Con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti il Parlamento europeo riunito in sessione plenaria a Strasburgo ha approvato il 13 marzo 2023 la proposta di direttiva che prevede l’obbligo di realizzare interventi di efficientamento energetico su tutti gli immobili europei. Si tratta della cosiddetta direttiva sulla “case green”. Gli esponenti della maggioranza politica italiana hanno votato contro, come già accaduto per il passaggio al 100% elettrico nell’auto. Di rilievo, la spaccatura all’interno dei popolari, comunque non determinante anche se ha portato all’approvazione politicamente significativa di due emendamenti contrari alla linea del relatore. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha commentato: “Non mettiamo in discussione gli obiettivi ambientali di decarbonizzazione e di riqualificazione del patrimonio edilizio, che restano fondamentali. Manca però in questo testo una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come “bene rifugio” delle famiglie italiane. Individuare una quota di patrimonio edilizio esentabile per motivi di fattibilità economica è stato un passo necessario, ma gli obiettivi temporali, specie per gli edifici residenziali esistenti, sono ad oggi non raggiungibili per il nostro Paese”.
Di cosa si tratta concretamente? Il testo approvato prevede la classe energetica E entro il 2030 e la classe energetica D entro il 2033 per gli edifici residenziali. Si vuole cioè agire intanto sul 15% degli edifici più energivori (quelli che consumano grandi quantità di energia), che andranno collocati nella classe energetica più bassa, la G che, per l’Italia, interessa oltre 1,8 milioni di edifici residenziali su un totale di 12 milioni. Il testo Ue va però oltre dando indicazioni anche su edifici non residenziali, impianti solari, nuove costruzioni. A partire da gennaio 2026 è previsto l’obbligo di realizzare i Zeb (zero emission buildings) per i nuovi edifici occupati, gestiti o di proprietà di enti pubblici. Per gli altri casi la scadenza è il 2028. Non solo. Gli impianti solari diventeranno obbligatori in tutti i nuovi edifici pubblici e i nuovi edifici non residenziali. Entro il 31 dicembre 2026 l’obbligo riguarderà tutti gli edifici pubblici e gli edifici non residenziali esistenti. Avanti fino al 31 dicembre 2032 quando l’obbligo riguarderà tutti gli edifici sottoposti a ristrutturazioni importanti. Gli edifici non residenziali e di proprietà pubblica dovranno raggiungere la classe E dal 2017 e la classe D dal 2030. Saranno esclusi gli edifici protetti di particolare pregio storico e architettonico, i luoghi di culto, gli edifici temporanei, le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno, gli immobili autonomi con una superfice inferiore ai 50 metri quadri. Idem per gli edifici di edilizia residenziale pubblica. I Paesi membri potranno chiedere di adattare i target europei per particolari categorie di edifici residenziali, per ragioni di fattibilità tecnica ed economica, deroghe fino al massimo del 22% del totale degli immobili, che per l’Italia significa di 2,6 milioni di edifici.
Quella di oggi è, comunque, solo una tappa perché adesso c’è il trilogo con l’ avvio di negoziati con protagonisti anche i Governi dei Paesi della Ue che porterà al testo definitivo. La direttiva passa al Consiglio Europeo, che nelle prossime settimane dovrà decidere se vidimare la decisione della Commissione o proporre emendamenti. Qui l’Italia di sicuro è pronta a fare la sua parte. E non sarà sola perché altri Paesi quali Finlandia, Spagna, Francia, Olanda hanno già espresso riserve e contrarietà per la direttiva ritenuta “precipitosa”. E’ comunque un passaggio che spinge verso il nuovo discusso provvedimento che ha l’obiettivo di una maggiore efficienza energetica ma, secondo i non pochi contrari, costi molto più alti per le ristrutturazioni delle abitazioni. Fatto non secondario, per arrivare alla approvazione definitiva, oltre ai dubbi sulla tenuta di una maggioranza che più volte è andata a zig-zag sulla direttiva, mancano i finanziamenti, sia europei che dei singoli paesi membri.