Bologna si tinge di rosso per Campioni in Piazza, la grande festa del 15 dicembre in Piazza Maggiore per celebrare il grande 2022 della “sua” Ducati. Un evento-show che premia la stagione d’oro della Ducati, la migliore di sempre per la Casa emiliana che ha fatto il pieno conquistando i mondiali piloti, costruttori e team sia in MotoGP che in Sbk. In piazza Maggiore saranno presenti i neo campioni del Mondo Pecco Bagnaia (MotoGP) e Alvaro Bautista (Sbk), lo staff del reparto corse e i dipendenti di Borgo Panigale, tanti artisti fra i quali J-Ax, Giuseppe Giacobazzi, Federico Poggipollini, Luca Ward. In esposizione i bolidi MotoGP e Sbk di Bagnaia e Bautista. Presentazioni e interviste affidate a Guido Meda e Barbara Pedrotti. Non mancheranno sorprese. “Dopo questi risultati straordinari – dice l’ad della Ducati Claudio Domenicali – non potevamo che festeggiare in grande con un evento aperto a tutti gli appassionati. Campioni in Piazza sarà un momento di festa e condivisione in una città dove Ducati è nata e il legame con il territorio è per noi un grande valore aggiunto. I bolognesi e tutti gli appassionati si uniranno con noi per festeggiare gli obiettivi raggiunti da un’azienda che ha qui le sue radici ma è fiera ambasciatrice del Made in Italy nel mondo”. Già. Vittorie di particolare significato, specie il titolo piloti della MotoGP, inseguito dalla Casa bolognese da 15 anni, dal trionfo del 2007 con l’australiano Casey Stoner. L’ultimo pilota italiano su moto italiana a vincere il mondiale della “classe regina” era stato Giacomo Agostini su MV Agusta 500 nel 1972: cinquant’anni fa! La Ducati è adesso la regina del motociclismo mondiale, un emblema che fa bene allo sport italiano, una ventata d’aria buona per il Paese. Il 16 novembre scorso il presidente Mattarella ha ricevuto al Quirinale Pecco Bagnaia (“Ho coronato il mio sogno e ho portato con orgoglio la bandiera italiana” ha detto il neo iridato piemontese al capo dello Stato) e tutto lo staff Ducati: “L’Italia ringrazia Pecco Bagnaia e la Ducati. Mi auguro che questi grandi risultati continuino, ci sarà sempre posto al Quirinale per celebrare questi successi frutto del lavoro di tante persone, di tante professionalità “. Può essere, questo 2022 trionfale per la Ducati, l’apertura di un ciclo di vittorie per la Rossa, di successi sui mercati per il Made in Italy, una spinta a fare di più e meglio e a primeggiare che va oltre il motociclismo? Di certo è un modello che promette di durare e far sognare i tifosi: è un segnale che fa bene a tutti, nel Belpaese e oltre perché i trionfi 2022 della Ducati non sono fortunate coincidenze ma il frutto di ingegno e di impegno di tutta la squadra corse, di tutta l’azienda intesa nel suo complesso e, perché no, della cultura del motociclismo italiano ed europeo che viene da lontano e punta lontano.
