Auto e ambiente: elettrico e syn fuel, mix vincente?

01 agosto 2022

Di Massimo Falcioni

Fra i tanti problemi aperti dalla caduta del governo Draghi c’è anche quello di come l’Italia si pone da qui in avanti di fronte alle direttive UE che dal 2035 vieta la produzione e la vendita sul continente delle vetture alimentate a diesel e benzina. In oltre un decennio può accadere di tutto persino fare dietrofront scoprendo magari che la conversione all’elettrico non è poi così ecologica comportando nuovi fronti di inquinamento. Peraltro, in particolare gli italiani, bocciano le auto elettriche, giudicate poco ecologiche, scomode da ricaricare, troppo costose. Comunque, oggi l’Europa pare non aver considerato altre vie, oltre all’elettrico, per arrivare alle risorse rinnovabili imponendo di rinunciare entro il 2035 all’industria del motore endotermico, eccellenza dell’Italia e di altri Paesi del Continente, senza dire come affrontare le conseguenze anche sul piano economico, in particolare sull’occupazione, mettendo a rischio, solo in Italia, almeno il 30% delle imprese della componentistica con più di 80 mila addetti. Nel nostro Paese l’industria del settore automobilistico vale un fatturato di 93 miliardi di euro, da sola pari al 5,6% del PIL nazionale. Sono quasi 3000 mila le imprese del settore con oltre 180 mila persone realizzando il 7% delle esportazioni metalmeccaniche nazionali, per un valore di ben 31 miliardi di euro. Va dunque gestito e guidato questo processo di cambiamento senza subirlo, al fine di difendere e valorizzare un patrimonio italiano ed europeo di indubbio valore, non solo economicamente. Nell’esecutivo Draghi, particolarmente contrari a questa scelta della EU di imporre sic et simpliciter l'elettrico a tutti, si sono sempre dimostrati l’ex ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e l’ex ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, tenendo anche conto di quel che sta accadendo in negativo sull’export del gas dopo l’aggressione della Russia all’Ucraina. In effetti, fra i tanti problemi aperti, basta considerare che oltre il 70% degli ossidi di litio con cui si fa la batteria, l’80% del nichel, il cobalto e le altre terre rare, sono prodotti estratti prevalentemente in Cina e in altri Paesi “complicati” dal punto di vista politico e dei rapporti internazionali. In altre parole, come appunto sta accadendo con il gas e con altre fonti energetiche, il rischio è quello di consegnarsi a Paesi che poi possono usare queste loro materie prime come strumento politico e, all’occorrenza, come vero e proprio ricatto in grado di destabilizzare le economie, e non solo, dei Paesi occidentali.


Oltre a questi nodi di geopolitica serve quel realismo che pare essere stato fin qui estraneo nella EU riguardo alle scelte sulla delicata e complessa questione dell’elettrico. Realismo dettato, innanzi tutto, dai numeri: oggi in Europa circolano 400 milioni di auto con motore endotermico e ammesso che tutte queste vengano sostituite nell’arco di un decennio poco più da auto con nuovi propulsori, nel mondo ce ne sono sempre un altro miliardo (almeno due miliardi nel 2035) con motori a benzine e diesel. Secondo Navigant, società di analisi internazionale, con gli attuali trend solamente il 2,5% del volume totale delle automobili saranno elettriche, l’8% saranno veicoli ibridi o a gas e il resto, ossia la gran parte, continueranno a essere a benzina o diesel. Ci sono addirittura proiezioni che prevedono entro i prossimi 25 anni oltre 5 miliardi di autoveicoli nel mondo, con almeno un miliardo di auto solamente in Cina (oggi con solo 100 milioni di veicoli pur con i suoi 1,3 miliardi di abitanti rispetto ai 7 miliardi circa dell’intero pianeta). Il possibile raddoppio globale dei veicoli a motore da qui al 2035 potrebbe significare il raddoppio delle emissioni misurate oggi. L’opposto di quel che sostengono gli ambientalisti che chiedono che per essere sostenibile il numero di automobili, il livello delle emissioni dovrà essere ridotto dell’80%: obiettivo possibile solo abbandonando i motori a benzina e diesel con il risultato di non dipendere più dalle multinazionali del petrolio e del gas. Il rischio è, però, quello di una vera e propria “illusione ideologica” con il risultato che la medicina sia peggiore del male. Per essere reale e fattibile, la transizione ecologica non può che essere just transition, cioè giusta, valida ovunque, per tutti. E’ oggi davvero pensabile di “spegnere tutto” ben sapendo che alla fine, sarebbe solo l’Europa e in particolare l’Italia a rimanere con il cerino acceso in mano, pagandone in toto le conseguenze? Allora? Serve realismo, servono soluzioni alternative o complementari rispetto a scelte che, come ha fatto la EU imponendo d’ufficio e unilateralmente la scorciatoia con la fine del motore a benzina, possono risultare illusorie producendo solo danni. Ammesso e non concesso che entro il 2022 in tutta Europa circolino solo mezzi elettrici (oggi non si può dire al cittadino medio europeo di comprarsi l’auto elettrica da 60 mila euro cambiando quella precedente che costava molto meno della metà) anche gli europei respireranno comunque la CO2 prodotta nello Sri Lanka, in Cina, in India e nei paesi più inquinanti rendendo quanto meno inutili le scelte fatte unilateralmente. Che fare? Altra via non c’è se non quella del confronto, paziente e assai complicato, a livello globale e al contempo lavorando sull’utilizzo di nuove tecnologie. Quali? Ad esempio sviluppando l’uso dei carburanti sintetici in grado di riconvertire il petrolchimico e di utilizzare la stessa pompa di carburante e lo stesso motore di oggi. I combustibili sintetici, detto in due parole, sono sintetizzati da idrogeno verde, prodotto dall’elettrolisi dell’acqua usando elettricità rinnovabile e anidrite carbonica.


