Dalla simulazione delle particelle alla divulgazione scientifica per ragazzi, un percorso che ha condotto Anna Parisi, fisico ricercatore, donna pragmatica e poliedrica, non solo a coniugare i sogni di una vita, ma a comprendere che se la contestualizzazione storica facesse da scena a formule, postulati ed assiomi, in una storia delle idee della fisica che elogia il dubbio e mortifica l’ovvietà, riusciremmo a familiarizzare con gli scienziati protagonisti, comprenderemmo meglio il pensiero che sta alla base dei loro ragionamenti, e ci godremmo lo spettacolo in quel meraviglioso teatro dell’apprendimento esperienziale ove la quarta parete non è mai esistita.
Cos’è la fisica?
«La fisica è la volontà dell’uomo di cercare di capire come funziona la natura, anzi -come diceva Feynman- la fisica è come il sesso, certo può dare alcuni risultati pratici, ma non è per questo che la facciamo.»
Quando faceva ricerca di cosa si occupava maggiormente?
«Mi è sempre piaciuto moltissimo capire come fanno le nostre dimensioni a funzionare grazie alle piccole particelle, atomi o molecole, che noi non vediamo e questa è la fisica statistica, ma io mi sono occupata di programmi di simulazione delle particelle elementari perché ero entrata all’università per sapere come funzionavano queste particelle e volevo uscire dall’università sapendolo.»
Dalla simulazione delle particelle alla divulgazione scientifica per ragazzi, qual è stato il passo?
«Io lavoravo come fisico in un centro di ricerca dell’IBM, poi un’amica archeologa mi ha coinvolta nello scrivere una guida di Roma antica per bambini e mi sono appassionata moltissimo, quando il centro di ricerca è stato chiuso, mi sono trovata di fronte ad un bivio o andare via da Roma, ma sarebbe stato impossibile perché avevo due figli piccoli allora, o lavorare nel marketing e lasciare la ricerca. Così ho abbandonato l’IBM ed ho aperto una casa editrice per ragazzi riuscendo ad unire i sogni di una vita: da un lato la fisica e dall’altro l’editoria.»
Che libri ha scritto fin’ora?
«La storia della scienza raccontata ai bambini. I primi passi dell'uomo nel mondo della conoscenza”, “La fisica raccontata ai ragazzi” e “Dipende: Einstein e la teoria della relatività”, sono libri che avevo pubblicato con la mia casa editrice, in tempi diversi e con titoli diversi, e che poi Salani, qualche anno fa, ha scoperto e ripubblicato.»
Perché ha scelto i giovani come target di riferimento?
«Perché servono i giovani per fare cose nuove e proprio a dimostrazione di ciò pensi che il premio nobel per la matematica non esiste, ma esiste la medaglia Fields, che va solo a ragazzi più giovani di 40 anni. Certo qualcuno narra che Nobel lo avesse eliminato perché sua moglie avesse un amante matematico, ma non credo sia per questo.»
Molti genitori, però, pensano che le cose “difficili”, quali la fisica o le formule matematiche, non possano essere insegnate ai giovani, lei concorda?
«Secondo me è vero e falso allo stesso tempo, perché se è vero che tutto può essere insegnato, basta solo trovare il metodo, credo ci siano dei concetti che vengano acquisiti ad una certa età, ad esempio il concetto di “infinito” al quale i Greci non sono mai arrivati, credo che difficilmente possa essere appreso al liceo, probabilmente dipende sia da una maturità intellettuale che da una mentalità culturale.»
Ha usato un metodo per verificare i suoi testi, prima della stampa? Non credo sia un’impresa facile per un fisico scrivere e farsi capire, soprattutto da giovani e giovanissimi.
«Sì ho sempre avuto due estremi per correggere i miei testi, da un lato un lettore che non capiva nulla di fisica e dall’altro uno che ne capiva tutto, il professore Giorgio Parisi. E non lo davo alla stampa finché non fossero concordi tutti e due.»
Ho trovato molto interessante il suo modus narrandi: dialogare con gli scienziati del passato alla ricerca dei perché.
«L’ho fatto con l’intento di far capire ai giovani lettori quanto gli studiosi abbiano ragionato prima di scrivere certe teorie, gli studenti devono capire che tutte le cose che gli raccontano a scuola non sono cadute dal cielo, se fosse così, l’oroscopo andrebbe benissimo, almeno sarebbe più divertente; invece capire quanta strada c’è alla base dello sviluppo della scienza e della conoscenza in generale, credo sia una ricchezza inestimabile, lo è stato anche per me e mi ha condotta a conoscere cose immaginabili: ad esempio che Maxwell ha scritto tutte le leggi sull’elettromagnetismo senza sapere che esisteva l’elettrone o che Archimede ha sviluppato il calcolo integrale quando il calcolo integrale è stato stabilito nel 1700, potrei citare mille di questi esempi per dire che tutti gli scienziati del passato sono andati avanti anche facendo grandi errori concettuali.»