Oggi Ducati, senza nulla togliere alla significativa presenza dell’Aprilia, in MotoGP è la “rossa” emblema del Made in Italy, come – facendo le dovute proporzioni – è la Ferrari in Formula 1. Oggi Ducati rappresenta l’orgoglio del motociclismo tricolore come in passato sono stati grandi marchi quali Guzzi, Gilera, Mondial, MV Agusta, Benelli, Bianchi, Morini, Garelli, Aprilia, Morbidelli. Domenicali indica la strada: “Le corse restano centrali nel nostro progetto”. La conferma viene anche dall’accordo con la Dorna promoter del Motomondiale che ha ufficializzato la presenza della Casa bolognese in MotoGP per altri cinque anni, fino al 2026. La festa Ducati del 15 dicembre è da intendersi come l’alba rossa per affermare un percorso iniziato quasi un secolo fa, nel 1926, quando l’ingegnere di Comacchio Antonio Cavalieri Ducati fondava la SSR Ducati (società scientifica radiobrevetti) specializzata nella ricerca e produzione di tecnologie d’avanguardia per le comunicazioni radioelettriche e meccaniche di precisione. Bombardata e distrutta il 12 ottobre 1944, due anni dopo la rinata Ducati entra nel settore motociclistico con il Cucciolo lanciato con lo slogan pubblicitario: “Un piccolo motore per ripartire”. Agli inizi solo un motore ausiliario (monocilindrico 4 tempi di 48 cc con 1,25 CV a 4000 giri, velocità di 45 Kmh ad un consumo di 1 litro/100 Km) poi un ciclomotore completo di grande successo commerciale anche grazie alla particolarità del propulsore 4 tempi e del cambio a due marce: oltre 300.000 esemplari venduti nel mondo a fine 1958! Una spinta alle vendite arrivò nel 1953 dal film “Pane, amore e fantasia” con Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida scorrazzanti sul Cucciolo, antesignano dell’attuale bici con pedalata assistita. Da allora Ducati significa anche intreccio di cambi di proprietà e di aziende specializzate in vari settori. Oggi Ducati fa parte del Gruppo Volkswagen (per le auto 12 marchi: VW, Audi, Seat, Skoda, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche), dodici marchi automobilistici da sette diversi paesi europei, più moto (Ducati) e veicoli commerciali: VW Commercial Vehicles, Scania AB e MAN. Qui si fa riferimento all’impegno Ducati limitatamente al motociclismo, alla sua componente agonistica da cui si evince l’importanza della Casa emiliana nelle corse a livello nazionale e internazionale. Oggi Ducati significa MotoGP e Superbike ma la Casa di Borgo Panigale è stata grande protagonista, specie nel decennio 1950-1960, nelle mitiche corse di gran fondo (Milano-Taranto 1.400 km in tappa unica e Giro d’Italia oltre 3.000 km a tappe) e in quelle riservate a “juniores” e “cadetti” nelle classi 100, 125, 175: manifestazioni e gare di grande valenza agonistica, tecnica e sociale con una straordinaria partecipazione di moto, corridori e pubblico.
Dalla base di quelle motociclette Ducati “sport” – in particolare frutto della genialità dell’ingegnere lughese Fabio Taglioni - derivarono le normali moto stradali e poi i bolidi Grand Prix a distribuzione desmodromica, tutt’ora vanto della tecnologia di Borgo Panigale. La prima vera moto da corsa Ducati è il monoalbero di 100 cc del 1955 preparato per il Motogiro, la Milano Taranto, i campionati juniores e cadetti. Quella moto 100 cc passerà alla storia con il nome di “Marianna” e in quel periodo vincerà tutto, ovunque, passando dagli iniziali 9 Cv a 9000 giri e 130 Km/h di velocità fino (con la versione bialbero) ai 16 Cv a 11.500 giri oltre 160 Km/h. Nel Motogiro 1955 Ducati fa cappotto: i primi dieci posti nella 125 sono occupati dai piloti in sella alla “Marianna”. L’anno dopo, Maoggi e Marenghi sulle piccole 125 bolognesi sono primi e secondi assoluti del Giro d’Italia battendo anche