Materie prime: presto litio e terre rare più importanti di petrolio e gas. In Italia riaprono le miniere?

13 aprile 2023

Di Massimo Falcioni

Non è la prima volta nella storia che per andare avanti si torna indietro. Stavolta pare tocchi alle miniere, prima chiuse e adesso pronte a riaprire. Non solo in Europa, piena di siti minerari abbandonati, ma anche in Italia. Nel novecento sono stati chiusi nel nostro Paese oltre 3000 siti minerari dove si estraevano carbone, ferro, zinco, rame, argento, oro. Non che da noi non ci siano ancora oggi miniere attive. Si tratta però di miniere con materiali definiti di “seconda categoria” o “materiali da cava” quali marmi, graniti, travertini, calcari, argille, sabbie ma anche pomice, la roccia vulcanica leggerissima e porosa esportata in tutto il mondo così come il noto marmo di Carrara. In Italia esistono oggi 4518 siti estrattivi (dati ISTAT 2018), 2169 sono attivi. Nel 2018 sono stati estratti 166 milioni di tonnellate di risorse minerarie: calcare, travertino, gesso, arenaria, sabbia, ghiaia. Ma qui si parla d’altro, di materiali di grande valore, fondamentali per le nuove tecnologie, per le nuove industrie, per il nuovo mondo di domani che è già oggi. Si parla di litio, cobalto, silicio, magnesio, titanio, dei materiali definiti “critici”, indispensabili per la transizione energetica e per settori strategici (difesa e non solo), materiali oggi quasi totalmente in mano a un numero ristretto di fornitori e a Paesi politicamente e istituzionalmente “difficili” e “delicati”, a rischio. Basti pensare alla Cina che controlla il mercato delle terre rare, con il 60% della produzione mineraria e oltre l’80% della raffinazione globale.  Questioni complesse, affrontate di recente dalla Commissione Europea nel suo “Critical Raw Materials Act” secondo cui almeno il 10% del consumo di materie prime strategiche dell’Unione fondamentali per la Transizione Green e per le Nuove Tecnologie dovrebbe essere estratto nell’UE, il 15% del consumo annuo dell’Unione di ciascuna materia prima critica dovrebbe provenire dal riciclaggio e almeno il 40% del consumo annuo di ogni materia prima strategica dovrebbe essere raffinato all’interno dell’UE. L’obiettivo, si legge nel documento UE, è quello di: “ ridurre i crescenti rischi di approvvigionamento dell’Unione… rafforzando le capacità dell’Unione lungo tutte le fasi della catena del valore delle materie prime strategiche, compresa l’estrazione, la lavorazione e il riciclaggio”. Entro il 2030 non più del 65% del consumo annuale dell’Unione di ciascuna materia prima strategica in ogni fase di lavorazione pertinente dovrà provenire da un singolo Paese terzo. Oggi l’UE è quasi completamente dipendente dall’importazione di materie prime cosiddette “critiche”, peraltro materie considerate un prerequisito per la transizione verde e digitale, secondo la Banca Mondiale si prevede che la domanda avrà un fortissimo balzo in avanti: sopra il 500% entro il 2050. La soluzione? Riaprire le miniere! Facile a dirsi ma difficile a farsi per la complessità ambientale e sociale, per l’equilibrio tra  i benefici economici con quelli sociali e ambientali. Il refrain è uno solo: “Presto litio e terre rare diventeranno più importanti del petrolio e del gas”. L’Europa, in particolare l’Italia, è dunque sul chi va là. Non è vero che il Belpaese non dispone di queste fondamentali risorse. Il sottosuolo dei dintorni della Capitale è ricco di litio. Nel bergamasco ci sono giacimenti di piombo e zinco. In Piemonte c’è il cobalto. In Liguria il Titanio, minerali di ogni tipo in Sardegna e Sicilia. L’Ispra dice che in Italia ci sarebbero almeno 3000 siti utili per l’attività mineraria. Non pochi gli ostacoli: l’avversione dell’opinione pubblica e, soprattutto, quel che già offrono altri Paesi, a cominciare dagli USA.