Dunque che valore dà al concetto di errore?
«Infinito. Molta gente dice che la scienza è saper ragionare con gli errori, infatti, in realtà noi non possiamo mai dire che una cosa è giusta, possiamo solo dire che una cosa è sbagliata; noi ragioniamo per errore cioè facciamo in modo che le cose funzionino all’interno di quegli errori. L’errore è fondamentale nella scienza perché quando troviamo un errore sappiamo che dobbiamo lasciare una direzione e cercarne un’altra.»
Nel chiedersi dei perché, quale ritiene essere il labile confine fra fisica e filosofia?
«I fisici si sono sempre sentiti dei grandi filosofi perché cercano di interpretare la natura e i filosofi hanno sempre accusato i fisici di non saper fare filosofia e personalmente credo sia vero. Ricordiamoci, comunque, che i primi filosofi sono stati anche i primi fisici e viceversa.»
E in tutto questo la matematica che posto ha?
«La matematica non è considerata una scienza sperimentale, come la fisica e la biologia, perché la matematica non cerca di capire la natura, ma è uno strumento formidabile specialmente per la fisica e la cosa abbastanza strana è che la fisica, cioè la natura, obbedisce alla matematica. La matematica, proprio per il fatto di non essere una scienza, può dire se una cosa è vera o falsa (cosa che la fisica non può fare), ma solo all’interno di postulati ed assiomi.»
Quando in una ricerca scientifica si pronuncia “eureka” il viaggio è terminato o non si ha mai una meta definitiva?
«Come prima cosa non basta un solo “eureka” perché se hai trovato un risultato positivo e inaspettato in un esperimento, questo dev’essere ripetuto e sperimentato da tanti altri. Potremmo dire che il vero lavoro inizi proprio là: eureka è certamente un punto di partenza e non di arrivo.»
Nei suoi libri, fa precedere le formule dei vari scienziati da una contestualizzazione storica dello scienziato stesso, inaspettato per un testo di fisica, ma molto interessante.
«Beh sì, mi è venuto spontaneo farlo perché sono partita dai testi originali e leggendoli ho iniziato a familiarizzare con questi personaggi, a capirli meglio. Al di là di ciò, sappiamo che uno scienziato segue l’altro e critica le teorie del precedente, dunque ritengo fondamentale seguire l’iter storico; è come quando leggi la letteratura e devi contestualizzare l’autore: infatti non capisco come mai esistano la storia della letteratura o la storia della filosofia, ma per fisica e la matematica si forniscano solo i risultati.»
Allora ha voluto scrivere la storia della fisica?
«In un certo modo, la mia è una storia della fisica, anzi è la storia delle idee della fisica, di come si sono evolute durante l’umanità.»
E da dove è venuta quest’idea?
«Dallo studio della filosofia al liceo, io l’amavo e la cosa che mi divertiva di più era proprio quella di trovare il punto debole del filosofo, cercavo di capire quello che non mi convinceva delle idee dei filosofi, ci sono riuscita con tutti tranne che con Kant, lui è micidiale, inattaccabile (sorride). Comunque è proprio questo l’approccio che ho usato nei miei testi e che consiglio ai giovani: studiate chiedendovi sempre cosa non vi convince perché è il dubbio che fa fare passi avanti, con l’ovvietà resti dove sei.»
Quale altro consiglio darebbe ai giovani studenti di fisica?
«Credo che potrebbe essere utile partire dagli esperimenti, provando a verificare alcune cose che si studiano, nei miei libri inserisco sempre esperimenti semplici e fattibili, perché metterci le mani dentro può aiutare.»
E un consiglio per i docenti?
«Prima di tutto credo che amare la propria materia dia un valore enorme, poi trovo sbagliato che gli insegnanti di matematica e di fisica siano la stessa persona perché la mentalità di un fisico e di un matematico sono completamente diverse, per cui i fisici insegnano male la matematica e viceversa. Posso dire loro di aggiornarsi sempre e soprattutto di ricordarsi di quando loro stessi erano ragazzi, da cosa erano attratti o colpiti quando il docente spiegava, perché anche se oggi i ragazzi sono diversi da noi, forse il modo di ragionare non era poi così diverso.»