Contro Metaverso. Salvare la presenza

16 gennaio 2023

Di Ginevra Leganza

Un libro di Eugenio Mazzarella

Un ecosistema che rischia di zombificare l’uomo. È il Metaverso. Il mitologico ma non per questo irreale universo che da tempo resta la più promettente delle parole. Il più perturbante dei destini con cui l’uomo s’è dato appuntamento. Metaverso è il gong con cui s’apre un nuovo mondo, desideroso d’abbattere gli steccati dello spirito incarnato.
È questa minaccia ad animare l’ultimo libro del filosofo Eugenio Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis, 2022). È dunque la ragionata apprensione che dietro la promessa si nasconda la possibilità di uno “shock antropologico”. Di uno scossone nella percezione del mondo e del sé che sbiadisce contorni e colori dell’uomo fisico, dell’individuo presente a sé stesso. 
Se è vero che lo spirito si fece carne – e tutti noi fummo salvati – oggi il Metaverso ripropone mefistofeliche ambizioni. Esso rischia di magnetizzare l’anima e disincarnarla mentre che al danno s’aggiungono beffe. Si raccontano le potenzialità didattiche, lavorative, relazionali, edonistiche di questa strana creatura chiamata Web 3. Si studia la storia e la geografia e ci si immerge nella Roma dei Cesari o in un cratere lunare. Tutto fantastico. Eppure – fra navicelle e capitelli – la schiena s’incurva sullo schienale d’un divano. Il muscolo cede e la carne dimentica sé stessa… E ancora è curioso si parli di smart working con lo stesso candore che accompagna le discussioni sul malessere digitale: si intende smart lo stesso elemento provocante la fatica digitale. Ebbene, in questo paradosso è evidente che qualcosa non torni. Come può essere super smart la concausa di un disagio? Secondo le neuroscienze – spiega Eugenio Mazzarella – la fatica digitale è figlia dello “spiazzamento” subito dalle place e border cell ossia da quei neuroni che si attivano quando ci si posiziona in un ambiente. L’essere umano costruisce il proprio sé – e dunque il senso di “presenza” – attraverso una forte presa mentale sugli eventi e sulle persone nei luoghi frequentati. È chiaro, quindi, che essere con un piede in una stanza e con l’altro in un pc desti un problema – sempre secondo le neuroscienze – nel cervello umano. Il quale non riesce a codificare lo screen come “luogo” e s’affatica a collegare le esperienze vissute nell’onlife alla memoria autobiografica costitutiva del sé. Memoria autobiografica che è il sale stesso dell’identità. 


In questo quadro complesso, il digitale rappresenta una delle soglie valicate dal destino umano. La prima – spiega Mazzarella – coincise con la fissione nucleare: al netto di grandi benefici, scindere l’atomo rischiava pure di scindere il mondo in miliardi di pezzi non più componibili. Così come – ed ecco la seconda soglia – scoprire l’elica del DNA consentì di allargare il margine di modifica del nostro ambiente interno. Ed è proprio in questa sequela di soglie valicate che si è posto il digitale. Anch’esso, infatti, vuole abbattere tutti i confini. Finanche il più ostico: la carne.
Oggi il digitale s’appresta a essere re-ontologizzato attraverso l’Information and Communication Technologies miste a Intelligenza artificiale. E in questo spostamento ulteriore del limite, Mazzarella fugge la schiatta degli “integrati” – per dirla con Umberto Eco – ovvero dei tecno-ottimisti a proprio agio con la possibilità di un digitale non più inteso come strumento ma, nell’immersività del metaverso, come “abbraccio planetario”. Il filosofo napoletano penetra nei suoi lati oscuri. E vede, in quella promessa di felicità e di apparente unione degli individui a mezzo “rete”, uno spettro tecno-gnostico. Spettro in senso stretto dal momento che il Metaverso non ama la carne e sembra a tratti richiamare il binomio soma-sema (corpo-tomba). 
Esso si impone come vero e proprio sistema operativo delle nostre vite e della nostra società, spiega l’autore, e l’annuncio di Mark Zuckerberg, nell’autunno del 2021, più che un fulmine a ciel sereno fu un passo tanto decisivo quanto naturale. Prima di quel proclama il web era – ed è ancora – “la nuova gleba cui siamo asserviti […] racchiusa nel fazzoletto di terra di uno schermo che ci viene fornito a ‘casa’”. Una servitù che attende il nuovo sistema operativo per compiersi a tutto tondo. Ed è esattamente questo l’incubo gnostico covato nella Valle del Silicio: rendere l’uomo stesso il mezzo, per così dire la cavia-utente, che strutturi e modelli una nuova intelligenza. Non più semplicemente ingegneristica, artificiale. Ma para-umana. 
C’è uno snodo, in questo libro breve ma intenso, che affascina per il suo tono mite, anti-sensazionalistico. Secondo Mazzarella il nefasto abbandono della carne si gioca tutto nei “sensi superiori”, così chiamati da Hegel: il digitale si appropria infatti della nostra vista e del nostro udito. Ci ipnotizza coi pixel e ci seduce con le interfacce vocali. Il Metaverso ha forse velleità ulteriori. Ma oggi, in questa cattura dei “sensi superiori”, saranno proprio i “sensi bassi” – “l’anima bassa” – a salvare la presenza. A cominciare dal tatto. E dunque da quella magia, ben più antica e potente di un mondo parallelo, consistente nella necessità di toccarsi. Perché alla presenza, per salvarsi, basta davvero poco. Basterà la scintilla della pelle contro pelle. Il fuoco umano che scampa – almeno per errore – al ciclone digitale.