le moto di 250 e 500 cc. Nello stesso anno l’ingegner Taglioni, assunto nel 1954, perfeziona il suo sistema desmodromico di richiamo delle valvole (in sintesi: senza il vincolo delle molle si raggiungevano regimi di rotazione più elevati e quindi maggiori velocità) – il Desmo diventerà il simbolo di tutti i motori Ducati — consentendo alla Casa bolognese di partecipare anche al Motomondiale 125 con il monocilindrico 4 tempi da oltre 17 Cv a 12.500 giri sui 170 Km/h con la prima vittoria al GP di Svezia dove Alberto Gandossi batte gli squadroni della MV Agusta, Gilera, Mondial, MZ. La nuova Ducati 125 desmo vince sei delle dieci gare iridate del 1958. La moto viene sviluppata e nel 1958-59 è la miglior 125 Grand Prix nel mondo: quasi 20 Cv a 13.000 giri sopra 180 Km/h con carenatura parziale: trionfa nel tricolore seniores, seconda, terza e quarta al TT inglese, seconda e quarta ad Assen , trionfa a Spa con Gandossi a 159,422 km/h di media, con il bis in Svezia (dopo la sfortuna al Nurburgring), e il tris finale a Monza con cinque Ducati ai primi cinque posti con Spaggiari, Gandossi, Villa (con la nuova bicilindrica), Chadwich, Taveri. Senza la jella dell’Ulster, con Gandossi a terra quando viaggiava solitario in testa, la Ducati avrebbe vinto quel Mondiale. Peggio ancora nel ’59, tanta sfortuna e una sola vittoria, all’Ulster con... Mike Hailwood, corridore “nato” in Ducati, poi 9 volte iridato. Con quella moto, nel 1961 Farnè vinse a Modena, Cesenatico e Imola battendo la tedesco-orientale MZ monocilindrica 2 tempi a disco rotante di Ernst Degner e le Honda bicilindriche 4 tempi bialbero di Tom Phillis e Jim Redman.
Mike Hailwood su Ducati al Tourist Trophy
In quegli anni Ducati si cimenta anche nella 250 con la bicilindrica desmodromica (38 Cv, 11.500 giri, oltre 220 Km/h) dove nel 1960 ancora con Hailwood ottiene piazzamenti nel Mondiale e con Alberto Pagani gira a Monza a oltre 175 Km/h di media. La 125 desmo monocilindrica resta il cavallo di battaglia Ducati di quell’epoca, poi abbandonata perché dal 1959-60 a Borgo Panigale c’è il disimpegno ufficiale dalle competizioni. Dal 1961 al 1964 è il reggiano Bruno Spaggiari a riportare in pista nella Mototemporada tricolore, con risultati lusinghieri, le Ducati “mono” 250 e 350. Lo stesso Spaggiari che nella prima mitica 200 Miglia di Imola del 1972 giunge secondo in volata dietro al compagno di squadra Paul Smart perché la sua Ducatona grigia derivata dalla 750 GT di serie finisce la benzina a 500 metri dal traguardo. Nel 1978, dieci anni dopo l’addio al Motomondiale e quattro anni dopo l’abbandono della Formula Uno automobilistica, il mitico Mike Hailwood torna in pista a 38 anni stempiato e con pancetta dominando dopo 11 anni di assenza al TT dell’Isola di Man con una Ducati SS900. Per la Casa bolognese è l’apoteosi mondiale, un trionfo che dalla pista si espande nei mercati. Nel 1985 Ducati è rilevata da Claudio e Gianfranco Castiglioni entrando nel Gruppo Cagiva: inizia l’avventura con le vittorie nella SBK, il mondiale delle derivate di serie partito nel 1988. Due anni dopo, nel 1990, ecco con la 851 il primo titolo mondiale SBK con Raymond Roche. Nel 1994 Carl Fogarty porta al trionfo iridato la 916 derivata dal modello di serie definita la “Moto dell’anno”. Ancora Fogarty (quarto titolo!) nel WSBK del 1999, quindi nel 2001 tocca a Troy Bayliss che nel 2008 con la 1098F08 fa suo il terzo mondiale: 13° titolo del Mondiale Piloti e 15° titolo Mondiale Costruttori vinti da Ducati nel WSBK! Titoli che saliranno ancora, ma questo è già cronaca. Sia per la SBK che per la MotoGP. Adesso Ducati è la regina del motociclismo mondiale. Tocca ai colossi industriali del Sol Levante, e non solo a loro, inseguire. La partita è aperta.