La storia che scorre sotto i mari

29 marzo 2023

Di Vincenzo Pisani

Intervista a Cosmo Colavito, ingegnere elettronico e libero docente in radiocomunicazioni, sul tema dei cavi sottomarini

Ottobre 2022: un peschereccio trancia accidentalmente il cavo sottomarino in fibra ottica SHEFA-2 - nell’Atlantico settentrionale e gli oltre ventimila abitanti dell’arcipelago scozzese delle Shetland restano isolati dal mondo per diversi giorni. Nessun accesso a internet, nessun collegamento telefonico. Nello stesso mese, alcuni altri incidenti accadono nel Golfo di Marsiglia, provocando rallentamenti nella connessione tra la Francia e il resto d’Europa, in Asia e negli Stati Uniti. Le notizie provenienti dall’Atlantico e dal Mediterraneo suscitano preoccupazione in tutto il mondo, poiché arrivano a un mese di distanza dalla scoperta di alcune falle ai gasdotti Nordstream e Nordstream 2 nel Mar Baltico, a tutt’oggi ancora oggetto di indagini.  
Nell’epoca dei nativi digitali, della realtà aumentata, degli avatar e delle criptovalute è sempre più difficile cogliere la dimensione fisica, concreta, tangibile delle infrastrutture che sorreggono e alimentano l’infosfera in cui abitiamo. Eppure, la digitalizzazione è prima di tutto una realtà di tecnologie e luoghi reali in cui i dati vengono generati, veicolati, raccolti, processati. Luoghi che erroneamente tendiamo a cercare in alto, immaginandoli in viaggio nello Spazio, quando dovremmo rivolgere lo sguardo verso il basso, per l’esattezza sotto gli abissi marini. Ad oggi, il funzionamento della rete Internet dipende per circa il 99% da una rete più di 400 cavi sottomarini, per un totale maggiore di 1,3 milioni di chilometri di lunghezza: più di tre volte la distanza dalla terra alla luna. Un sistema articolato e complesso, che si è costruito nel tempo, sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche, ma soprattutto degli obiettivi economici e di difesa e sicurezza delle grandi potenze, già a partire dalla seconda metà del XIX secolo, come ci racconta Cosmo Colavito, ingegnere elettronico e libero docente in radiocomunicazioni, autore di diverse pubblicazioni sul tema della storia delle telecomunicazioni.


Il suo libro “TELEGRAFI E TELEGRAFISTI DEL RISORGIMENTO. Storia delle prime comunicazioni elettriche in Italia.” offre una chiave di lettura diversa e affascinante sulla nascita del Regno d’Italia. Un percorso di unificazione che avrebbe trovato appoggio e slancio anche oltre Manica.


