04 settembre 2020
Per la prima volta nella storia, dopo 91 edizioni, il GP d’Italia a Monza del 6 settembre 2020 si corre a porte chiuse, senza pubblico, per l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19. E per la prima volta, con un Mondiale “monco”, in Italia si disputano tre round iridati di Formula 1: oltre a quello di Monza, il 13 settembre debutta nel massimo campionato automobilistico l’autodromo toscano del Mugello di proprietà Ferrari quindi FCA e dopo una assenza di 14 anni, l’1 novembre ritorna nel mondiale l’autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Monza, Mugello (qui la Ferrari festeggerà il 1000° GP della sua storia in F1) e Imola non sono tre appuntamenti “tappabuchi” ma, proprio per il loro valore tecnico e storico, sono l’essenza delle radici del Motorsport e della migliore tradizione della Formula 1, tappe fondamentali per tener vivo un campionato oggettivamente in difficoltà e per non cedere alla spada di Damocle del Coronavirus.
Per tutti, e ovunque, il primo obiettivo è quello di contenere e sconfiggere il virus, difendere la salute, sostenere l’economia, evitando che prevalgano sottovalutazioni sulla gravità e sulle conseguenze della pandemia ma anche allarmismi e catastrofismi ingiustificati. Anche lo sport, specificatamente il Motorport, in Italia e nel mondo, ha già pagato e paga un pesante contributo ma è in prima linea per battere il Covid-19 e sostenere tutto quel che serve per riprendersi. E’ già accaduto, pur in un contesto assai diverso, negli anni durissimi della ricostruzione dopo la tragedia bellica e le divisioni ideologiche proseguite anche dopo la costituzione della Repubblica. Fu lo sport, con i suoi eventi e i suoi campioni, a dare un contributo decisivo per ricreare l’orgoglio nazionale perduto e far sorridere e sognare di nuovo gli italiani, uniti – non senza intolleranze, defezioni e strappi – sotto il “tricolore”. Semplificando e schematizzando, lo sport - come il ciclismo della fine degli anni ‘40 raccontato da Buzzati o la boxe dei “Ragazzi di vita” di Pasolini a metà degli anni ’50 – intesi come rischio, sacrificio, scuola di vita anche per il riscatto sociale e culturale sospinto dal vento nuovo del boom economico.
Locandina ufficiale Gran Premio di Monza 1949
Ma torniamo all’immediato dopoguerra quando già nell’estate-autunno 1945 lo sport volta pagina dopo il ventennio di divi e campioni di regime (“Il fascismo è stato il grande imbonitore dello sport italiano, ha battuto la grancassa attribuendosi meriti tra spolverio e barbagli” scriveva sul Corriere, dopo la Liberazione, l’olimpionico medaglia d’oro Ciro Verratti) e riprende come può e dove può spinto dalla passione, dalla volontà di ripartenza, dai sacrifici di atleti e organizzatori delle varie discipline, emulando il popolo. I “liberatori” americani tracciano anche qui la loro linea promuovendo baseball, basket, bowling, pallamano, tiro con l’arco, scherma ,boxe. Ma gli italiani restano legati alle “loro” passioni sportive: ciclismo, calcio, automobilismo, motociclismo, pugilato, atletica. In tutte le città si organizzano “alla bell’e meglio” partite di calcio, gare di biciclette, di moto (soprattutto gimcane) e di auto, incontri di pugilato, sfide di ogni tipo. L’11 novembre 1945 la nazionale di calcio italiana ritorna in campo (neutro) a Zurigo pareggiando 4 a 4 con la Svizzera. Dal ’43 al ’45 si erano giocati due tornei, uno al Nord e uno al Centro-Sud, rilanciando poi il massimo campionato nazionale. Il 15 giugno 1946 riprende il Giro d’Italia con 14 tappe e il trionfo del vecchio Bartali sul giovane Coppi anche se i tafferugli “politici” nella tappa verso Trieste fanno temere il peggio. Il grande Torino di Valentino Mazzola porta folle ed entusiasmi negli stadi fino alla tragedia dello schianto aereo sulla collina di Superba del 4 maggio 1949. Nel 1947 gli italiani accorrono lungo le strade delle Mille Miglia (l’ultima edizione “ridotta”, vinta dal barone tedesco Von Hanstein, era stata nel maggio1940, nel turbinio dei venti di guerra) per consacrare il mito della velocità esaltando Tazio Nuvolari. Nel luglio 1948 la cavalcata trionfale di Bartali al Tour de France riporta aria di festa e di concordia in una Italia che dopo l’attentato del 14 luglio ‘48 al leader del Pci Togliatti stava per sprofondare nel gorgo della guerra civile. 15 giorni dopo, il 29 luglio, l’Italia vince a Londra l’oro olimpico nel lancio del disco con Adolfo Consolini portato poi in trionfo in molte città, al suo rientro. Lavoro e divertimento si inseguono in un equilibrio precario dove pesano disparità sociali e culturali. Nel 1946-47, per gli “svaghi” gli italiani spendevano 40 miliardi di lire annui: 851 lire pro capite (622 lire per il cinema; 85,80 per i balli, fiere e parchi divertimenti; 76, 10 per il teatro; 67,05 per lo sport). Si va al cinema una volta alla settimana, allo stadio una volta ogni due anni. Via via lo sport guadagna le prime pagine dei giornali, entra in radio, debutta in tv conquistando gli italiani che spingono forte sul lavoro ogni giorno per la ricostruzione come Coppi e Bartali sui pedali per i trofei.
