La voce del Sybil system.
Psycho pass e la critica della società della sorveglianza

Di Francesco Subiaco

24 gennaio 2023

Anno 2112, in un Giappone distopico e anestetizzato la condizione psicologica e le tendenze caratteriali delle persone possono essere misurate e trasformate in numeri, codici, quozienti che se misurati e analizzati possono diagnosticare il coefficiente di criminalità insito negli essere umani. Ogni disposizione psicologica viene, quindi, registrata e controllata generando un rating che determina un criterio di giudizio sull'animo degli individui, conosciuto come PSYCHO-PASS, il quoziente di credito sociale su cui si fonda il mondo del Sybil System, la cui voce gelida e artificiale giudica il bene e il male, i giusti e i colpevoli di questa nuova "utopia" digitale. Una utopia che dopo anni di conflitti, di errori, di esperimenti, umani troppo umani, ha scelto di affidarsi non più all'arbitrio dei suoi componenti bensì al giudizio macchinico e "onnisciente" del Sybil system, una intelligenza artificiale che attraverso la valutazione delle attitudini, delle inclinazioni e dei dati elaborati dal proprio sguardo onnipresente, in nome della pubblica sicurezza, decide l'esistenza e il destino dei suoi sudditi, costantemente monitorati e sedati, tramite cure, terapie e antidoti. Un mondo in cui il bene e male vengono decisi dalla voce del Sybil: i dominator; delle armi immersive in dotazione agli agenti della pubblica sicurezza, proxy del potere centrale, affidate agli ispettori ed agli esecutori (criminali latenti che per evitare un destino di cattività e prigionia decidono di diventare i cani da caccia di quello stesso potere che li ha condannati ad essere dei reietti), che durante i casi in cui incappano vengono utilizzate per effettuare le sentenze del Sybil sui criminali latenti che minacciano questa repubblica platonica della civiltà del codice.

Fonte: Unsplash.com

È questo lo scenario in cui si svolge "Psycho pass" il geniale e visionario anime, prodotto animato nipponico, del 2012, che compie in questi mesi suoi dieci anni di rilascio in Italia, una serie che ha sconvolto il panorama fantascientifico per la sua capacità di anticipare e indagare i dilemmi etici ed esistenziali prodotti dalla "società senza dolore" e dalle sue degenerazioni. L'opera composta di tre stagioni, di cui il risultato più rilevante è la prima (che sarà il tema di questo articolo) diretta e concepita dallo sceneggiatore e scrittore Gen Urobuchi, la quale ripercorre le vicende e le indagini della giovane ispettrice Akane Tsunemori, che attraverso le indagini che segue insieme al suo team, composto tra gli altri dall'ispettore Nobuchika Ginoza e dall'esecutore Shinya Kōgami, si imbatte in un individuo anomalo che non può essere giudicato dal Dominator, il terrorista Shogo Makishima, ma che anzi pretende di giudicare e distruggere la società retta dal Sybil Sistem. Una indagine che la porterà a compiere un viaggio oscuro ed esistenzialista nel "cuore di tenebra" della società del Sybil Sistem.

Come in una versione macchinica e distopica del testo conradiano, che sin dai primi episodi si mostra come la metafora implicita dell'opera, lo spettatore si imbatte in una discesa oscura tra le frontiere del bene e del male, del vero e del falso, della scelta del singolo contro l'ordine dalla società, in cui ogni caso ed ogni dilemma può essere letto come un invito all'abisso, un momento di stallo in cui i personaggi sono costretti a scegliere se accettare il loro destino o passare il bosco e scegliere la propria strada rispondendo alla domanda latente in ogni episodio: "chi siamo veramente quando tutte le regole e le convinzioni vengono meno?". I ventidue episodi della prima stagione possono essere letti, infatti, come un corso accelerato e condensato di etica, di umanesimo digitale e riflessioni sul senso dell'uomo nel regno della quantità e della tecnica, in cui vengono risolti e affrontati temi cruciali, dal transumanesimo al ruolo dei social, dalla privacy alla giustizia, dagli algoritmi predittivi all'illusione dell'immortalità. Temi che si incrociano e sviluppano in una Tokyo cyberpunk tra Blade Runner e Johnny Mnemonic, gli hacker dei romanzi di Gibson e la società delle illusione di Huxley in uno scenario che utilizza la fantascienza ed i suoi stereotipi come dei pretesti per indagare l'uomo e ciò che lo divora. Le vicende del detective Tsunemori, timida e idealista morbosamente attaccata alle regole e ai dettami del suo tempo, seguono la comparsa e l'affermazione di un elemento caotico e atipico, il criminale e terrorista Shogo Makishima, che può essere visto come un agente provocatore di quel mondo che di fronte alle scelte esatte ed indiscutibili dei Dominator compie crimini agghiaccianti ed impuniti, per mettere alla prova i suoi inseguitori portandoli di fronte alla scelta difficile di dover scegliere tra una scelta giusta, ma fuori dalle regole o la via dell'impotenza di chi viene trattenuto dalle leggi come da delle catene. Una scelta su cui il sottoposto di Tsunemori, al contrario del suo superiore, Kōgami, non ha dubbi poiché sceglie di abbandonare il sentiero della legalità e passare il bosco per fermare un terrorista inafferrabile e fuori dagli schemi in un continuo duello a tre che procederà per tutta la trama della prima stagione. Se Tsunemori infatti rappresenta l'anima kantiana, che difende la legge in quanto intrinsecamente giusta, che pensa che il mondo vada cambiato dall'interno e che non sia la legge a dover proteggere gli uomini, bensì gli uomini a dover proteggere la legge, Kōgami rappresenta invece l'anima da cavaliere oscuro, da eroe alla Lord Jim, un ribelle jungeriano che sceglie in un mondo in cui tutto si fa equivoco e in cui la morale è solo una forma di apatia cullata da divertimenti, di prendere sulle sue spalle il peso delle sue scelte e passare il bosco pur di fermare il delirio omicida e sovversivo di Makishima.

Makishima in questo duello è invece l'anima più complessa e raffinata di tutta l'opera, un umanista, uno spirito profetico ed eretico, lettore audace di Foucault e Nietzsche, ma anche di Heidegger e dei vangeli, che di fronte alla spersonalizzazione di una città utopica, che da luogo che non c'è si è trasformato in luogo in cui non si è, sceglie di voler scardinare le fondamenta di questa Repubblica platonica che assomiglia di più alla Laputa dei viaggi di Gulliver, un luogo che fluttua sul mondo cullandosi nella melassa digitale del progresso, della tecnica e delle occasioni magnifiche e artificiali dei propri ordigni, scegliendo contro di essa la via di una esistenza tragica e sovversiva che vuole risvegliare il mondo in cui è imprigionato, come un soldato nemico in una nazione occupata, scegliendo una via crudele e sanguinaria, contro cui sia Tsunemori che Kōgami, pur non difendendo o giustificando il potere del Sybil, si scontrano. Un duello tra idee assolute che si svolge sullo sfondo di un Giappone che si presenta come una parodia della vita vera, una dorata e anestetizzata prigione senza mura in cui non pensare, ma funzionare, un luogo in cui gli essere umani esaurite le brame del progresso e della ragione sono vittima delle loro stesse conquiste che non si sono rivoltate contro di loro bensì si sono solo avverate. Guardare Psycho pass non è quindi solo osservare un opera tra il Cavaliere oscuro e Neuromante, ma è osservare un'opera che indaga gli spiragli della società della sorveglianza mentre questi si assottigliano prima che si chiudano per sempre.