La storia del Risorgimento è complessa e intreccia molti fattori. Ma Londra ha svolto un suo ruolo nel favorire l’Unità d’Italia. E non solo in chiave antifrancese, come riportato da buona parte della storiografia. Sin dall’inizio degli anni Cinquanta del XIX Secolo, il Governo britannico perseguì tenacemente l’obiettivo di costruire una rete di comunicazioni all’altezza della Nazione più potente dell’epoca. Era infatti essenziale assicurare all’Impero per un verso maggiore rapidità ed efficienza nelle transazioni commerciali e finanziarie, per un altro uno strumento per controllare e gestire in “tempo reale” le colonie sparse nei vari continenti. Da qui l’esigenza di un sistema telegrafico che raggiungesse via via l’intera estensione dei territori d’oltremare della Corona. I francesi, già sul finire del XVIII secolo, grazie alle invenzioni dei fratelli Chappe, impiegavano il telegrafo ottico, con il quale mediante "stazioni" (i cosiddetti “semafori di Chappe”) opportunamente distanziate, i messaggi venivano trasmessi da una alla successiva, che lo ritrasmetteva. Un sistema ingegnoso, che si diffuse in vari Paesi, ma che - oltre ad essere lento e poco affidabile - non poteva certamente rispondere alle necessità di comunicazione intercontinentali. Come sempre, la storia della tecnologia nasce dalla competizione di idee e sperimentazioni, ma anche da collaborazioni e fallimenti che portano finalmente all’innovazione che fa la differenza. Ed è questo anche il caso dei telegrafi elettrici. Dopo l’inaugurazione nel 1843 di un servizio pubblico telegrafico tra Londra e Slough con il sistema ad aghi di Charles Wheatstone e William Fothergill Cooke, l’americano Samuel Morse attuava, l’anno successivo, il collegamento tra Washington e Baltimora mediante il codice noto con il suo nome, che codifica le lettere dell'alfabeto in sequenze di impulsi elettrici di due diverse durate (punti e linee). Grazie alla sua praticità, il sistema Morse prevalse su tutti gli altri di telegrafia elettrica concepiti all’epoca.  Gli impulsi - trasmessi su un solo filo con ritorno a terra o su due fili metallici - correvano lungo linee aeree terrestri. Ciò segnò la premessa per la costituzione delle reti telegrafiche che avrebbero infine servito anche le necessità dell’Impero britannico. Quel “filo” – qualche anno dopo - avrebbe infatti potuto correre anche nei fondali marini e potenzialmente raggiungere ogni angolo del Pianeta. Occorreva innanzitutto ricoprirlo con materiali in grado di isolarlo elettricamente e di proteggerlo dal degrado causato da agenti esterni. E qui entra in scena la guttaperca, una macromolecola di origine vegetale molto simile, per chimica e per origine, alla gomma naturale o caucciù. Si trattava di un materiale facilmente reperibile per gli inglesi grazie alle loro colonie nel sud-est asiatico. Non stupisce dunque scoprire che la prima società al mondo a costruire cavi sottomarini fosse proprio la britannica Gutta-Percha Company, fondata nel 1845. Di sua produzione fu il cuore del primo cavo subacqueo per il collegamento telegrafico tra Dover e Calais, nel 1851, come di molti cavi successivi. Le compagnie britanniche mantennero quindi sin dall’inizio e per diversi decenni l’esclusività delle tecnologie per la produzione e le posa dei cavi sottomarini.


È una storia affascinante. Ma in che modo tutto questo riguarda la nascita del nostro Paese?


Ci stiamo arrivando. Nel progetto britannico di una rete telegrafica verso le colonie africane e asiatiche, il Mediterraneo rappresentava il primo ostacolo. I primi cavi sottomarini, per via della loro genesi sperimentale non supportata da adeguate conoscenze del funzionamento elettrico, potevano infatti coprire solo distanze limitate. Nacque dunque l’idea di un sistema per raggiungere l’Africa mediante un percorso misto, terrestre e marittimo, dalla Liguria fino alla Corsica e di qui, attraverso le bocche di Bonifacio, in Sardegna fino a Cagliari. Un’altra tratta sottomarina era prevista tra Capo Spartivento (Sardegna) e Bona (oggi Annaba) in Algeria. La strategia di internazionalizzazione di Cavour si inserì in questo progetto, proponendo il Regno di Sardegna come principale snodo delle comunicazioni europee verso l’Africa, il Medio Oriente e l’india e facendo sottoscrivere all’allora Ministro dei Lavori Pubblici una convenzione con la “Compagnie du télégraphe électrique de la Méditerranée.” di John W. Brett. La posa del “Cavo Mediterraneo” segnò un primato a livello mondiale per la lunghezza (98 Km) e per le profondità previste (più di 600 m) della sola prima tratta. La stampa britannica dell’epoca definì l’impresa come «un evento di importanza mondiale». Al contempo, il collegamento di Cagliari con il Piemonte e con l’Europa accentuò l’importanza del porto della città, rendendolo per diversi anni l’approdo privilegiato per i vascelli provenienti dall’Oriente. Questo successo confermò la validità della strategia piemontese: proporre il regno sabaudo come piattaforma mediterranea per le telecomunicazioni e la logistica. In quest’ottica, il Regno di Sardegna emise una concessione a beneficio della “Mediterranean Extension Company” per realizzare il collegamento tra Cagliari e Malta, con l’intento di far proseguire il traffico telegrafico verso l’Africa, mediante la tratta sottomarina Malta-Alessandria d’Egitto. Tuttavia, quei cavi sottomarini che cessarono di funzionare alla fine degli Anni Cinquanta, a causa di varie limitazioni tecnologiche. Tutti, tranne il Cavo Mediterraneo. Evidentemente, l’Italia unificata avrebbe rappresentato, come infatti rappresentò, nel decennio successivo, una via terrestre affidabile e sicura per un collegamento telegrafico diretto dal confine francese, senza interruzioni e ritardi ai confini tra gli Stati preunitari, fino alle sponde meridionali della Sicilia e di qui, in cavo sottomarino, verso Malta e Alessandria d’Egitto.


