Bussate e non vi sarà aperto

Di Oriano Giovanelli 

Leggi nazionali, leggi di recepimento di leggi europee, leggi delega di cui non si vede mai la fine, come matrioske contengono uno dentro l’altro tanti decreti delegati. E’ la burocrazia bellezza

02 luglio 2020

“Prima di entrare nella toilette ad uso comune bisogna bussare ed annunciarsi per verificare che non ci siano ospiti/lavoratori dentro. In caso di presenza di lavoratori/ospiti si attende che essi escano prima di entrare ed iniziare a pulire”.

Nelle misure di prevenzione del Covid-19 messe a disposizione di ogni azienda e/o ufficio vi è anche questa chicca particolarmente divertente.

Non è uno scherzo. In questo nostro paese paghiamo persone per scrivere queste cose altre per approvarle altre per stamparle e renderle pubbliche altre per applicarle e, infine, altre per controllare che vengano applicate.

Fontana, Marcel Duchamp, Opera - 1917

E’ la burocrazia bellezza. Luca Ricolfi sostiene e non solo lui che le nostre complicazioni burocratiche siano diventate insostenibili a causa della proliferazione dei livelli istituzionali. E’ vero solo in minima parte. Magari gli stessi che sostengono questa tesi poi “convegnano” sulla sussidiarietà, ma forse hanno in mente non la prossimità ai cittadini e ai territori che la sussidiarietà dovrebbe garantire bensì lo stato minimo fino allo stato assente: ognuno faccia come vuole e come può.

In vero i provvedimenti più astrusi seguono un percorso dall’alto verso il basso da Roma verso la periferia. Leggi nazionali, leggi di recepimento di leggi europee, leggi delega di cui non si vede mai la fine perché come matrioske contengono uno dentro l’altro tanti decreti delegati e ognuno di questi ha il suo carico di tempi. Poi ci sono i decreti legge, i dpcm, le linee guida di enti pubblici non economici, le circolari ministeriali, le linee guida dell’Anac, le ordinanze di protezione civile, i regolamenti. Senza dimenticare la giurisprudenza della Cassazione della Corte dei Conti del Consiglio di Stato della Corte Costituzionale. Tutte fonti normative che finiscono sul tavolo di chi deve operare e anche ciò che fonte normativa non è viene considerata tale dall’operatore per non incorrere in ricorsi, in responsabilità personali anche gravi. Il refrain è lo stesso “non potevi non sapere” e siccome chi fa sbaglia la conseguenza è: meglio evitare di fare.

A complicare le cose c’è anche il fatto che la filiera di chi produce norme è lunghissima e ricca di personale mentre quelli che lavorano nei livelli operativi, invece dove bisogna produrre risultati i lavoratori sono sempre meno, sempre più vecchi, sempre obbligatoriamente indietro rispetto alle innovazioni tecnologiche, sempre più abbandonati a se stessi. Provate a visualizzare un imbuto infilato nella bocca di chi deve operare per realizzare qualcosa, mentre attorno al margine largo dell’imbuto immaginatevi una moltitudine di persone che versa a secchiate nell’imbuto vocaboli, lettere, articoli, numeri. Una cosa da girone infernale.

Durante la pandemia la critica verso il sistema pubblico si è affievolita ma appena si è abbassata di un pochino la paura è ripartita con una virulenza inaudita.

Sabino Cassese è intervenuto sul Foglio del 24 giugno a tentare di distinguere fra i problemi seri di una struttura amministrativa come quella italiana e le responsabilità della politica che non può auto assolversi e soprattutto non può scaricare l’amministrazione come se non ne fosse responsabile. Egli chiude il suo articolo con queste parole: “ In tutto questo, il corpo politico, invece di far si che le cose funzionino davvero (selezionare il personale, riportare i tecnici nell’amministrazione, ridare ad essa il potere discrezionale liberarla da inutili responsabilità e controlli, rinnovarne la tecnologia) si è accanito per più di tre decenni sulle riforme costituzionali, senza peraltro riuscire a farne”. Difficile dargli torto e per una vecchia passione mi piacerebbe tanto confrontarmi con il professore. Credo che ci sia però un aspetto che il professore non da oggi nei suoi scritti omette fra le tante cose giuste e totalmente condivisibili che dice e scrive ( il suo ultimo libro si intitola “IL BUON GOVERNO l’età dei doveri”). Con un detto popolare si può tradurre così: “il pesce puzza dalla testa”. È il processo della decisione politica e burocratica top down che blocca l’Italia. È un Parlamento che invece di fare leggi quadro ancor oggi si accapiglia sui dettagli della “eviscerazione dei polii” che non riesce mai a fare una norma generale senza infarcirla immediatamente di deroghe. È un Governo che legittima il proprio consenso con una pletora di bonus a categorie e sub categorie invece di passare risorse alla periferia “senza vincolo di destinazione” lasciando che sia l’autonomia dei governi più prossimi ai cittadini a prendersi le proprie responsabilità nel bene e nel male della gestione della spesa. È un sistema di ministeri dove ognuno gestisce il suo gruzzolo con proprie direttive e circolari cercando un rapporto del tipo padrone e contadino con le istituzioni locali.

Avevamo cominciato a procedere sulla strada della sussidiarietà poi è arrivata la gelata. Tutti hanno avuto paura del decentramento dei poteri dai sindacati agli imprenditori e così siamo rimasti appesi in uno stato di formalmente decentrati e sostanzialmente centralisti. La peggiore delle situazioni possibili.

Ho fatto cenno prima alla parola passione. Sì ancor oggi quando parlo e scrivo di questi temi ciò che provo è passione. Per me è passione politica. Cosa può maggiormente appassionare del cercare di fare in modo che il denaro che con tanto sacrificio i cittadini e le imprese mettono a disposizione del sistema pubblico pagando onestamente le tasse produca servizi che funzionano, opere, benessere, sicurezza. Nulla vale di più l’impegno politico. Quindi ha ragione Cassese nel puntare il dito verso la politica ma le alte burocrazie nazionali che hanno temuto un loro ridimensionamento dentro la dimensione della sussidiarietà e del decentramento hanno la loro quota di responsabilità.

Nel momento alto della pandemia, verso la fine di marzo, una ordinanza di protezione civile ha messo a disposizione dei Comuni una importante cifra per andare incontro ai bisogni primari ( il cibo) delle famiglie più povere. Il Direttore generale del Comune di Bergamo in una recente intervista a Mochi Sismondi di ForumPA ha detto che in tre giorni i beni sono arrivati a 2400 famiglie della città e così è stato in tutta Italia. Questo perché nessuno ha detto ai comuni quale procedura avrebbero dovuto obbligatoriamente seguire e ognuno ha potuto scegliere in autonomia e responsabilità la sua strada adatta alla propria struttura amministrativa e al tipo di volontariato presente in città disponibile a dare una mano. Un successo. Si può fare!