Auto elettriche, ripensamento della Ue sui motori termici

06 febbraio 2023

Di Massimo Falcioni

Pare un disco rotto quello del settore dell’automotive in Europa  che denuncia le normative Ue di sopprimere entro il 2035 la produzione dei veicoli con motori termici per sostituirla con vetture elettriche con zero emissioni. Disco rotto perché di fronte ai ripetuti allarmi sui gravi danni che le norme green sulle auto porteranno presto all’industria e all’occupazione in Europa e specificatamente in Italia, a Bruxelles fanno orecchie da mercante proseguendo sulla loro linea, definita “folle” dagli ambienti del settore e assai poco apprezzata, se non apertamente osteggiata, dagli utenti. Linea folle perché si marcia spediti a rendere operative norme che, così, destabilizzeranno un settore che dà lavoro a 12,8 milioni di persone con un impatto dell’8% sul Pil europeo e che finanziano il 30% degli investimenti in ricerca e sviluppo. Quella dei produttori dell’automotive non è una posizione di difesa corporativa: parte dalla contestazione dei tempi stretti per governare la fase verso i motori elettrici e, in particolare, contesta che questa sia l’unica via, per alcuni la bacchetta magica, per ridurre le emissioni nocive. Evidentemente, su questa questione della Filiera Automotive, a Bruxelles e dintorni si insiste su una visione ideologica e “regionale” (l’Europa): si tende a non considerare la realtà globale di oggi e a non tener conto delle previsioni mondiali di domani, almeno fino a metà di questo secolo. Che significa? Che entro il 2050 il parco circolante mondiale di autovetture sarà composto per quasi due terzi (precisamente il 67%) da auto a combustione interna (benzina, diesel e ibride), per il 28% da full electric e ibride plug-in e per il 5% da auto ad alimentazione alternativa (idrogeno, metano e Gpl). Sempre alla stessa data, i veicoli elettrici a batteria (Bev) diventeranno i più venduti (56% del mercato) seguiti da quelli a combustione interna (Ice, con quota del 18%), dagli ibridi elettrici (Hev, con quota del 16%), dai Phev (5%) e da Feul Cell e Flex Fuel (5%). Dunque, anche con la crescita della mobilità elettrica e che in Europa avrà una spinta a partire dal 2035, le auto ad alimentazione tradizionale continueranno comunque a essere le più diffuse a livello globale. Questo emerge dai dati dell’indagine dell’Osservatorio Autopromotec – basata sugli studi del Bloomberg New Energy Finance, dalla Goldman Sachs e dal Gruppo Wood Mackenzie – che dicono quel che già vox populi diceva: per almeno i prossimi 25 anni due auto su tre saranno ancora endotermiche, diesel e benzina.

Fonte: Unsplash.com

Per quel che riguarda l’Italia, circa il 50% degli utenti dubita assai che l’obiettivo di avere solo auto completamente elettriche dal 2035, come stabilito dagli obiettivi FIT for 55, sarà raggiunto. Ciò per la dipendenza dell’Europa e dell’Italia in particolare verso i Paesi detentori delle materie prime necessarie per l’uso dell’elettrico, per gli alti costi dell’energia elettrica, per la scarsità dei punti di ricarica, per la mancanza di un calendario definito delle attività che devono accompagnare la transizione. L’Italia è fanalino di coda nelle vendite di auto elettriche in Europa (- 34,2% da ottobre a dicembre 2022 rispetto all’anno precedente): c’è disorientamento perché, a parte il timore per gli alti costi di acquisto e di gestione dei nuovi mezzi, non c’è la convinzione che la virata verso l’elettrico sia la strada giusta per la vera sostenibilità. Insomma, la gente aspetta perché non si fida e vuol capire meglio. Così oggi le auto elettriche sono solo per i cosiddetti “clienti premium”, che passano all’elettrico come scelta snobistica, potendo permettersi modelli molto costosi e possono ricaricare l’auto direttamente a casa.

Di fatto, stante questo quadro generale, non si vuole riconoscere che l’auto elettrica non si presta alla proprietà privata. Serviranno ancora almeno 10-15 anni, con l’arrivo  delle auto in sharing a guida autonoma, perché la rivoluzione dell’elettrico incida davvero nel trasporto, almeno in quello urbano e a medio raggio. Permane, dunque, un quadro di instabilità. Tutto ciò pare aver ridato fiato a chi anche nella Ue intende affrontare in modo più elastico e realistico tali questioni, non solo per le esenzioni per le auto di lusso (il cosiddetto “salva Ferrari”, “salva Porsche” ecc.). Adesso si tratta di inserirsi su alcune aperture Ue e spingere su una clausola, in particolare su pressione della Germania ma anche dell’Italia, di ministri Ue in cui si precisa: “Nel 2026 la Commissione valuterà i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% (ossia dello stop a benzina e diesel, ndr) e la necessità di riesaminare tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi, anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in e l’importanza di una transizione praticabile e socialmente equa verso emissioni zero”. In altre parole, un primo spiraglio, se non altro verso il buon senso. Dal 2026, forse addirittura prima, di fronte a eventuali problemi “pratici” e “sociali”, Bruxelles potrebbe ripensarci, decidendo di posticipare sine die lo stop al motore a combustione, quanto meno per i motori ibridi o che utilizzano gli e-fuel, o biocarburanti. C’è anche chi, a Bruxelles, pensa a una terza via: vietare le vendite di auto a benzina e diesel in Europa ma consentire ai costruttori del Vecchio continente di continuare a produrre e a esportare auto al di fuori della Ue, dove il motore a combustione non è e non sarà vietato. In tal caso, chi dirà a Bruxelles che esportare l’inquinamento non è poi una gran bella trovata anche perchè la Terra è rotonda e gira e quel che esce dalla porta rientra dalla finestra?