Rinascita-Scott, il maxi processo digitale

Intervista a Nicola Gratteri: "Nel 2021 non possiamo pensare a una giustizia con penna e calamaio"

Di Amelia Cartia

Rinascita Scott è il più grande processo per mafia dopo il maxi processo celebrato all’Ucciardone di Palermo nel 1992. Trecentoventicinque imputati, oltre 400 capi d’accusa a carico delle grandi famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che il 13 gennaio ha avviato i lavori nell’aula bunker di Lamezia Terme, spiega cosa comporti gestire tali numeri in epoca di distanziamento.

Procuratore Gratteri, il precedente logico è quello del maxiprocesso palermitano: lì le 750.000 pagine di atti erano cartacee. Oggi la transizione digitale fa una rivoluzione: cosa cambia con i processi a distanza?

Con la modifica processuale introdotta, questa mia proposta, si prevede che il detenuto - in regime di massima sicurezza, o 41bis - rimanga nel carcere: così quando deve essere sentito può rimanere dove si trova mentre l’udienza si svolge anche in un’altra città. In questo modo non solo si risparmiano circa 70 milioni per scorte, trasferimenti e traduzioni da un carcere all’altro, ma si riduce anche il rischio di evasioni. A ciò si aggiunge un risparmio per i 10.000 uomini di polizia penitenziaria che anziché occuparsi dei trasferimenti possono essere impiegati nel carcere. Negli anni 90 non c’era questa possibilità, e i detenuti venivano portati in udienza con il rischio che concentrandosi a centinaia nell’aula bunker questi potessero scambiarsi notizie, fare strategie per poi fare proselitismo una volta tornati in carcere.
Come cambia l’aula?
Abbiamo attrezzato l’aula, che è di 3.300 metri quadri, e che ha quasi mille posti a sedere distanziati secondo le norme Covid. È così possibile collegarsi in video conferenza anche da 150 carceri contemporaneamente. Con la norma precedente, i detenuti dovevano comunque spostarsi dai penitenziari più piccoli a quello attrezzato per la videoconferenza, per esempio da Vibo a Catanzaro. Per il Covid abbiamo disposto che ogni avvocato abbia due prese elettriche, il telefono e un microfono, per non condividerli con altri. Abbiamo poi 36 telecamere anche mobili che permettono di attivare il grande schermo sull’inquadratura di ogni persona che prenda la parola, sì da documentare come fosse un film tutto ciò che accade in aula, che viene poi riversato su cd e server. Così acceleriamo la verbalizzazione: si fa un verbale di sintesi, il resto è documentato da registrazione.

L'aula bunker di Lamezia Terme

 

Poi si trascrive?

Non serve, è già un atto: chiunque può chiederne copia.

Questo rende più oggettiva ogni deposizione.
Perfetto. Io per questo sono “fissato” con l’informatica: perché abbatte tempi e costi del processo, e soprattutto il potere discrezionale dell’uomo.

Si parla di “palcoscenico vuoto”: si rischia cioè che l’interlocuzione sia farraginosa?

Il contrario: l’unico caso in cui do ragione a questa obiezione è l’udienza di convalida, cioè quando il detenuto entra per la prima volta in carcere ed è importante che il Gip che convalida l’arresto lo guardi da vicino. Ma il resto si può fare in videoconferenza: non servono polemiche. Non possiamo nel 2021 pensare a una giustizia con penna e calamaio. I bambini nascono con i tablet nella culla, la telemedicina ci permette di fare operazioni chirurgiche dall’Italia agli Stati Uniti con i computer di ultima generazione: l’informatica cioè va bene per tutto e solo il processo deve andare a passo di lumaca?

Questa modalità si manterrà anche a emergenza finita?

Dev’essere la norma: bisogna investire nell’informatica, la giustizia uscirà dalla lentezza che la contraddistingue solo se si affida a ingegneri informatici, adeguandosi a tutte le altre branche della pubblica amministrazione, altrimenti continueremo solo in modo stanco a parlare dei suoi mali, non sempre in buona fede.

Rispetto al maxi processo di Palermo non sono cambiati i mezzi solo per i tribunali, ma anche per i mafiosi.

Le mafie non sono un corpo estraneo alla società, si nutrono del cambiamento e mutano con il mutare sociale. Si nutrono di consenso popolare: ci somigliano sempre più. Frequentano i nostri ambienti, sono più facilmente mimetizzati con la cosiddetta società civile. Sta a noi stanarli e sradicarli anche perché la mafia è sempre meno violenta, spara di meno, ha più soldi per corrompere, dato che la società di oggi ha meno etica: non c’è più rossore nel farsi corrompere.

Cosa abbiamo imparato dal maxi processo?

Che se c’è la volontà politica e popolare di cambiare le cose, si può fare. Le mafie esistono perché si nutrono del consenso popolare, se non lo avessero sarebbero criminalità comune. È soprattutto una volontà politica e sociale a tenere in vita le mafie.