Però nel frattempo, cresceva un’altra potenza e politica, commerciale oltreoceano. La costruzione del primo cavo sottomarino tra Stati Uniti e Regno Uniti risale a quegli anni 


Certamente. Nel frattempo, l’innovazione tecnologica faceva il suo corso. Grazie agli studi condotti sulle proprietà elettriche e ai sistemi innovativi di produzione e di installazione dei cavi, nel 1866 fu possibile realizzare il primo collegamento transatlantico stabilmente funzionante. Ciò portò, alla fine degli anni Settanta del XIX Secolo, alla realizzazione di connessioni sottomarine dirette su distanze sempre maggiori, per esempio tra Inghilterra e Malta, con una inevitabile riduzione del traffico telegrafico di transito attraverso l’Italia. Il nostro Paese, tuttavia, rimase per l’Impero britannico una piattaforma logistica strategica per il trasporto delle persone e delle merci, come è dimostrato dall’inaugurazione nel 1870 della “Valigia delle Indie” (The Indian Mail): un percorso internazionale che collegava la Gran Bretagna con l’India, mediante un treno Londra - Brindisi e di qui in nave fino a Bombay, attivo dal 1870 al 1914, sia per la posta sia per viaggiatori. A supporto della Valigia, nel 1873 la Società Anglo-Mediterranean Telegraph realizzava il cavo sottomarino Brindisi–Alessandria, in base a una Convenzione stipulata due anni prima con la Direzione Generale dei Telegrafi Italiani.
In altre parole, prima il Regno di Sardegna, poi il Regno d’Italia costituirono un importante tassello della rete integrata di comunicazioni e trasporti che iniziò a innervava l’Impero britannico: una rete in cui i cavi telegrafici sottomarini giocarono un ruolo essenziale. In questa prospettiva, possiamo vedere una comunità di intenti tra Cavour e Londra nella nascita di una Nazione sicura e stabile al centro del Mediterraneo.


Dunque, nella seconda metà dell’Ottocento cominciò a nascere e crescere una rete di cavi sottomarini. E l’Italia si trovò al centro del sistema. Un ruolo che riuscì a mantenere?