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Dicevamo del titanio, inserito dalla Comunità Europea fra le materie prime “critiche” e “strategiche”, non solo di elevato valore economico ma che in futuro potrebbe scarseggiare, quindi con prezzi proibitivi. Oggi nel mondo sono solo 15 i Paesi che estraggono titanio: in Europa c’è solo la Norvegia, con una produzione annua di 300 mila tonnellate. Ad esempio in Italia c’è uno dei più grandi giacimenti di titanio al mondo, metallo prezioso e sempre più usato, di straordinaria leggerezza con la  migliore resistenza alla corrosione, secondo solo al platino. Il titanio è impiegato in attività e mezzi oggi fondamentali, ad esempio in campo aerospaziale e navale, nella costruzione di apparecchiature chimiche, di motori a turbina, in campo medico per protesi e in altre mille attività. Ebbene in Italia, specificatamente nel Parco del Beigua in Liguria, c’è uno dei più grandi giacimenti di titanio al mondo che però, in mancanza di miniere attive, non viene sfruttato. Si stima che il giacimento di Piampaludo, nel Massiccio di Voltri in provincia di Savona tra i comuni di Urbe e Sassello, possa contenere 10 milioni di tonnellate di ossidi di titanio sotto forma di rutilo TiO2, secondo alcuni valori preliminari si parla addirittura di 20 milioni.


A Piampaludo non si può aprire la miniera per l’impatto ambientale. Il futuro non è chiaro ma si può già dire che tutto resterà così. Il parco è certamente un valore da salvaguardare. Tuttavia non solo l’Italia è piena di parchi ma ha bisogno  di titanio e di materiali preziosi e ci sono oggi tecnologie e modi di agire per consentire la convivenza reciproca. Si vedrà. Esigenze geopolitiche, economiche, imprenditoriali, ecologiche che si misurano con potenzialità e problemi di ogni tipo, ovunque, anche con una ostilità diffusa per i nuovi impianti, non solo in Italia, non solo in Europa nella sindrome Nimby Not in my backyard ovvero “Non nel cortile di casa mia”. Fra gli esempi recenti di contrasto più eclatanti c’è stata, dopo durissime e inarrestabili proteste popolari, la revoca del governo serbo per le licenze alla sviluppo di un grande deposito di litio scoperto nel 2004 presso la vallata del fiume Jadar, un investimento da 2,4 miliardi di dollari con un business futuro di grande valore, per adesso saltato. Stessa sorte, dopo proteste a non finire, sta per toccare a un progetto ancor più sostanzioso nella miniera di Covas do Barroso in Portogallo. Idem in Svezia con gli ambientalisti in piazza per non rendere operativa la recente scoperta del grande deposito di terre rare. Va meglio in Germania, nell’Alta Valle del Reno, dove Vulcan Energy (partner anche di Stellantis) ha già un impianto operativo per produrre litio a zero emissioni con la geotermia. Di fatto, in tutta Europa, anche dove i progetti sono solo in discussione o allo stato cartaceo, c’è totale chiusura e una ostilità diffusa. Serve realismo, in tutti i sensi. Non si può certo tornare alle miniere del XIX e XX secolo o replicare quel che già di nefasto accade altrove, particolarmente in Cina, Asia, Africa, con  nessun rispetto per l’ambiente e per le condizioni di terribile sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori, in particolare i bambini, nelle miniere di cobalto e di altri materiali preziosi. Non solo. Il concetto di sostenibilità va reso operativo anche in ambito estrattivo. Quando, ad esempio, si parla di cobalto in Europa, si tende a recuperare vecchi siti minerari (che vanno bonificati e risanati) di questo materiale prezioso fondamentale nell’utilizzo degli accumulatori di energia. Le produzioni devono essere fatte esclusivamente nell’ambito della sostenibilità, iniziando dalle condizioni di lavoro per arrivare all’utilità del prodotto lavorato. Se è vero, come è vero, che l’Europa e anche l’Italia, ha le materie prime definite “critiche” e fondamentali per lo sviluppo, altra via non c’è se non usare ogni via corretta e valida, compresa la riapertura delle miniere.