L'abisso dei Titani

21 giugno 2023

Di Marco Casu

Cinque persone sul fondo dell'oceano, in un sottomarino lungo sette metri.
Il Titan e il Titanic inghiottiti dallo stesso abisso. Davvero una nuova – drammatica – frontiera del turismo estremo: non mera osservazione, ma esperienza diretta, della tragedia che fu, e che ora si ripete.
Un'esperienza della carne e non degli occhi. In fondo, in fondo al mare, la luce non c'è. Ce la portiamo noi, per quel poco che riusciamo a starci. Due giorni di ossigeno, di autonomia. E poi buio. 

Nello spazio e negli abissi siamo solo turisti, figure temporanee, di passaggio.
Ma se il cielo stellato è sempre stato fonte di orientamento, rivelazione dell'ordine che il "cosmo" è, sotto la superficie regna il caos. E il caos, per definizione, inghiotte. Perché sfidarlo? Perché non abbiamo mai fatto altro.

Il Titan e il Titanic sono due prodigi della tecnica, e la tecnica è in se stessa una sfida, una provocazione. Nasce così, grazie ad un altro Titano: Prometeo ruba il fuoco, che è roba da dèi, e lo dona all'uomo, che è...


Cosa è l'uomo? La domanda è malposta. L'uomo non è, ma diviene. Il fuoco ci ha trasformato. La cottura dei cibi ha modificato il nostro apparato digerente, dai denti all'intestino. Il fuoco ha trasformato il nostro corpo, e dunque anche il nostro cervello (confronta un cranio di homo erectus e uno di homo sapiens). Il fuoco ha regolarizzato il sonno notturno, proteggendoci dai predatori, quando eravamo ancora prede. Il fuoco ci ha reso superpredatori. Il fuoco di notte fa le veci del sole, e d'inverno dell'estate. Crea una casa dove non c'è.
Proprio l'erectus, per primo e grazie al fuoco, ha abbandonato l'Africa orientale; ha iniziato ad esplorare e colonizzare ambienti nuovi e inospitali. 
Siamo ancora questi primi esploratori, ma siamo anche cambiati. Cambiano le nostre protesi, le fiaccole, le torce, le pelli, i sottomarini, le astronavi – questi gusci di tecnica che separano la vita dalla morte, l'abitabile dall'inabitabile.
Ma resta la nostra essenza protesica, un'essenza in divenire, un percorso, un viaggio, un tour.

Tra tutte le rotte terrestri ed extraterrestri, quella verso l'abisso è la più oscura, e forse la più sacra. Conduce al cuore del pianeta che chiamiamo Terra, benché per due terzi coperto dal mare. Un pianeta che per lo più respira ossigeno marino.
Ma l'esplorazione del subacqueo conduce anche al cuore della vita, che forse è nata lì (e in gran parte ancora lì si trova), sul fondo dell'oceano. Molto prima che la natura inventasse la fotosintesi, molto prima che la vita stessa creasse un'atmosfera in grado di proteggere le terre emerse dalle radiazioni solari, furono i camini vulcanici sottomarini a sprigionare l'energia necessaria alla formazione della prima cellula. Ogni cultura, ogni lingua lo sa: tutto l'ordine del cosmo viene dal caos.

La prima scintilla fu il fuoco dell'abisso, una culla tra le onde. Ha generato la vita, e ancora la protegge. È da lì che veniamo, ed è lì che stiamo tornando. Per le risorse, per il turismo, coi nostri errori di sempre, e la nostra sete di osare, esercitare dominio, depredare.
Nel nostro ritorno verso l'abisso, la vera sfida non è economica, scientifica o tecnologica. È una sfida etica. Alla fine toccheremo il fondo, lo conquisteremo, sarà a nostra disposizione. E ciò che ne faremo dirà chi siamo diventati.