Addio Nanou, emblema della donna “tuttofare” nel motociclismo dei Giorni del coraggio

Di Massimo Falcioni

05 dicembre 2022

Il motociclismo piange Nanou Lyonnard, per 25 anni, dalla fine degli anni ’50 agli inizi degli anni ’80, donna emblema della compagna tuttofare dei piloti del Continental Circus dove una manciata di corridori ufficiali, pieni di gloria e di soldi, arrivava sui circuiti del Motomondiale in Porsche e Rolls Royce e tutti gli altri, sconosciuti e squattrinati, con furgoni e camper sgangherati. Per i protagonisti e gli addetti ai lavori, i piloti in tuta di pelle nera bruciata dalle strisciate sugli asfalti e i meccanici in tuta di cotone blu, un peregrinare continuo in giro per l’Europa, stagione dopo stagione, dagli inizi della primavera a fine autunno. Gli “accasati”, con al seguito avvenenti compagne-star (“ombrelline” ante litteram) riveriti campioni su bolidi iper tecnologici curati da staff di tecnici super professionali. I “privati”, centauri per lo più sconosciuti provenienti da tutti i continenti, in cerca di gloria su moto tenute insieme col fil di ferro e aiutati dalla compagna di turno che si ingegnava a far tutto per vivere alla meno peggio la comune passione. Era l’epopea del motociclismo dei “giorni del coraggio”: unica e inimitabile per quel che accadeva in pista e fuori, nel paddock e lungo i circuiti. Il magico sound dei bolidi con i “tromboni” degli scarichi aperti si fondeva con gli applausi e le grida in ogni lingua dei 100-200-300 mila e passa tifosi sugli spalti: folclore e passione, una gran festa di popolo, spesso tarpata dalla spada assassina della “signora in nero” che, su quelle piste ammalianti e assassine, non mancava mai. Nanou, per più di un quarto di secolo attiva e… corteggiata su tutti i circuiti, non era un pilota (in quegli anni le donne tutt’al più facevano da passeggere-kamikazenei sidecar) ma correva dietro ai sogni di quei centauri che rischiavano la vita per un pugno di soldi e per uno scampolo di gloria che spesso si tramutava in tragedia. Nanou Lyonnard  era entrata nel giro delle corse poco più che ragazza, seguendo nelle gare francesi il corridore  d’Oltralpe Jacques “Jacky” Insermini diventato negli anni ’70, con lo pseudonimo di Bruno Kohls, noto attore del cinema porno. Poi il coupe de foudre,l’incontro di Nanou con il pilota australiano Jack Findlay (Shepparton 5 febbraio 1935-Mandelieu 19 maggio 2007), sette anni più giovane di lei, per più di vent’anni il suo grande amore. Stimata e benvoluta in un ambiente povero di soldi ma ricco di amicizie, passioni e tensioni, Nanou, per Jack Findlay, era tutto perché lei tutto faceva per lui, meno che sostituirlo in corsa sui suoi bolidi, sempre tirati a lucido e  a punto, però mai competitivi per vincere l’agognato titolo mondiale.


