Europa green? Si ma senza il suicidio economico e democratico

20 aprile 2023

Di Massimo Falcioni

Chiusa la fase del green pass legata al Covid-19 l’Europa punta sul “green”, inteso come “continente verde”. Il verde deriva da “viridis” e significa “vivace”, almeno in occidente assume un significato positivo, la sua simbologia rimanda all’infanzia (gli anni verdi) e all’equilibrio totale, fatto di armonia e amore. Tuttavia, il verde ha anche connotazioni negative, collegato alla putrefazione e al veleno e al detto: “è verde d’invidia” ed è anche il colore dell’illusione. Oggi il verde è il colore simbolo degli ecologisti, dell’ambiente e si fa portavoce di diverse ideologie politiche e religiose. La Ue, intesa come Unione europea che ha garantito più di mezzo secolo di pace, sviluppo economico e sociale contribuendo a migliorare il tenore di vita dei cittadini e ha introdotto una moneta unica (l’Euro), ha oggi come obiettivo principale quello di far diventare il continente “verde”. Con la normativa europea sul clima il conseguimento dell’obiettivo climatico dell’UE di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra nel continente di almeno il 55% entro il 2030 diventa un obbligo giuridico.

I paesi dell’UE stanno lavorando a una nuova legislazione per conseguire tale obiettivo e rendere il continente climaticamente neutro entro il 2050. Nel pacchetto “Pronti per il 55%?”  ci sono molti titoli: norme sulle emissioni di CQ2 per auto e furgoni, efficienza energetica, energia rinnovabile, uso del suolo e silvicoltura, infrastruttura per combustibili alternativi, energia rinnovabile, meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, tassazione dell’energia, sistema di scambio di quote di emissione dell’UE, ReFuelEU Aviation e FuelEU Maritime, fondo sociale per il clima. Insomma, c’è di tutto e di più. E i primi effetti, pesanti, si vedono. Pochi giorni fa, il 15 aprile 2023, a sessantadue anni di distanza dall’ingresso in rete di Kahl, la prima centrale sperimentale, la Germania ha spento definitivamente le sue ultime tre centrali nucleari (Isar II in Baviera, Emsland in Bassa Sassonia, e Neckarwestheim II nel Baden-Wurttemberg, dopo aver riaperto di recente gli impianti a lignite e antracite con l’obiettivo di dismetterli entro il 2030. Poco o niente si è detto sui tempi lunghi dello smantellamento: ci vorranno almeno quindici anni (!) e bisognerà trovare un sito per stoccare gli scarti radioattivi. Comunque, in Germania l’era dell’energia nucleare è finita. Ad averla vinta è il movimento tedesco contro il nucleare nato oltre quarant’anni fa dopo il grave incidente  del 28 marzo 1979 nella centrale nucleare USA di Three Mile Island  con il rilascio di gas e di iodio radioattivi e sviluppato dopo il disastro di Chernobyl del 1986. Secondo i sondaggi (YouGov), solo il 26% dei tedeschi era favorevole alla chiusura (tra i soli elettori dei Verdi si sale al 56%): il 32% era favorevole a mantenere attivi almeno gli ultimi tre reattori pur se per un periodo limitato mentre un altro 33% voleva mantenere le attuali centrali per un tempo indefinito.

Ma è stato tutto inutile perché si è trattato dell’ultimo atto di un lungo processo di de-nuclearizzazione avviato dal governo Schroeder nei primi anni del nuovo secolo, rilanciato dal governo Merkel specie dopo il disastro di Fukushima del 2011 e poi bandiera e cavallo di battaglia dei Verdi, oggi fondamentali anche sul piano elettorale per la sopravvivenza dell’attuale governo del socialdemocratico Olaf Scholtz. Adesso la Germania dovrà affidarsi alle fonti rinnovabili e sulle vecchie centrali termiche ancora attive. La Germania è il Paese europeo che consuma più carbone, quasi un terzo del fabbisogno energetico. Carbone che è totalmente incompatibile con la scelta europea di de-carbonizzazione. Allora? Così altra via non c’è se non quella di fare affidamento sulle rinnovabili e anche sul gas di importazione (principalmente dalla Russia) che, con lo scenario stravolto dalla guerra in Ucraina, diventa impossibile. Il governo tedesco ha promesso che al 2030 la Germania potrà contare su un mix composto all’80% da rinnovabili. Ma sarà davvero possibile alimentare così, con le rinnovabili, un Paese come la Germania? Già la California ha fallito su questa strada. Nel 2022 queste fonti (soprattutto l’eolico) hanno rappresentato quasi il 47% della generazione elettrica del Paese, crescendo del 4,9% rispetto all’anno prima grazie alle condizioni meteo favorevoli. Ma molto è legato al meteo, quando il vento non tira e il sole non splende, pannelli e turbine non girano. Problemi, si dice, risolvibili migliorando l’interconnessione con i sistemi energetici dei Paesi vicini e con lo stoccaggio, conservando l’energia all’interno di dispositivi o di combustibili per restituirla poi alla rete, quando necessaria. Il sistema migliore per l’accumulo è la batteria agli ioni di litio, dai costi elevati (contiene metalli preziosi quali litio e cobalto) e da una scarsa efficienza, dato che una parte dell’energia immagazzinata si disperde. La chiusura delle tre centrali nucleari ha avuto una forte eco in Germania con feste degli ecologisti specie a Berlino e a Kiel non lasciando traccia di rilievo negli altri paesi europei e tanto meno fuori Europa. 


Le conseguenze di questo modo di affrontare la transizione verde per la lotta al cambiamento climatico possono essere molto pesanti per Paesi industrializzati come la Germania ma anche per tutti gli altri, a cominciare dall’Italia. Non è pensabile una Europa e un mondo senza energia. Inutile girarci attorno: se davvero l’obiettivo è quello di ridurre prima possibile e in modo totale le emissioni di CO2 altra via non c’è se non quella di costruire più centrali nucleari, di ultima generazione, unico sistema a zero emissioni. Procedere senza vedere cosa c’è attorno può costare caro all’Italia, all’Europa, all’Occidente, alla democrazia e alla pace mondiale. Regalare altro vantaggio a Paesi come la Cina, il principale Paese fornitore  delle materie prime indispensabili per la transizione verde, vuol dire entrare in un vicolo cieco. E’ un suicidio, non solo economico. E’ come infilare la propria testa nella bocca del leone affamato.