06.12.2021 Andrea Marcolongo

Essere Prometeo

Prevedere. Catalogare il reale prima degli altri, prima di tutti.

In una parola soltanto, e immortale: essere Prometeo. Mito filantropico, scopo ultimo dell’eroe greco è quello di donare agli uomini, sue creature, le qualità e gli strumenti per sottrarsi un poco a quella necessità di natura che li rende tanto fragili, limitati, terribilmente mortali. Non per tracotanza né per avidità quindi, ma per concedere all’umanità una possibilità di felicità, questo è l’unico fine della tecnica secondo il mito di Prometeo, che con i suoi furti agli dei per distribuire poi i doni del sapere agli uomini, a partire dal fuoco, si trasforma in un Robin Hood

umanista – amico pietoso dell’uomo, suo compagno e alleato. Sempre in bilico, però, tra necessità e misura, tra ignoranza e troppo sapere, fino alla punizione finale da parte di Zeus, che vedrà Prometeo incatenato a una rupe e il vaso di Pandora scoperchiato irrimediabilmente sulla terra.

Dedicarsi oggi allo studio del gemello digitale significa potersi mettere nei panni, e nella coscienza, dell’antico Prometeo: grazie all’analisi dei dati raccolti, è possibile infatti elaborare una tendenza e dunque anticipare reazioni e comportamenti, correggendo le debolezze e ampliando le opportunità. La conoscenza a nostra disposizione è fondata sulla previsione e sull’anticipazione, senza più bisogno di una teoria da dimostrare né di prototipi da testare, ma solo di una tendenza da rilevare per poter limitare infine l’ineluttabilità dello stato di necessità. In sintesi, l’antica facoltà di preveggenza di Prometeo è oggi soddisfatta dalle macchine, e sarà sempre più accessibile nei domini scientifici più differenti: come indirizzarla, come orientarla quando a essere sospesi davanti al dirupo tra misura e arroganza siamo noi e tutta la nostra epoca?

Che il figlio del titano Giapeto e di un’oceanina sia l’eroe civilizzatore – anzi, tecnologicamente innovatore – della mitologia greca, è noto fin da Esiodo, che di questo archetipo fu forse il creatore. Tuttavia, è magari meno palese che la storia di Prometeo, il cui nome deriva da προμανϑάνω (promantháno), “saper vedere prima”, sia intrecciata fin dall’inizio alla dimensione gemellare, speculare dell’esistere e del sapere – quasi che nessun progresso scientifico sia concesso all’uomo se non costretto a specchiarsi in ciò che scopre, obbligo ultimo di onestà e di responsabilità.

Il mito narra infatti che Prometeo aveva cinque coppie di fratelli gemelli; il suo, contrario e simmetrico a partire dal nome, era Epimeteo, che in greco significa “rendersi conto soltanto dopo”. All’inizio virtuosi e saggi, i gemelli dell’Olimpo presero presto a dimostrarsi arroganti e irrispettosi nei confronti degli dei, che stavano ancora portando a termine le loro cosmogoniche battaglie per spartirsi la terra, il cielo e il mare quando il mondo aveva appena assunto la sua forma a partire dal caos originario. Due gemelli, Atlante e Menezio, si unirono ad altri in quell’epica titanomachia che a lungo assediò l’Olimpo fino a quando Zeus non li ricacciò giù, obbligando Atlante a portare per sempre il peso del cielo sulle sue spalle.

A differenza dei suoi gemelli, con lungimiranza Prometeo si schierò fin da subito dalla parte di Zeus, ottenendo così il privilegio di accedere liberamente all’Olimpo, come fosse la sua propria casa. Fu presente alla nascita di Atena, la dea della saggezza il cui simbolo è la civetta capace di scorgere la luce pur nelle tenebre, generata dalla testa di Zeus. E fu proprio Zeus, che tanto stimava l’intelligenza di Prometeo, ad affidargli il delicato compito di forgiare l’essere umano, che il titano modellò sapientemente nel fango animandolo poi con una scintilla di fuoco. Purtroppo Epimeteo, incaricato da Zeus di creare gli animali per abbellire la neonata terra, dissipò tutte le buone qualità a disposizione distribuendole in modo grossolano: non restandone più per gli uomini, Prometeo fu costretto a commettere il suo primo furto a fin di bene per la stirpe mortale, sottraendo ad Atena l’intelligenza e la memoria che la dea custodiva gelosamente in uno scrigno.