Grazie allo sviluppo di questo nuovo carburante si può arrivare a ridurre le emissioni di CO2 fra il 60% e il 90%. Anche in questo caso c’è, almeno per ora, il rovescio della medaglia dato da carburanti sintetici che allo stato attuale costerebbero addirittura cinque volte la benzina. Ma così come si incentivano le rinnovabili si può fare lo stesso, pro tempore, con questi nuovi carburanti sintetici rendendo possibile e realistica la transizione. Non è la sostituzione all’auto elettrica ma una via che dimostra che l’elettrificazione tout-court non è l’unica risposta all’abbassamento delle emissioni di CO2. Si apre realisticamente l’epopea “syn fuel”, cioè dei carburanti sintetici che oggi sembrano essere l’unica alternativa economicamente valida e industrialmente applicabile al petrolio consentendo la sopravvivenza dei motori termici perché le emissioni di gas serra durante la combustione pare siano ridotte al minimo. Questo, almeno, stando ai più recenti risultati dopo che fino a pochi mesi addietro si metteva in dubbio la convenienza, non solo economicamente, di questa nuova tipologia di carburanti sintetici ritenuti responsabili di una quantità di ossidi di azoto (NOx) quasi pari a quella dei motori a combustibili fossili. Ma le tecnologie evolvono rapidamente dimostrando anche in questo caso che non c’è solo una strada da percorrere per tutelare l’ambiente salvaguardando così, con il mix fra tecnologie di elettrificazione e carburanti sintetici, una industria di grande peso economico e sociale qual è quella automobilistica e dei trasporti. Insomma, il mezzo elettrico sarà ben presto la soluzione ottimale per i brevi spostamenti in contesti cittadini e urbani (tuttavia l’Italia resta fanalino di coda in Europa nel numero di immatricolazioni di auto elettriche che sono oggi il 9,9% del totale) mentre per i lunghi spostamenti ecco la soluzione dei carburanti sintetici con la loro piena compatibilità con i motori a combustione che non devono essere modificati o riprogettati per funzionare con i synfuel.


Illusioni? No, realtà. Come dimostra l’impegno delle grandi Case automobilistiche, ad esempio la recente collaborazione fra Hyunday, Aramco e Kaust per produrre un carburante sintetico destinato a una nuova generazione di motori e come dimostra il nuovo consorzio di ricerca composto da Toyota, Subaru, Suzuki e Dahiatsu per e-fuel e biocarburanti, in particolare una sfida agli e-fuel del gruppo Volkswagen, impegnato da tempo nella corsa ai carburanti di nuova generazione. Già si pensa alle competizioni come dimostra anche la Porsche (che ha recentemente investito 75 milioni di dollari in HIF Global LLC, azienda cilena per impianti di produzione di e-fuel) con la sua 911 Gt3 Cup, la vettura da corsa della Casa di Stoccarda alimentata con carburanti sintetici che romba nel campionato monomarca GT3 Cup e non perde HP e velocità rispetto al precedente modello a benzina. In Italia, particolarmente impegnata su questo settore dei nuovi carburanti sostenibile è l’ENI, specie con i biocarburanti a base di oli vegetali idrogenati per ridurre in fase di combustione le emissioni di CO2 tra il 60% e l’80% e oltre diventando una soluzione sostenibile e applicabile. Così, il passaggio alla mobilità elettrica non significa la cancellazione dei motori a combustione ma, con l’arrivo e lo sviluppo dei carburanti sintetici di ultima generazione, l’avvio di una nuova era. Ciò vale anche per le competizioni, con i bolidi della Formula 1 (e della MotoGP) che da mesi testano il carburante sintetico climaticamente neutro, provandolo al banco sapendo di diventare uno sport a “zero impatto ambientale” entro il 2030. Il carburante sostenibile alimenterà i motori F1 della seconda generazione di power unit in un futuro che è già qui dato che dalla stagione 2025 la “nuova benzina” diventerà obbligatoria. Dunque, come sempre, le corse come laboratorio di ricerca: in questo caso per contribuire a creare una seconda generazione di carburanti da corsa  dimostrando che il carburante sintetico riduce significativamente le emissioni salvaguardando le prestazioni e lo show. Dalla pista alla strada, poi, il passo è breve. Questa dei carburanti sintetici è una via, per adesso quella principale, per mantenere la produzione delle auto a combustione convenzionale senza chiudere bottega. Considerando l’intero ciclo di vita dell’auto, l’eFuel può essere ecologico almeno al pari delle auto elettriche. Questo è quel che pensano e dicono in coro i produttori.