30.01.2023 Pietrangelo Buttafuoco

Astronavi sulle spighe

Peppino Caldarola – già redattore presso il catalogo Laterza, due volte a capo de “l’Unità”, direttore di “Civiltà delle Macchine” – è stato un comunista.

Come il cavallo lo è per Napoleone o il poncho per Giuseppe Garibaldi, e così per Caldarola è quel segno preciso e inequivocabile: falce e martello su bandiera rossa e un tricolore a significare la specificità italiana. Bandiera rossa è lo Zeitgeist di Peppino.
Comunista al modo definitivo, Caldarola, il tarantino diventato barese, lo è stato ben oltre l’imprinting di un suo zio ladro che gli parlò per primo del PCI. E lo è stato nel sentimento perfino tragico ora che il comunismo non c’è più. Ora che non c’è più il frazionismo delle tante schegge deflagrate in attesa della Rivoluzione proletaria – con Beppe Vacca, e la sua école barisienne – ora che non c’è più il partito di Botteghe Oscure e giusto ora che neppure lui – Peppino – è in questa vita.

Il suo percorso di militante nel partito degli operai e dei contadini, poi approdato nel PD, negli ultimi suoi giorni terreni lo portava ad avere simpatia – nel segno del “non c’è più” – per Giuseppe Conte. Lo sconosciuto giunto nell’improvviso del populismo al governo cominciava a diventare leader nella pandemia benevolmente accolto dalle istituzioni di sistema. E Peppino, in quei giorni, negli ultimi furori in questa vita – nel chiuso di un’apnea digitale – scrutava il futuro politico di Conte, per farne il capo di un pur minimo comunismo possibile. Per un poco di cittadinanza e per un poco di reddito. A beneficio degli ultimi. Nel compimento della transizione digitale per un qualcosa che non c’è più ma che comunque ha un popolo.

Tutta la vita da comunista di Caldarola è stata nella struggente dolcezza di un vissuto speciale, specialissimo. Il suo dettato più intimo, e dunque più esplicitamente politico, lo ha raccontato in un libro – “Come mi sono perso il fratello greco cercando la sinistra” – svelando il tempo in cui una ragazza ha in sorte il nome Addolorata, presto mutato nel diminutivo Lalata. Quella del suo imprinting speciale e specialissimo è l’età splendente dell’Italia che ha il cesso sul balcone, ed è l’epoca di mamma e papà belli come gli attori del cinema mentre nonna, no; è cattiva. È vecchia come la strega, la nonna, solo che in mano non ha la mela per Biancaneve ma la coroncina del rosario per sé stessa.

La nonna costringe tutti ad attendere sul sagrato della chiesa mentre lei va a messa e la stagione dell’infanzia del piccolo eroe – di questo si tratta – prepara l’epica nelle Puglie dove i contadini sono ricchi di ricordi mentre i poveri di città, no, s’inzuppano d’umidità in alloggi inscatolati da saracinesche con le porte a vetri e le tendine. Ecco la formazione sentimentale di Peppino Caldarola. Il suo racconto, appunto – “Come mi sono perso il fratello greco cercando la sinistra” – che già svela nel titolo la sua segreta speranza: ritrovare il figlio avuto dal padre negli anni in cui fu aviere di stanza ad Atene, al tempo della guerra. Un titolo, comunque, che urge di precisazione. Eccola: una cosa è la sinistra, ben altro è il comunismo. L’impegno romantico, e forse impolitico, di Caldarola è il confronto continuo con il sé plurale, corale, speciale e specialissimo.

Il libro suo rimasto nel cassetto delle pagine speciali – specialissime – è “Communismus”. Ecco l’incipit di questo emozionante inedito: «I personaggi di queste storie sono inventati, quasi inventati. Molti li ho conosciuti nella mia città, di altri so le storie avendoli incontrati in altre città. Però li ho messi assieme con nomi diversi e soprattutto raccontando a modo mio le loro vite. Ho voluto raccontare la storia minore? Di molti comunisti nel loro vivere quotidiano. Mi è sempre sembrato assurdo che un mondo che tanto era sembrato centrale nella vita pubblica italiana, si fosse poi nascosto o fosse stato nascosto senza alcuno che si prendesse la briga di raccontare com’erano, come vivevano, che cosa sognavano, che cosa li faceva soffrire e che cosa li rendeva felici. È un piccolo libro, forse non mi fermerò qui, che mi è venuto in mente di scrivere perché le situazioni cambiano, anche radicalmente (pensate un po’ non c’è più il PCI!), ma un popolo, fatto di centinaia di migliaia di persone, non può essersi inabissato senza che ci sia chi abbia voglia di dire: li ho conosciuti, anzi ero uno di loro».

Non c’è più, dunque, ma c’è un popolo. Una cosa è la sinistra, altro – appunto – è il comunismo. E adesso che la voglia di vivere – per dirla con i versi di Carmela Caldarola, la sorella di Peppino – è quella delle «dieci vite da vivere/con la voglia di vivere intatta». Adesso che la sinistra – come la nonna col rosario in mano – reclama per sé la superiorità antropologica a dispetto di tutti, il comunismo dei comunisti invece no, s’immerge nella vita degli altri, come quella dello zio buono di Peppino, il suo zio fascista.

La sinistra adotta il pensiero unico dell’inquisizione liberale e il comunismo del PCI – «come luogo di rottura di coglioni con funzionari privi di sorrisi, donne brutte e militanti carichi di odio», così scrive Peppino in quel suo libro – prende comunque i rivoli degli imprevisti. Inaspettati cambi di registro esistenziali, sono quelli dei comunisti, tutti aperti, plurali, dialettici nel rispetto proprio dell’etimo: tesi, antitesi e sintesi all’infinito, al punto di sradicare la malapianta della coerenza e così – come diceva di sé stesso Caldarola – «mentire senza mai mentire».

Già redattore presso il catalogo Laterza, due volte a capo de “l’Unità”, direttore di “Civiltà delle Macchine”, proprio in questa casa – le pagine che state leggendo – Caldarola porta a compimento la sua passione intellettuale: il percorso attraverso cui la ricerca scientifica incontra il patrimonio umanistico di un’Italia in cui l’ingegno vivifica l’esperimento, l’arte massima della tecnologia e la sfida alle stelle. Non c’è drone, astronave o sensore che – tra i chip e l’intero sciame digitale – non abbia in sé eco delle spighe dei campi, dell’abecedario e dei dipinti di artisti sommi che fanno l’insieme del sentimento di letteratura e dovere sociale. 

Tutto quel che è Macchina. E tutto quel che è Civiltà, com’è nel lascito di questa storia, la storia in cui ebbe ad accompagnarci – per restare – Peppino Caldarola.