(Copertina) Prometeo, Constantin Brâncuşi, 1911, marmo, Philadelphia Museum of Art. (Sopra) Double house, Sergio Sarra, 2013, pittura acrilica su tavola. Foto di Giorgio Benni

In quell’epoca felice, gli uomini erano ancora ammessi sull’Olimpo alla presenza degli dei, con i quali condividevamo momenti di amicizia e di convivialità. Durante uno di questi banchetti fu servito agli ospiti un enorme bue, di cui metà spettava agli dei e l’altra metà agli uomini. Incaricato di stabilire le parti fu Prometeo, che allora ingannò Zeus per la seconda volta: agli uomini riservò la carne più pregiata nascondendola sotto uno strato di disgustosa pelle mentre imbandì le ossa e gli avanzi con un intingolo di grasso succulento, invitando poi gli dei a decidere per primi quale porzione preferissero. Quando Zeus, una volta scelta la parte che sembrava alla vista più gustosa, si ritrovò nel piatto dei miseri scarti s’infuriò e decise di punire severamente gli uomini privandoli per sempre del fuoco. Senza più fiamme intorno alle quali scaldarsi, gli uomini sulla terra morivano di freddo e di debolezza. Con un gesto di generosità suprema, fu di nuovo Prometeo a intervenire, salendo di nascosto all’Olimpo e attizzando una torcia direttamente dal carro del sole (secondo altre versioni, invece, il titano avrebbe rubato una manciata di faville dalla fucina di Efesto) per donarla agli uomini, che riscoprirono così il gusto dell’esistere.
 

Quando Zeus venne a conoscenza dell’inammissibile affronto da parte di Prometeo, adirato ordinò che Efesto fabbricasse una donna bellissima, la prima del genere umano, che recasse con sé il seme di ogni disgrazia e di ogni pianto, Pandora. 

Inviata in dono al gemello Epimeteo, benché messo in guardia da Prometeo di non accettare alcun dono da parte degli dei, l’imprevidente titano ne fu lusingato – non è chiaro se sia stato proprio lui oppure la donna stessa a scoperchiare l’infausto vaso, ma da allora la necessità (ἀνάγκη) indifferente regola il destino dell’essere umano senza ammettere eccezione alle leggi di natura. Prometeo, invece, fu condannato da Zeus a essere incatenato a una roccia nella parte più impervia e più esposta alle intemperie di tutto il Caucaso. Con una colonna conficcata in corpo, come narrato magistralmente da Eschilo nell’immortale tragedia, un’immonda aquila dilaniava ogni giorno il fegato di Prometeo, che la notte ricresceva in un tormento senza fine. Il benefattore dell’umanità e il padre di ogni tecnologia soffrì immensamente per secoli fino a quando, come narra sempre Eschilo nel “Prometeo liberato”, Eracle uccise con una freccia l’aquila maledetta e spezzò finalmente le catene che imprigionavano il titano caduto.
Misura e dismisura, progresso e involuzione, acquisizione e perdita – soprattutto preveggenza oppure fatale imperizia. Come il mito di Prometeo racconta, ogni innovazione tecnologica è sottomessa all’inevitabilità delle leggi di natura: l’uomo non può azzardarsi per arroganza a sostituirsi a dio, pena atroci punizioni e penose sofferenze. Se dunque non ci sarà mai concesso di creare un essere umano alternativo, una sorta di superuomo tecnologico immune alla malattia e al dolore, oggi possiamo però avere una versione simmetrica di noi stessi, speculare proprio come il gemello di Prometeo. Il gemello digitale permette infatti, per la prima volta nella storia, di trasformare la previsione del nostro avvenire, fino a ieri riservata alla discrezionalità e alla superstizione degli oracoli, in scienza misurabile, epistemologicamente osservabile.
Con la conoscenza offerta dalla previsione, che è innanzitutto un atto di osservazione se si è capaci di guardare al reale e di catalogarne con perizia i dati, si può dunque indirizzare il corso degli eventi, sempre all’interno del perimetro delle leggi imposte dalla necessità ma con un vantaggio inimmaginabile rispetto al passato – fino a ieri incedevamo verso il progresso con gli occhi bendati, oggi invece godiamo del vantaggio dato dalla preveggenza fondata su basi scientifiche.
In definitiva, il Prometeo del mito antico oggi siamo noi, è la nostra società che, grazie alla tecnologia del gemello digitale, avanza sul filo dell’evoluzione scientifica assumendosi la responsabilità di orientarla in senso umanistico. A noi, dunque, il compito di essere Prometeo e di stabilire l’indirizzo di ogni nostro gemello digitale. Accettando la sfida suprema: quella di scegliere se nascondere per troppa paura l’altra versione di noi, incatenandola all’invisibile del digitale come Prometeo alla sua roccia, oppure di liberarla, acconsentendo di guardarla infine dritta negli occhi.