Monza Formula 1 paddock 1948
Per il Motorsport, la fine della fase più acuta può essere indicata nel 1949 per il motociclismo e nel 1950 per l’automobilismo, con l’effettuazione dei primi campionati del Mondo delle 2 e delle 4 ruote. Qui facciamo riferimento all’automobilismo, dai primi anni del dopoguerra terzo sport più seguito dagli italiani, dopo il ciclismo, superato dal calcio da metà degli anni ’50.
La già ricordata Mille Miglia di 1823 Km del 22 giugno 1947 partita da Brescia con 155 macchine è stata l’evento sportivo più complesso per difficoltà organizzative e più importante dell’immediato dopoguerra per partecipazione popolare diretta e per il riscontro mediatico nazionale e internazionale. Uno scontro titanico fra il 55enne Nuvolari sulla Ferrari N° 1049, Piero Taruffi su Cisitalia e Biondetti sulla seconda auto del Cavallino rampante. Nivola, bersagliato più volte dalla sfortuna sui tornanti dei passi appenninici, fu costretto infine al ritiro sotto il diluvio alle porte di Reggio Emilia lasciando al compagno di scuderia Biondetti l’ambito trofeo che però fece di tutto perché fosse dato comunque a Nuvolari. La Mille Miglia si chiude col sangue degli innocenti con l’edizione del 1957 (vinta da Piero Taruffi davanti a Volfgang von Trips entrambi sulle Ferrari 315 S 12 cilindri di 3783 cc. da 360 CV e 290 Kmh di velocità) dopo la tragedia di Guidizzolo dove la Ferrari di Alfonso De Portago e del copilota Edmund Nelson uscì di strada causando la loro morte e quella di nove spettatori fra cui cinque bambini. Finisce l’era delle grandi competizioni motoristiche su strada dove il motociclismo faceva da contraltare alla Mille Miglia con due corse-eventi: il Giro d’Italia (Motogiro) e la Milano Taranto nonché con il pullulare dei circuiti cittadini pieni di gente e di pathos.
Tazio Nuvolari al volante dell’Abarth 204A
L’unico autodromo italiano permanente, Monza, era stato distrutto dalla guerra. Dopo la Liberazione il rettilineo centrale viene utilizzato prima per una grande parata di mezzi corazzati USA sgretolando definitivamente l’asfalto poi adibito a deposito di automezzi militari e residui bellici. Dalla fine del ’47, in pochi mesi, l’impianto – emblema italico del rischio e della velocità - è rimesso in grado di ripartire. Il 17 ottobre 1948 Monza riapre ufficialmente con i bolidi di F1 per il Gran Premio dell’Autodromo vinto dal francese Jean Pierre Wimille sull’Alfa Romeo 158 (la monoposto di Enzo Ferrari col “cavallino rampante”) a oltre 185 Kmh. di media richiamando oltre 100 mila spettatori arrivati da mezza Europa e attraversando l’Italia con i pochi treni disponibili e con mezzi propri, poche auto e moto, camion, carretti trainati da cavalli e muli, anche a piedi, in comitive di ogni dialetto, età e ceto sociale ecc. Si corre, col pienone, anche a Torino al Circuito del Valentino. E con le moto a Faenza strapiena e di nuovo a Monza colma di gente, per il “tricolore” motociclistico il 24 ottobre ’48 con le 500 oltre i 177 Kmh di media. Tutti volevano tornare alla normalità, volevano dimenticare il passato, volevano sognare. E volevano vincere. Vincere, ognuno, la propria dura battaglia quotidiana dando un senso alla propria vita, per un Paese e una società migliori. Oggi, emulando star e influencer, la vittoria si monetizza, si traduce per lo più in un protagonismo fine a se stesso, per apparenza, con una battuta alla tv o in un selfie, per alimentare l’isteria collettiva dei fan e appagare i munifici sponsor, si vuol raggiungere comunque, ad ogni costo, anche in barba alle regole. Nuvolari correva per vincere, solo per vincere. Ancora oggi il mantovano volante, basso di statura con una gamba più corta dell’altra e con "lo sguardo che è di un falco per i figli" resta l’icona del trionfatore senza sorriso, del temerario che non molla, della “tartaruga” che, rivoltata a terra, sa rialzarsi, sempre, correndo più veloce di prima, più forte delle avversità. Oggi, nell’incertezza di un futuro assai indefinito e indefinibile, la vittoria di ognuno è il ritorno alla normalità. I prossimi tre Gran Premi di Formula 1 di Monza, Mugello, Imola, sono chiamati anche a questo compito, un messaggio che trascende le classifiche e va ben oltre gli autodromi e le corse.