Cibo e agricoltura spaziale: da The Martian all’olio di AstroSamantha

05 settembre 2022

Di Massimiliano Lussana

Si può produrre sul posto cibo adatto alla vita degli astronauti nei loro viaggi sulla Luna e su Marte? 

È possibile l’agricoltura oltre la Terra?

Come funzionano le piante della farmacopea degli astronauti?

Qual è l’effetto della gravità ridotta e delle radiazioni sulla crescita delle piante?

Quali semi sarà conveniente portare dal nostro pianeta?

E come riusciremo a coltivarli sulla Luna o su Marte? 

Domande. 

Domande a cui l’unica risposta che sappiamo dare sui due piedi è la reminiscenza di “The Martian”, il bel film di Ridley Scott con Matt Damon disperso nello spazio, ingegnere meccanico e botanico, che riempie di terriccio uno spazio del suo modulo spaziale usando le feci sue e dell’equipaggio come concime per produrre acqua con la combustione di riserve di idrazina, riuscendo a mettere in piedi in questo modo una coltivazione di patate che gli permetterebbe di resistere a bordo fino all’arrivo della missione successiva, prevista dopo quattro anni. Ma a un certo punto esplode la camera di decompressione della serra e qui iniziano altre emozioni e colpi di scena che non vi spoilero per lasciarvi il piacere del film se non l’avete visto.


Eppure questa storia, di fantasia cinematografica – peraltro supportata durante la realizzazione dalla presenza costante degli uomini della NASA in qualità di consulenti sull’effettiva verosimiglianza della trama e dei suoi sviluppi – è perfetta per raccontare la tappa odierna nella navigazione fra chi lavora alla navigazione dello spazio.

Perché l’agrospazio è un nuovo mondo decisamente importante e, ad esempio, a bordo della Stazione spaziale internazionale, Unaprol – che è il consorzio che certifica che un olio è di valore e degno di finire sulle tavole degli italiani e non nel motore di un’auto – ha portato gli oli Evo italiani, poi assaggiati anche dai visitatori del Festival dello Spazio di Busalla nei mesi scorsi, con tanto di corsi per individuare i più adatti per condire le insalate sulle nostre tavole e l’alimentazione spaziale degli astronauti.
Evo, ovviamente, non è una marca da pubblicità o da Carosello, ma sta per extravergine d’oliva italiani e nella missione “Minerva” che Samantha Cristoforetti sta conducendo a bordo della Stazione spaziale internazionale, c’è anche il progetto “Evoo in space”, una valutazione della stabilità chimica e della gradevolezza al palato nelle condizioni spaziali di alcune varietà di olio Evo italiano, condimento che parrebbe particolarmente indicato nella dieta degli astronauti.

Insomma, dalla dieta mediterranea alla dieta spaziale è un passo.

E l’olio extravergine è il minimo comune multiplo di tutto questo.

 
Di studiare questi temi si occupa un apposito programma dell’Agenzia spaziale italiana dal nome che è un rebus, letteralmente, e che nell’acronimo nasconde la sua storia – ReBUS, ovvero Bio-utilizzo delle Risorse In-Situ per il supporto alla vita nello Spazio – ed abbraccia tutte le sfumature di questo tema, impegnando ricercatori nel mondo dell'università, della medicina e dell'industria, partendo dagli stress derivanti dalla permanenza in ambienti chiusi e isolati, dai probabili deterioramenti del sistema cardiovascolare e osseo derivanti dalla ridotta gravità e delle piante medicinali più produttive e più ricche di elementi “nutraceutici” utili a combatterli.

E ci sono anche i protorobot con modelli di operazione ispirati al mondo biologico e vegetale, dispositivi potenzialmente molto utili agli astronauti nelle loro operazioni.

Insomma, gli scenari di riferimento dell’esplorazione lunare prossima ventura, sempre più affinati e sempre più attenti anche al benessere degli astronauti, sono al centro del lavoro delle agenzie spaziali internazionali.
Ed è proprio un astronauta - anzi il primo astronauta italiano nello spazio, ai tempi delle missioni Shuttle per cui si fermava l’Italia in attesa di vedere la partenza delle navette da Cape Canaveral e poi il distacco del grande serbatoio esterno, finchè l’astronave spariva nello spazio per poi tornare dopo qualche giorno o settimana planando nel deserto come un comunissimo aereo – a raccontare tutto questo: Franco Malerba. Spiega quindi Malerba: «La capacità di garantire un adeguato nutrimento agli astronauti sarà imprescindibile per la loro sopravvivenza, la loro salute e il loro benessere psico-fisico. Lontano dalla Terra diventa necessario coltivare piante, riciclare ogni rifiuto in concime, ricostituire lo scambio di risorse, di ossigeno e di CO2 tra mondo vegetale e mondo animale. Realizzare, dunque, un’economia circolare spinta al massimo grado, non potendo più contare su rifornimenti diretti dalla Terra».
E così la cosa più antica, l’economia circolare, si coniuga con quella più moderna, l’esplorazione spaziale.


“L'agricoltura circolare in ambiente ostile è una disciplina indispensabile all’astronautica quando ci si deve rendere autonomi rispetto ai rifornimenti da Terra. L’acqua “naturale” è risorsa rarissima sulla Luna; non piove mai, giorno e notte lunari durano quattordici giorni terrestri ciascuno, le coltivazioni richiedono necessariamente delle serre speciali. Alcuni di questi studi nell’ambito delle dell’architettura delle serre spaziali possono ispirare soluzioni per affrontare le emergenze idriche ed energetiche che segnano l’attualità. Nella sala degli stand industriali a Busalla, la mia città, c’è una grande serra “virtuale” della società Space V che interpreta l’architettura ottimale delle future serre spaziali e che potrebbe applicarsi anche a soluzioni terrestri».

Insomma, il tema – che sembrerebbe quasi “di colore” – è in realtà decisivo per studiare la fattibilità effettiva di insediamenti umani sulla Luna e, in prospettiva, su Marte. 


E ci sono moltissimi settori interessati, dalla Coldiretti in prima fila che sta studiando quali siano i cibi più adatti alla permanenza sullo spazio, fino agli esperti dell’Istituto superiore di Sanità che – in vista dello sbarco su Marte – stanno studiando gli effetti dell’isolamento prolungato sulla psiche e sulla fisiologia umana, o all’Istituto Italiano di Tecnologia che sta invece occupandosi di antiossidanti tradizionali e innovativi e delle possibili applicazioni per la salute dell’astronauta.

Perché, si fa presto a dire “Spazio”.

E magari a raccontarlo come se fossimo nei film di fantascienza, magari riuscitissimo come “The Martian”.

Ma dietro a ogni sogno, anche al più tecnologico di sempre, c’è un problema di uomini. 

E, quindi, stiamo parlando di una sorta di “umanesimo dello spazio”, che è sempre il centro di Civiltà delle macchine, ma anche della sua declinazione nella vita (spaziale) di tutti i giorni.

La qualità della vita degli astronauti come cartina di tornasole di come lo spazio e la sua esplorazione può migliorare la vita di ciascuno di noi.