Jack, grazie anche al supporto “totale” di Nanou, è stato per vent’anni uno dei piloti-tecnici più significativi: dagli inizi degli anni ’60 l’icona del corridore “privat” fino a lambire il paradiso diventando nel 1968 vice campione del mondo 500 sulla Matchless McIntyre Special monocilindrica dietro a Giacomo Agostini su MV Agusta 3 cilindri. A quei tempi, arrivare secondo dopo il binomio Agostini-MV significava vincere il titolo di “quelli dietro”: impresa nell’impresa, perché venivano battuti una cinquantina di corridori, tutti con le stesse monocilindriche di pari potenza e velocità. Tutti, come Jack e la sua compagna Nanou, squattrinati e mai domi, sempre in giro su uno scassato e antidiluviano van Ford, dai mille usi, compreso quello di ambulanza, utilissimo per rimettersi dopo le tante cadute in pista. Nel 1971, Findlay, sulla special JADA con motore derivato dalla Suzuki T 500, moto costruita artigianalmente dallo stesso pilota australiano con il supporto del celebre telaista italiano Daniele Fontana, vince il GP dell’Ulster: era la sua prima vittoria e la prima vittoria per una moto a due tempi nella classe 500 mondiale. Moto veloce e competitiva che però non piaceva a Nanou perché, diceva: “Questa fuma più di me”. Il motociclismo, oltre che sport, è anche cultura. Nelle stagioni ’68 e ’69 il regista francese Jerome Laperrousaz gira il film “Continental Circus” scegliendo come filo conduttore le vicissitudini di Jack Findlay e della sua compagna. Da molti è considerato il miglior film sul mondo delle corse proprio grazie anche alla figura e al ruolo di Nanou. Nel 1961, a trentatrè anni, Nanou aveva incontrato Jack Findlay ferito dopo una brutta caduta a Clermont-Ferrand. Il medico del servizio sanitario del circuito aveva bisogno di un interprete e quando lei si presentò “bella come una regina” Jack si riprese subito dalla gran botta correndo più forte di prima. Da lì partiva la loro storia.


Da lì, per vent’anni, Nanou e Jack erano stati l’emblema della coppia di innamorati  che vivevano i loro anni migliori per quel motociclismo che dava la vita e la toglieva. Oltre a dare tutta se stessa al suo Jack, Nanou era diventata l’ambasciatrice o – come si diceva nel paddock – la sindacalista dei corridori privati: sottopagati con la misera diaria che, addirittura, non veniva data a chi cadeva in prova e non poteva prendere il via alla corsa della domenica. Era stata lei, nel 1971, a spingere il suo “Jack the Fast”, il più grande pilota “privat” di tutti i tempi, a diventare il leader della Grand Prix Riders Association : una prima svolta a favore dei piloti, sia sulla sicurezza dei circuiti che sugli ingaggi e premi di gara. Le stagioni delle corse inseguono gli anni che passano. Il ruolo di regina della “coppia mitica” diventava sempre più stretto per Nanou che, piano piano, esce da quel giro di pazzicui lei aveva dato tutto se stessa. Nel 1976, a 48 anni, dopo una gran festa in suo onore organizzata al TT di Assen, Nanou saluta la compagnia così come era entrata: in punti di piedi, stavolta con una lacrima che si porterà dentro tutta la vita. Rientrerà, per l’ultima volta, nel paddock del Motomondiale nel 2013, 85enne, contribuendo alla stesura del libro: “Jim Redman: six times Motorcycle Champion”. Insieme a Soili Karme, la mitica moglie del fuoriclasse finlandese Jarno Saarinen perito tragicamente il 20 maggio 1973 a Monza insieme a Renzo Pasolini, Nanou ha rappresentato quel che era sul campo la compagna del corridore di quei tempi: amante, compagna di vita, consigliere e anche meccanico, cronometrista, road manager, cuoca, infermiera, l’unica persona cui il pilota, primo o ultimo, affidava se stesso. Uomini e donne su un vecchio furgone che faceva da camion, casa, officina, il centro della loro vita da randagi in cerca di una corona d’alloro. Le corse intese e fatte come scelta di vita. Dal 1981, problemi alla vista avevano limitato la sua vita. Nel 1994, Nanou, la signora che incantava con il suo sguardo in cerca di sogni, era diventata completamente cieca. “Non mi servono gli occhi – diceva – per vedere questo casco azzurro di Jack ed accarezzare il suo canguro bianco sulla fronte”. Quel casco Cromwell a scodella era tutto quello che gli rimaneva materialmente del Continental Circus. Nanou sapeva tutto e di più, non solo di quel mondo delle corse a cui lei aveva dato la sua gioventù. Sommessa e discreta, vivendo con dignità il suo modo di essere diventata “diversamente giovane”,  non amava tornare a quel passato di gioie e di dolori. “Bisogna sempre guardare avanti, perché la prossima curva è già lì”.