I viaggi di Battiato nello spazio, destinazione eternità

Un mese fa moriva Franco Battiato, Civiltà delle Macchine lo ricorda nei suoi viaggi interstellari

Di Giuseppe Pollicelli

 

La prima volta in cui Battiato fa riferimento a veicoli che consentano di attraversare gli spazi siderali è nel 1967, quando adatta, per una cover italiana intitolata Il mondo va così, il testo del brano coevo Et moi et moi et moi del cantautore francese Jacques Dutronc. In un verso della canzone originale si parla di «Cinq cent milliards de petits martiens» e Franco lo adatta come «Cento miliardi di marziani», facendolo seguire, dopo poco, da un verso interamente suo che recita «Quelli preparano le astronavi». Ma è a partire dal 1971, in coincidenza con una radicale svolta elettronica da cui scaturiranno i suoi primi album (fino a quel momento aveva pubblicato esclusivamente singoli romantici o di protesta, peraltro di modesto successo), che Battiato comincia a essere ispirato significativamente dall’idea del viaggio nello spazio.

Nel suo primo lp, Fetus, che fu pubblicato a gennaio del 1972 dall’etichetta milanese Bla Bla e che prende le mosse dalla novella distopica di Aldous Huxley Il mondo nuovo (1932), Franco tocca l’argomento, più o meno esplicitamente, in ben tre brani: Una cellula («Viaggeremo più veloci della luce / intorno al sole / come macchine del tempo / contro il tempo che non vuole»); Meccanica («Meccaniche le dita / di polvere lunare…»), che si conclude con un campionamento - a cui si sovrappone l’Aria sulla quarta corda di Bach - dello scambio di battute fra l’equipaggio dell’Apollo 11 e il presidente americano Nixon avvenuto il 20 luglio 1969, poco prima dell’allunaggio; e soprattutto Anafase («Varcherò i confini della terra / verso immensità... / Sopra le astronavi / verso le stazioni interstellari. / Viaggerò...»).

Sempre nel 1972, la Bla Bla dà alle stampe il 45 giri Convenzione / Paranoia. Nel comporre la prima delle due tracce, imperniata su un sostenuto fraseggio del sintetizzatore analogico VCS3, Battiato attinge alla trama del romanzo La voce del padrone (1968) di Stanislaw Lem: «Molti andarono su Giove / fra pianeti artificiali / e altri su Venere in cerca di spazio. / Un po’ restammo quaggiù sotto il mare... / Un po’ restammo quaggiù sotto il mare... / Sopra l’acqua dei segnali / di un cervello sconosciuto... / Intercettare il linguaggio ricevuto! / Cerchi di luce attraversano il cielo…».

Facciamo ora un salto in avanti sino a metà degli anni Ottanta. Nel 1984 Battiato, assieme al suo più stretto collaboratore dell’epoca, il violinista Giusto Pio, compone il brano Auto-Motion, sigla di coda del programma televisivo della Rai Clips, il cui testo e le cui sonorità richiamano curiosamente quelli di tante sigle italiane di serie animate giapponesi a base di robot e astronavi: «L’umanità si sveglierà al suono delle sfere / saremo avvolti da un rumore di fondo / tra le colonie di Mercurio / e della Terra non resterà / che un pallido ricordo…». E ancora: «Un’unità ci guiderà / sulla città satellite / pattuglie a sfera fatte solo di fuoco / dentro agli anelli di Saturno…».

L’anno dopo vede la luce l’album più “fantascientifico” di Battiato, Mondi lontanissimi, che già in copertina mostra Franco di spalle mentre, da una finestra, osserva un cielo notturno in cui domina Saturno con i suoi anelli. I due brani che affrontano il tema dei viaggi spaziali, Via Lattea e No Time No Space, possono a buon diritto essere inseriti - in particolare il secondo - nell’ampio scrigno delle gemme battiatesche. In Via Lattea Franco canta, fra l’altro: «Ci alzammo che non era ancora l’alba / pronti per trasbordare / dentro un satellite artificiale / che ci condusse in fretta / alle porte di Sirio / dove un equipaggio sperimentale / si preparava al lungo viaggio…». E in No Time No Space: «Seguimmo per istinto le scie delle comete / come avanguardie di un altro sistema solare… / Controllori di volo pronti per il decollo / telescopi giganti per seguire le stelle. / Navigare, navigare… Nello spazio, nello spazio… / Di più: seguimmo per istinto le scie delle comete / come avanguardie di un altro sistema solare…».

Dalla seconda metà degli anni Ottanta fino alla metà dei Novanta la produzione musicale di Battiato attraversa una fase prettamente mistica in cui la metafora dei viaggi intergalattici non trova più ospitalità. Seguirà l’avvio della collaborazione, relativamente ai testi, con il filosofo siracusano Manlio Sgalambro, ed è proprio in una canzone scritta a quattro mani con quest’ultimo, Vite parallele (contenuta nell’album Gommalacca del 1998) che compare un ultimo, diretto richiamo al firmamento: «Mi farò strada tra cento miliardi di stelle / la mia anima le attraverserà / e su una di esse vivrà eterna. / Vi sono dicono cento miliardi di galassie / Tocco l’infinito con le mani / aggiungo stella a stella / sbucherò da qualche parte / sono sicuro, vivremo per l’eternità…».

Nel vastissimo repertorio musicale di Franco Battiato l’esperienza del viaggio riveste, dunque, una centralità indiscutibile. E per “viaggio” non si deve intendere solo lo spostamento tra due punti più o meno distanti del pianeta Terra. Pur presente, quest’accezione - la più convenzionale fra quelle associabili all’azione del viaggiare - è anzi la meno rilevante nella poetica del musicista siciliano scomparso un mese fa. Quello cantato con maggiore trasporto e assiduità da Battiato è un viaggio interiore, all’interno di sé stessi, per arrivare a conoscersi il meglio possibile e, in tal modo, evolvere, avvicinarsi a quell’immagine divina di cui gli esseri umani sono quasi sempre dimentichi ma che, in qualche modo, appartiene a ognuno di loro. Il viaggio dentro sé, dunque, corrisponde per Battiato al viaggio in direzione di Dio, cioè la fonte prima, unica e incorrotta: perché dovere degli uomini è appunto tendere al divino, muoversi nella sua direzione, non attendere - giacché sarebbe vano - che sia Dio a recarsi presso di loro, a offrire segni della sua presenza. Per raccontare questo viaggio di carattere metafisico e mistico, il vero e solo viaggio a cui l’umanità sia chiamata, Battiato si è spesso servito di un’efficace metafora: quella del viaggio nello spazio. Sia perché esso implica l’abbandono della dimensione terrestre sia in ragione di una sicura passione per la fantascienza coltivata da Franco in età giovanile e – mano a mano – rimpiazzata dallo studio delle connessioni fra scienza e spiritualità.

L’augurio migliore da rivolgere a Franco Battiato è che, dopo averlo tante volte evocato, stia adesso davvero affrontando - anzi, proseguendo, seppure in altra forma - quel lungo viaggio che ha come traguardo la vita eterna dell’anima, finalmente ricongiunta al suo creatore.

Giuseppe Pollicelli – regista, saggista – è autore del film Temporary Road (una) Vita di Franco Battiato e del libro recante lo stesso titolo edito da La Nave di Teseo, Milano 2018 Tra le altre pubblicazioni la curatela di Il silenzio e l’ascolto. Conversazioni con Pannikar, Jodorowskj, Mandel e Rocchi di Franco Battiato, edizioni Castelvecchi, Roma 2014 © Joe Pinky