Si, con gradualità ed entro certi limiti, tenendo conto della supremazia tecnologica britannica. L’Italia unita si impegnò infatti per rinnovare le infrastrutture preunitarie e per realizzare nuove tratte sottomarine. Vale la pena ricordare la nave “Città di Milano”, la prima unità posacavi italiana. Venne costruita nei cantieri britannici Thompson & Sons e varata nel 1888 per conto della società Pirelli, che era detentrice, dal 1886, della Convenzione ventennale con lo Stato italiano per la costruzione, posa e manutenzione dei primi 12 cavi di collegamento con le isole minori. Fu questa unità a realizzare - nell’ambito di un accordo tra Pirelli e il governo spagnolo - la posa del cavo telegrafico tra Jávea (Valencia) ed Ibiza, cui fece poi seguito quello tra Tarifa (Andalusia) e Tangeri (Marocco). Ma operò anche la posa del cavo di collegamento tra Napoli, Ustica e Palermo, ad una profondità di oltre 3700 metri. È interessante menzionare anche il ruolo che giocò nel corso del conflitto italo-turco (1911-1912). “Città di Milano” venne impiegata per la posa e la riparazione di cavi militari italiani, ma anche per il taglio di quelli turchi, talvolta sotto l’imperversare del fuoco nemico. Un’operazione che sarebbe poi entrata a pieno titolo tra le azioni militari marittime tra belligeranti, soprattutto durante le due Guerre Mondiali.
Tornando al filo della storia, il 1921 è un anno importante. Nasceva infatti l’ITALCABLE Compagnia Italiana dei Cavi Telegrafici Sottomarini, ad opera dell’ingegnere Giovanni Carosio. Residente a Buenos Aires, Carosio si fece promotore di una raccolta fondi tra gli emigrati italiani in Argentina per la costruzione di un collegamento telegrafico tra l’Italia e l’America, con l’obiettivo di evitare il transito delle comunicazioni attraverso il Regno Unito. Infatti, alla fine della Grande Guerra, la notizia dell’armistizio tra Italia e Austria era giunta in America Latina con notevole ritardo, contemporaneamente a quella dell’armistizio stipulato l’11 novembre, tra le altre Potenze dell’Intesa e la Germania.  Quattro anni dopo la costituzione della Società, veniva inaugurato il collegamento tra Italia, Brasile e Argentina e quello tra Italia e Stati Uniti. 
Vent’anni dopo, nel 1941, a seguito della fusione con la società ITALORADIO, la compagnia prendeva il nome di ITALCABLE, Servizi Cablografici, Radiotelegrafici e Radioelettrici. 
Poco fa ho menzionato l’aneddoto sul taglio dei cavi. Durante il secondo conflitto mondiale i cavi sottomarini transatlantici italiani vennero interrotti dalla marina britannica. ITALCABLE fu costretta a svolgere il servizio di telecomunicazioni intercontinentali - con i Paesi alleati o neutrali - solo attraverso i collegamenti radio. Al termine della guerra, con il trattato di pace firmato al Palazzo del Lussemburgo nel 1947, fu finalmente possibile iniziare la ricostruzione della rete di cavi sottomarini telegrafici italiani che, per la parte transatlantica, terminò nel 1953.
Nel 1961, ITALCABLE, con l'avvento delle prime telecomunicazioni via satellite, diede vita - insieme a RAI Radiotelevisione Italiana - a Telespazio – oggi partecipata dall’italiana Leonardo e dalla francese Thales – e nel 1965 entrò (insieme a Telespazio), nell’orbita della holding STET (Società Finanziaria Telefonica S.p.A). 


Finora i cavi sottomarini intercontinentali avevano trasportato solo comunicazioni telegrafiche. Quando e come iniziarono le comunicazioni telefoniche sulle grandi distanze? 


In realtà, grazie alle intuizioni e alle realizzazioni di Guglielmo Marconi, sin dalla fine degli anni Venti del Novecento, era stato possibile realizzare collegamenti radio telefonici a grandissima distanza, utilizzando le così dette HF (alte frequenze). Fino alla realizzazione dei cavi telefonici transatlantici, a metà degli anni Cinquanta, la radio rimase l’unico mezzo impiegato per le conversazioni telefoniche transoceaniche. Il TAT1 (Transatlantic Communications Cable n ° 1) fu il primo sistema di comunicazioni telefoniche transatlantiche via cavo, posato tra Gallanach Bay (Scozia) e Terranova tra il 1955 e il 1956. Dotato di amplificatori sommersi, aveva una capacità di 36 canali telefonici e superava largamente per qualità e affidabilità le comunicazioni in HF. Negli anni successivi, sarebbero stati posati altri cavi, con capacità via via maggiori e caratteristiche tecnologiche più avanzate in Atlantico (TAT2, ecc.), come in numerose altre direttrici.
Nel corso degli Anni Sessanta si sviluppò però la tecnica dei satelliti artificiali che – in quanto economicamente convenienti al di sopra di certe distanze per telecomunicazioni - rappresentarono un concorrente dei cavi sottomarini. L’Italia fu tra i primi Paesi a predisporre le strutture terrene necessarie per sperimentare e realizzare collegamenti telefonici via satellite tra punti fissi e per scambiare programmi televisivi. A tale scopo venne fondata, come già ricordato, la Società Telespazio. Dopo un periodo di sperimentazione, il servizio telefonico commerciale tra Italia e Stati Uniti iniziò nel 1965, utilizzando il satellite geostazionario Early Bird poi denominato INTELSAT 1. Da allora in poi, per circa trenta anni, il traffico intercontinentale telefonico e dati fu suddiviso tra cavi sottomarini e satelliti, prevalentemente della serie INTELSAT, al fine di utilizzare al meglio le caratteristiche dei due mezzi trasmissivi.
La svolta tecnologica che portò i cavi in deciso vantaggio economico rispetto ai satelliti fu l’impiego delle fibre ottiche, già sperimentate e utilizzate in Italia, sin dagli anni Settanta, per i collegamenti terrestri dallo CSELT e dalla SIP, rispettivamente il Centro di ricerca e la Società di Esercizio del Gruppo STET. Il primo cavo sottomarino transatlantico in fibra ottica fu il TAT-8 (1988-2002) con capacità di 280 Mbit/s (Milione di impulsi trasmessi al secondo). Come vede, inizio ora a parlare non più di canali telefonici, ma di bit, vale a dire di impulsi impiegati per trasmettere le informazioni - sotto forma numerica - su cavi in rame o in fibre ottiche, rispettivamente come impulsi elettrici o luminosi. Si passava così, anche per i cavi sottomarini, dalla trasmissione analogica a quella digitale. Dopo il TAT8, i cavi in fibra ottica sottomarina iniziarono a diffondersi in tutto il mondo, perché le loro crescenti capacità di trasmissione, di cui parleremo tra poco, rendevano i costi unitari (per bit trasmesso) decisamente inferiori a quelli dei collegamenti via satellite. In altre parole, per questi ultimi non c’era più partita.


