Chi è George Smiley ma, soprattutto, chi è John Le Carrè?

03 agosto 2021

Di Alejandro Cifuentes

Marco Ventura, giornalista e autore televisivo, nel suo libro "George Smiley – la spia perfetta di John Le Carré" conduce il lettore in un meraviglioso viaggio nella seducente e machiavellica narrativa di Le Carrè, dove pian piano affiora il vero oggetto dell’indagine, che pagina dopo pagina prende corpo: la natura umana. 

Chi è George Smiley ma, soprattutto, chi è John Le Carrè?

Smiley è “la spia perfetta” e il suo autore - all’anagrafe David John Moore Cornwell - è stato un agente del Secret Intelligence Service per una decina di anni prima di diventare lo scrittore di fama internazionale. In occasione dell’uscita del suo primo libro Chiamata per il morto, quando ancora era in servizio, ha coniato lo pseudonimo John Le Carrè. Tutto comincia da una dissimulazione, da una maschera, e quando nasce il suo eroe, la sua spia, Smiley, la vera spia, Cornwell, abbandona la carriera nei servizi segreti. Infatti, sarà proprio il successo delle avventure di Smiley a consentire a Le Carrè di vivere da scrittore: la realtà anima la fantasia e la fantasia prende realtà.

Ed è Marco Ventura, giornalista e autore televisivo, a immergersi con disinvoltura tra le contraddittorie maglie dell’animo di George Smiley, nel suo libro George Smiley – la spia perfetta di John Le Carré, edito da Nuova Argos, per svelare qualcosa in più del suo autore, John Le Carrè, e, al tempo stesso, ricostruire i pezzi del puzzle della vita di Cornwell per arricchire la figura di una delle spie più famose di tutti i tempi. In una biografia che man mano avvicina il protagonista all’autore e l’autore al protagonista per svelarne l’affinità, sviscerarne l’identità, in un gioco di specchi in cui ogni dettaglio è indizio, con l’incedere narrativo di una spy story alla Le Carrè.

Smiley “ha infranto il mito di James bond - scrive Ventura -, l’agente 007 di Ian Fleming, il playboy con licenza di uccidere” e lo ha fatto con la pacatezza di un uomo mite, abile ad analizzare gli archivi piuttosto che a maneggiare la pistola, a riflettere più che ad agire d’istinto; un’eroe “discreto, senza nulla di artificiale o di inverosimile, che guida verso un esito accettabile, ossia credibile, tra piste false e ostacoli, con l’ausilio tenue ma sicuro della torcia del pensiero nelle tenebre”. 

Il contrasto con lo smargiasso donnaiolo dal grilletto facile è reso ancora più evidente dal suo rapporto con l’amata Ann, una fascinosa aristocratica con il vizio del tradimento, che Smiley amerà per tutta la vita, nonostante tutto, nonostante la brevità del loro matrimonio. E la domanda inesorabile è: come può una spia districare le fitte trame degli intrighi internazionali del KGB se viene raggirato tra le mura della propria casa? Come può questo goffo personaggio, pieno di tic e fragilità, solitario e bersaglio di facili ironie, farsi largo nella scalata ai vertici del Circus fino a ricoprire il ruolo del compianto Controllo, capo dell’M16? 

La risposta è da rintracciare nella sua “apollinea capacità di arginare e manovrare il magma delle sensazioni, riportando la confusa irrazionalità delle persone e degli eventi dentro la gabbia della ragione”, senza mai perdere la propria umanità. Smiley è sempre alla ricerca del tallone di Achille del suo nemico: tutti hanno un punto debole e lui lo sa bene, perché ha l’umiltà di riconoscere a sé stesso i propri limiti e le proprie debolezze. Malgrado lo sguardo assente, trasognante, l’inclinazione alla malinconia e al ricordo, al passato, al guardare fuori dal finestrino quando è in viaggio, Smiley, quando ha una missione è totalmente presente, capta tutto e assimila tutto. Sì perché il nostro (anti)eroe ha la “freddezza della salamandra, la cautela del rospo e la pazienza del ragno” e riesce ad adattarsi alle situazioni cambiando la temperatura del proprio corpo, senza disperdere energie inutilmente e ponendosi sempre in ascolto. E la sua forza sta nella duplicità: l’algida razionalità da una parte e l’umanità dall’altra. Duplicità che lo ha reso numero uno nell’arte dell’interrogatorio, dello sviscerare; perché Smiley è stato prima di tutto un reclutatore di nuove leve, un capace interprete dell’arte maieutica di sondare l’animo umano. La sua forza è lo specchio della sua debolezza, il suo ribaltamento.

Seguendo la lezione di Marco Ventura, in questo meraviglioso viaggio nella seducente e machiavellica narrativa di Le Carrè, pian piano affiora il vero oggetto dell’indagine, che pagina dopo pagina prende corpo: la natura umana. Le Carrè racconta un mondo diviso in due da un Muro, ma lacerata in due è anche la natura umana e il tradimento è il centro narrativo delle storie di Cornwell, perché dietro ogni “uomo si nasconde un traditore”.

Mentre lavora all’ambasciata del Regno Unito a Bonn, Le Carrè, viene convocato dal suo supervisore che gli anticipa che Kim Philby, “l’ex capo del controspionaggio candidato a diventare il numero uno di tutta l’intelligence, è una spia sovietica”, e lo è da trent’anni. Abbandonato dalla madre quando aveva cinque anni e con un padre truffatore, il tradimento per Cornwell è pane quotidiano ed è la cifra caratteriale che dona la tridimensionalità ai suoi personaggi. La trasposizione letteraria di Philby è Billy Haydon in La talpa- più simile a 007 per carisma e sfrontatezza che a Smiley. Un uomo che ha tradito la Corona, il Circus e l’amico (intrattenendo una relazione clandestina con la moglie Ann). Eppure Smiley-Le Carrè empatizzerà con le ragioni di Haydon - che ha tradito perché si è sentito tradito - un uomo che in quanto uomo racconta qualcosa di tutti noi. Ed è questa umanità di Smiley che tradisce l’umanità di John Le Carrè, alias David Cornwell.