Di Nicola Bartolomeo
“È ciò che ci permette di distinguere l’una dall’altra più sensazioni identiche e simultanee: è quindi un principio di differenziazione diverso da quello della differenziazione qualitativa, e, di conseguenza, una realtà senza qualità. (...) Dobbiamo quindi dire che conosciamo due realtà d’ordine differente, l’una eterogenea, quella delle qualità sensibili, l’altra omogenea, e cioè lo spazio”. Così Bergson, nel suo Saggio sui dati immediati della coscienza, inveiva contro lo spazio, sede dell’aridità quantitativa, del calcolo posticcio, della morte del vissuto. Lo stesso Einstein fu accusato – con un certo furore riduzionistico –, dal filosofo francese, di connivenza con le «finzioni matematiche». La pluralità dei tempi e l’amalgama spazio-temporale, capisaldi della teoria della relatività, rappresentavano l’ennesima cancellazione della durata qualitativa in favore della spazializzazione mortifera. A parte l’enfasi bergosniana, non è difficile per noi intendere lo spazio come il luogo dell’ostacolo, del limite, della finitudine. Facciamo esperienza quotidianamente dei condizionamenti a cui la nostra estensione ci sottopone. La battaglia feroce tra possibilità e necessità si gioca sempre sul terreno del nostro esser situati. Lo spazio ci sussurra continuamente: “La tua potenza non è infinita”. Questo motto ci giunge sinistro. Siamo paralizzati. Ci sentiamo destinati alla quiete. Ma non resta che la forza. È il momento del contrattacco. Occorre superare lo spazio. Distanziarsi dallo spazio per vincerlo. Despazializzare il mondo. Elevarsi.
Torus 100 x 80 cm. Grafite e cera su tempera. 2021 Lara Martinato (ph Miriam Broggini)
Di questa ascesi possono fare uso tanto la tecnica quanto l’arte. La tecnica non rinuncia a Sua Maestà Il Numero - ne fa il criterio primario -, instaura la trascendenza, pone lo spirito al di sopra dello spazio, si predispone al dominio. Stirner, ne L’unico e la sua proprietà, è solare: “Spirito si chiama il primo ritrovamento di sé, la prima sdivinizzazione del divino, cioè dell’inquietante, degli spettri, delle «potenza superiori». (…) Il mondo viene spregiato, giacché noi gli siamo superiori, siamo spirito”. La tecnica risponde alla paura dello spazio giungendo alla virtualità. L’Arte, d’altro canto, fende l’immanente attraverso l’infinito. Crea una voragine immateriale nello spazio. Apre un luogo immateriale, dove dimorano i solidi platonici, l’etere aristotelico, la quintessenza, la circolarità irriducibile al moto mondano. La figura geometrica toroidale, protagonista del quadro Torus di Lara Martinato, è la sintesi grafica di tutto questo. La toroide è il contorno della proiezione di un toro su un piano quando il centro di vista è all’infinito. L’Arte crea il dono dell’interiorità visibile, non domina né verticalizza. Supera lo spazio, senza negare il mondo. È lo sguardo infinito che non si accontenta di sé. È il corpo quasi sopito dell’uomo ritratto da Lara, che sta vicino al fondo, senza cadere. L’Arte mette in pausa la cinematografia asfissiante dello spazio, guardando altrove. Inaugura ancora l’invisibile.