E poi arrivò internet…


Il successo delle fibre ottiche nelle reti di Telecomunicazioni dipese non solo dalle loro grandi capacità, ma anche dalla particolare “attitudine” a trasmettere segnali numerici (o digitali), che sono alla base delle comunicazioni tra computer. Proprio per collegare tra loro vari computer (inizialmente quelli di Università e Istituzioni governative statunitensi), nacque negli anni Sessanta del Secolo scorso la rete ARPANET, antenata di INTERNET (che ne avrebbe poi preso il posto tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del decennio successivo). Nel 1989, fu concepita, presso il CERN di Ginevra, l’idea del World Wide Web ad opera dell’informatico inglese, Tim Berners-Lee che pubblicò il primo sito web il 6 agosto 1991. Nel 1990 iniziò anche la definizione di standard per scambiare documenti su reti di calcolatori: il linguaggio HTML e il protocollo di rete HTTP. L’insieme di queste innovazioni creò il terreno per la sua diffusione di Internet a livello global, che arrivò a contare, alla fine del XX secolo, più di 200 milioni di utenti. 


E che impatto ebbe la nascita del web sui cavi sottomarini per le telecomunicazioni?


La crescita del traffico dati su dirompente, anche a livello intercontinentale. E tutti prevedevano ulteriori incrementi nel giro di poco tempo che, per essere soddisfatti, avrebbero richiesto, tra l’altro, la realizzazione di nuovi cavi sottomarini. Il numero di cavi posati in mare negli anni 1999 e 2000 raggiunse perciò cifre record (26 in ciascun anno). 


Tali previsioni erano corrette?


Purtroppo, no, almeno nell’immediato. È noto, infatti, che nel 2001 scoppiò la bolla speculativa delle dot.com, che portò a ridimensionare i piani di sviluppo. Negli anni dal 2001 al 2007, la media di nuovi cavi immersi per anno scese a 6. Seguì un periodo con andamento oscillante e una media di poco più di 12 cavi per anno. La ripresa del dot.com, iniziata nel 2016-17, condusse i nuovi record, fino a raggiungere la cifra di 24 nuovi cavi per anno nel 2019 e nel 2022. A tutto ciò si devono aggiungere le capacità notevolmente più elevate dei nuovi cavi rispetto ai precedenti, sia per l’aumento del numero di fibre (in ciascun cavo), che per la maggiore velocità di trasmissione per fibra. 


