomalo: la perdita di aderenza della ruota anteriore avrebbe dovuto portare moto e pilota all’esterno della curva e non dalla parte opposta, dunque sulla traiettoria delle altre moto appena dietro, in arrivo. Perché? Conseguenza del fatto che Marco ha forse tenuto il gas aperto con la moto a terra fin quando è stato investito dagli altri due?  O conseguenza del controllo di trazione elettronica della sua Honda, sistema che potrebbe aver “letto” lo scivolare della gommona posteriore come una anomalia, facendo in sostanza riprendere il moto della ruota e “tenendo in pista”, ma nel senso sbagliato, il pilota aggrappato al suo bolide impazzito? Così chi seguiva da vicino Marco, tranne Alvaro Bautista, non riusciva ad evitare l’impatto. Il primo a colpire violentemente il pilota a terra è stato Edwards, poi - questione di millesimi di secondo - è toccato a Valentino che incolpevolmente lo avrebbe colpito in testa, presumibilmente sfilandogli il casco nel fortissimo impatto. Ancora oggi, al di là dei comunicati ufficiali di allora, restano il dolore e gli interrogativi sul dramma di un giovane che a 24 anni ha perso la vita in corsa in un torrido e uggioso pomeriggio in Malesia. Una tragedia, quella di Marco, vissuta drammaticamente in diretta nel mondo da decine di milioni di spettatori davanti alla tv. Da anni, oramai, la morte in diretta passa come normalità ma è tuttavia esposta spesso alla dissacrazione e alla banalizzazione tale che la spettacolarizzazione trasmessa dalle nuove tecnologie dei mass media appare cosa veniale seppure corrosiva. C’è uno strano comportamento di fronte alla morte della gente comune. La dissacra, esponendola addirittura allo scempio per esorcizzarla e dall’altra la nasconde nell’indifferenza rendendola insignificante. Non è così, da sempre, per gli “eletti”, sin dai tempi dei tempi? Basti pensare al duello omerico fra Achille ed Ettore, con gli onori imperituri tributati all’eroe troiano per una morte che lo rende vivo nei secoli dei secoli. Ecco perché Marco Simoncelli, il centauro eroe per caso che corre per raggiungere un sogno e per regalare sogni, resta vivo, ovunque e dentro ognuno di noi, appassionati di corse e non.


Non è facile ancora oggi andare oltre la fortissima commozione e il dolore immenso per la perdita di un ragazzo straordinario e di un campione di razza quale è stato Marco Simoncelli. In questi ultimi 10 anni sul piano della sicurezza si è lavorato molto, soprattutto sui circuiti e per le moto è prevalsa la convinzione che l’elettronica potesse aiutare i piloti nel gestire controllo di trazione, potenze e coppie dei motori e non solo per abbassare i tempi sul giro e andare sempre più veloci. Per decenni le cause degli incidenti più gravi avvenivano causa i circuiti senza vie d’uscita lambiti da guard-rail assassini e per “grippaggio” del motore, blocco del cambio o dei freni. Oggi quei problemi sono stati risolti ma altri sono spuntati, legati soprattutto alle potenze dei motori e alle evoluzioni delle gomme. L’evoluzione dei mezzi è stata formidabile, con il pilota, allora come oggi, costretto ad adeguarsi. Forse c’è un punto in cui l’esasperazione tecnologica porta, quanto meno per la sicurezza, più danni che benefici. Ciò detto, va però ribadito che nel motociclismo da competizione il rischio non è eliminabile ed è anzi una sua componente imprescindibile, uno degli ingredienti del suo fascino. È sempre stato così, fin dalle prime corse degli inizi del secolo scorso. Il motociclismo è anche questo, ardimento, portatore di grande spettacolo che, purtroppo, presenta sempre il conto più salato. Eliminare completamente i pericoli delle corse è impossibile perché c’è l’imponderabile per cui va messa al bando ogni forma di ipocrisia e di strumentalizzazione. Perché – come ripeteva Enzo Ferrari: “O si smette di piangere o si smette di correre”. L’incidente e il sacrificio di Simoncelli, sul piano della sicurezza è servito a ben poco: basti pensare ai quattro piloti-ragazzini morti in corsa quest’anno. Comunque, serve mantenere vivo il ricordo del Sic, di quel sorriso portatore di un messaggio positivo, specie per i giovani d’oggi: credere nelle proprie passioni, viverle fino in fondo, accettare le sfide della vita, conquistarsi in un attimo l’eternità.