Alluvione Emilia-Romagna, una lezione per tutto il Paese

22 maggio 2023

Di Massimo Falcioni

E’ venuto giù a metà maggio il finimondo di acqua come mai prima in Emilia Romagna: in poche ore la pioggia che di solito cade in una intera primavera, in due giorni l’acqua di tre mesi. Morti, dispersi, sfollati, distruzioni, danni incalcolabili per l’economia, specie per l’agricoltura: “Come un altro terremoto” ha detto il presidente Stefano Bonaccini.

Due alluvioni in due settimane, con caratteristiche e conseguenze diverse. A inizio maggio piogge battenti e continue per un giorno poco più. Successivamente, per oltre due-tre giorni, acqua a catinelle, con rovesci e temporali da paura. Tecnicamente si tratta di una perturbazione alimentata da una sberla di aria molto umida e calda da sud est, proveniente da Jonio e Nord Africa, una massa d’aria che si scarica nella pianura padana, specificatamente nel sud dell’Emilia e nel cuore della Romagna. Una medaglia a due facce, quel che in questa regione, e non solo qui, è avvenuto negli ultimi due anni con tre eventi estremi opposti l’un l’altro: due anni di siccità mai così pesante a memoria d’uomo e poi in una quindicina di giorni due volte di pioggia estrema. Due eventi con queste caratteristiche in così breve tempo, in Emilia- Romagna e dintorni, non sono normali. Cos’è, questo, se non il segnale, l’ennesimo, della crisi del clima dovuto al surriscaldamento? Crisi del clima con perturbazioni che non nascono sotto casa ma che vengono da lontano, come quest’ultima, formatasi pescando aria calda dall’Africa e dall’equatore. In altre parole, l’ordinario processo di origine delle precipitazioni causato dallo scontro fra masse d’aria calda e fredda ha una variazione quando si concentra sugli Appennini. Le masse d’aria incontrano una barriera e tendono a risalire, si condensano e aumentano la produzione di pioggia. Questa quantità eccessiva di pioggia arriva nei fiumi e si unisce all’acqua proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai. Quindi, il volume d’acqua presente nel letto dei fiumi aumenta e straripa più rapidamente. Più, quel che abbiamo scritto sopra, nel contesto globale. Tutto qui? Scusate se è poco. Comunque, non è tutto qui.

Le responsabilità e le colpe dell’uomo rispetto al surriscaldamento globale sono evidenti ma non sono tutte ovunque le stesse e dello stesso livello. Anche in Emilia Romagna, così come è già avvenuto prima in altre regioni d’Italia, questi eventi anomali con piogge record producono effetti devastanti per le scelte errate nazionali e territoriali sul piano politico e sociale: disboscamento, urbanizzazione, incuria. Oggi, almeno in diverse parti d’ Italia, vediamo sempre più spesso e sempre più da vicino “certe cose”: tante precipitazioni in poco tempo, un terreno secco provato da settimane di siccità e fortemente antropizzato e cementificato, quindi le sberle di una natura che si vendica per le malefatte umane. Le immagini che prima si guardavano distrattamente in tv  di povera gente colpita e disastrata dai cicloni in altre parti del mondo diventano pesante e allarmante realtà di casa nostra. Anche nel Balpaese cambiano i “colori” dei governi ma non cambia la sostanza della malapolitica che promette e non fa e non tiene conto delle lezioni della storia. Sono passati quasi 57 anni da quel 4 novembre 1966, da quando l’alluvione colpì Firenze, i suoi cittadini e il suo inestimabile patrimonio artistico, con la sua furia di acqua e fango. Non è colpa del cielo se la storia si ripete, se l’Emilia-Romagna, patria del “Socialismo reale all’italiana” e considerata – non senza ragione- la terra del “buongoverno” dove “si vive da Dio”, affoga sotto la pioggia e viene allagata da fiumi che in tempi normali sono considerati poco più di ruscelli o pozze d’acqua, se il mondo ci crolla addosso.

Ci sono responsabilità politiche evidente e gravi, ovunque, non solo in Emilia-Romagna e dintorni. Secondo i dati dell’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA), in Italia, le famiglie a rischio frane e alluvioni sono rispettivamente 574.894 e 2.901.616 e le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono: Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, Liguria. Bisogna tornare a una pianificazione del territorio che negli ultimi decenni è stato trascurato, ridotto a terra di nessuno, con uno sviluppo edilizio incontrollato. La gestione del territorio vuol dire interventi di urbanistica, edilizia, programmi infrastrutturali, difesa del suolo. 
Secondo Paride Antolini, intervistato da Simone Santi su Lifegate, «serve una struttura tecnica a monte: uffici pubblici non sotto-dimensionati e con le giuste competenze, con tecnici, geologi, forestali, ingegneri, geometri, che studino il problema e intervengano su tutta l’asta fluviale (cioè su tutto il fiume) per fare una gestione organica in grado di prevenire questi problemi». Tra le buone prassi indicate nel corso dell’intervista si evidenziano:


•      Preservare i boschi di montagna che trattengono naturalmente l’acqua
•      Dare spazio alle acque, creando aree di laminazione o casse di espansione
•      Allargare gli argini, invece di innalzarli che crea instabilità
•      Monitorare le centinaia di chilometri di argini in Emilia-Romagna
•      Verificare la presenza di tane di animali costruite nei cunicoli degli argini
•      Usare le sonde per studiare l’argine in modo non invasivo

E’ ora di passare all’azione. I paradisi in terra e le isole felici non esistono. I miracoli se ne vedono sempre meno. Basta riempirsi la bocca di ideologie e propaganda. Tornare, ovunque, con i piedi per terra. Bene l’uso di grandi mezzi iper tecnologici e iper costosi. Ma serve una nuova cultura del vivere, un cambio di passo nella mentalità del cittadino. Riprendere in mano, non solo idealmente, zappa e badile, anche falce e martello, ridare dignità al lavoro e alla vita di ognuno. Non per tornare indietro. Per vivere il presente mettendosi tutti ai remi con la dignità e il senso del dovere che pare sempre più smarrito.