Dunque, crescono le capacità delle infrastrutture, cresce il traffico dati. A sua volta, il consumo crescente di contenuti tramite Internet continua ad alimentare e a far aumentare il traffico, specie per comunicazioni a larga banda, come quelle video o per i nuovi servizi (ad esempio il cloud) basati sulle piattaforme delle grandi Big Tech statunitensi, come Google, Meta, Amazon e Microsoft. La generazione di traffico generato da questi content provider si stima ammonti attualmente al 66% del totale che transita nei cavi sottomarini. Nel 2012 era solo il 10%. Ciò provoca conseguenze. Per esempio, sulla proprietà dei nuovi cavi. Tradizionalmente, le maggiori compagnie di telecomunicazioni, in gran parte private, costituivano consorzi finalizzati alla realizzazione dei nuovi cavi, avvalendosi a tale scopo di aziende specializzate nella produzione, nell’installazione e nel mantenimento dei cordoni. Negli ultimi anni, i content provider hanno iniziato a soddisfare le proprie esigenze anche autonomamente, tanto da raggiungere una quota proprietaria maggiore del 10% dei cavi sottomarini attuali, con previsione di ulteriori incrementi. La sola Google possiede in esclusiva 20 cavi con una estensione di circa 16.000 Km. 


E l’Italia?


Negli Anni Ottanta, la gestione del traffico internazionale, prevalentemente telefonico, generato, diretto o transitante in Italia, era suddivisa tra la ASST (Azienda di Stato i Servizi Telefonici) per le direttrici europee e del bacino del Mediterraneo e la ITALCABLE, per quelle extra-europee. Nel 1994, con la creazione di Telecom Italia, la gestione di tutte le Telecomunicazioni italiane, comprese quelle dell’ASST, divenuta IRITEL nel 1992, e di ITALCABLE confluì nella nuova Società. L’eredità delle comunicazioni in cavo sottomarino è stata raccolta da Telecom Italia Sparkle, che fornisce i servizi di telecomunicazioni internazionali all'utenza di Telecom Italia e rivende a terzi tali servizi. È il settimo operatore mondiale del settore ed il secondo in Europa. 
Oggi, nel nostro Paese, ben 26 cavi sottomarini approdano in 15 stazioni terminali terrestri. Particolare importanza sta assumendo l’hub integrato di Genova e Savona dove, oltre ai cavi esistenti, è approdato nell’aprile del 2022 il cavo 2Africa. Inoltre, sono in corso i lavori per l’approdo del Blue Med che, con 400 Terabit/s di capacità complessiva, ci collegherà entro l’anno in corso con molti Paesi mediterranei, tra cui Israele, Grecia e Francia.  Un’altra iniziativa in cui l’Italia figura tra i maggiori protagonisti, è il progetto Medusa: un cavo ad alta capacità in grado di collegare cinque Paesi UE del Mediterraneo con altri quattro del vicinato meridionale: Algeria, Egitto, Marocco e Tunisia. Per questo progetto, la Commissione Europea ha concluso un accordo con la Banca europea per gli investimenti (Bei) che prevede l’erogazione di 40 milioni di euro a sostegno dell’iniziativa.


In altre parole, il settore dei cavi sottomarini per le telecomunicazioni resta un settore strategico e continua a crescere. E non teme la concorrenza dei satelliti?


No, non la teme, almeno per il momento. La concorrenza a cui Lei allude è evidentemente rappresentata dai satelliti in orbita bassa già in esercizio o in fase di progettazione. Quelli di cui abbiamo parlato precedentemente erano satelliti geostazionari (GEO), cioè orbitanti a 36 mila chilometri di quota e dalle dimensioni considerevoli. Le nuove costellazioni satellitari orbitano a distanze molto inferiori (LEO, Low Earth Orbit) e - rispetto ai geostazionari - soddisfano le esigenze di alcuni servizi Internet, grazie ai più limitati tempi di transito dei segnali. Queste nuove costellazioni, per assicurare vaste coperture della superficie terrestre, devono comprendere un numero elevato di satelliti, ciascuno dei quali ha però dimensioni e peso estremamente ridotti. Queste caratteristiche, unitamente alle tecniche di recupero dei lanciatori, consentono di ridurre i costi rispetto ai precedenti GEO. Gli attori chiave in questo campo si chiamano SpaceX, OneWeb e Amazon. Attualmente sono in orbita circa 3500 satelliti Starlink. Elon Mask, il loro ideatore e CEO di Space X, prevede di lanciarne almeno 12 mila per completare la copertura terrestre. I satelliti OneWeb attualmente in orbita sono oltre 500.

Ma voglio spiegare perché queste costellazioni, più che dei veri e propri concorrenti dei cavi sottomarini, siano piuttosto una componente complementare. Al momento, le capacità complessive di un sistema satellitare risultano considerevolmente inferiori rispetto a quelle di un cavo sottomarino. Non possono dunque soddisfare la crescente domanda di comunicazioni a grande distanza. D’altro canto, i collegamenti via satellite risultano utilissimi, ad esempio, per coprire zone del globo non raggiunte dalle attuali reti di telecomunicazioni come, ad esempio, deserti e zone polari, oltre che come via alternativa in condizioni di emergenza. È in questa prospettiva che vanno letti i progetti o gli accordi tra alcuni gestori delle telecomunicazioni che operano nei due comparti, volti a integrare i nuovi sistemi satellitari nell’ambito delle reti terrestri. 
E poi c’è il tema della sicurezza. I satelliti sono soggetti ad attacchi hacker, per esempio attraverso i sistemi di gestione automatizzati. È ciò che è accaduto all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, quando hacker russi sono riusciti ad accedere al satellite geostazionario KA-SAT di Viasat, distruggendo le comunicazioni satellitari. E non solo quelle ucraine. Allo stesso tipo di vulnerabilità sono però soggetti anche molti sistemi terrestri e, in particolare, quelli di gestione dei cavi sottomarini. Inoltre, le comunicazioni via satellite, come tutti i metodi di radiocomunicazioni, possono essere oggetto di interferenze e interruzioni. Tuttavia, la resilienza dimostrata dalle comunicazioni attraverso Starlink durante la guerra in Ucraina dimostra come tali minacce, come quelle cibernetiche, siano eludibili mediante appropriate tecnologie. Infine, i cavi sottomarini, apparentemente protetti per la loro allocazione sul fondo degli oceani, divengono paradossalmente vulnerabili proprio a causa della maggiore facilità di occultamento di eventuali minacce per la loro integrità, specie nel corso di conflitti armati. Attualmente, il rischio più grave è costituito dai piccoli sottomarini, che raggiungono profondità di migliaia di metri. Grande cura va perciò posta nello sviluppo e nell’impiego di nuove tecnologie che consentano di sorvegliare e proteggere tanto i cavi sottomarini, quanto i satelliti di telecomunicazioni.


Per concludere, l’Italia ha giocato un ruolo importante nella storia delle telecomunicazioni, contribuendo anche allo sviluppo della rete di cavi sottomarini che tiene in vita questo settore. Cosa consiglierebbe ai nostri decision maker affinché il nostro Paesi continuare ad essere un attore chiave?


L’imperativo categorico per il nostro Paese è oggi la realizzazione degli obiettivi posti dal PNRR, in particolare nel settore delle infrastrutture e dei servizi digitali. Non è difficile prevedere che una più diffusa ed efficace digitalizzazione del Paese determinerà anche l’aumento del traffico internazionale. Sarà dunque necessario sviluppare ulteriormente le interconnessioni internazionali e quindi incrementare il numero di cavi sottomarini, che attraccano sulle nostre coste, rafforzando il ruolo dell’Italia come “hub” della rete Internet non solo mediterranea. Purtroppo, specie nel settore digitale, la disponibilità di risorse umane qualificate è molto scarsa in Italia, in maggior misura di quanto accade negli altri maggiori Paesi europei. Occorre quindi uno sforzo straordinario teso a creare le necessarie competenze sia per completare il PNRR, sia per mantenere a più a lungo termine una presenza competitiva nello scenario mondiale. 
Servono ingegneri, geologi, oceanografi, esperti di sicurezza. Spazio, cyberspazio e subacqueo sono le nuove frontiere. Anzi, sono già domini strategici del nostro presente. E abbiamo bisogno di capacità e intelligenze per operarvi in modo sostenibile, per svilupparli e proteggerli.