Nei primi anni del nuovo millennio un gruppo di lavoro capitanato da Kazunori Yamauchi, fondatore di Polyphony Digital e vice-presidente Sony, e Darren Cox, manager di Nissan, si inventò una vera e propria rivoluzione nel motorsport, tra realtà virtuale e automobilismo sportivo. Oggi torna alla ribalta quella storia pionieristica sulla quale Sony ha prodotto un film hollywoodiano.
Nata nella seconda metà degli anni ‘90 e divenuta un cult, la serie Gran Turismo è stata protagonista dello sviluppo di una cultura e di un mondo automotive del tutto virtuale. In tempi di Barbie e Super Mario Bros, non stupisce che il mondo dei giochi trovi sempre più spazio al cinema, legati come sono all’immaginario collettivo, cultura pop Millennial invecchiata bene e, forse proprio per questo, tornata di moda. Ma la cosa più interessante del film è la storia vera che racconta, pur intitolandosi e basandosi su un videogioco, la storia in carne ed ossa di come Sony e Nissan abbiano tentato dieci anni fa una piccola rivoluzione democratica, fiutando le potenzialità dell’ibridazione tra mondo virtuale e mondo reale, tra gaming e realtà, che oggi si presenta sempre più prepotente.
“Gamer to racer.” La storia è quella della GT Academy, scuola di formazione per piloti professionisti nata nel 2008 a Silverstone, e della storia da ‘underdog’ di Jann Mardenborough, il ragazzo inglese che vinse l’edizione 2011.
Nelle intenzioni di Kazunori Yamauchi e Darren Cox, all’epoca direttore marketing di Nissan Europe, la GT Academy aveva un obiettivo assurdo quanto ambizioso: selezionare i più forti "giocatori" di auto da corsa per Playstation per poi formarli in tutto e per tutto in un'accademia per piloti - dal sapore militaresco quasi antico - a Silverstone, per eleggere il migliore e portarlo a competere nelle piste di tutto il mondo da professionista. Chiunque da casa con una console, un televisore e una connessione internet avrebbe potuto partecipare. Un progetto che aprì le porte, anzi sfondò barriere all’ingresso di un mondo estremamente elitario e economicamente inaccessibile per tantissimi talenti. Un modo, l’unico, per democratizzare il motorsport. Ma anche uno dei primi tentativi di usare il mondo virtuale per creare più accessibilità al mondo reale, utilizzando il proprio avatar da pilota per diventarlo nella realtà.
Originariamente concepito come un evento europeo unico nel 2008, il successo del format ha spinto Nissan e Sony a riprovarci nel 2010, questa volta aggiungendo una serie con sede negli Stati Uniti, per poi espandersi nei dieci anni successivi nelle regioni Medio Oriente/Africa e Asia, con serie nazionali dedicate in Germania e Russia.
Darren Cox, finita l’esperienza con Nissan, riprese l’esperimento addirittura con McLaren lanciando World’s Fastest Gamer e anche Ferrari fece la propria accademia virtuale in casa nel 2011 chiamandola Virtual Academy.
Dal divano di casa al sedile di un’auto da corsa, la filosofia dell’accademia ispirò pure il primo campionato certificato FIA - Federazione Internazionale dell’Automobile - per simulatori, sempre sul format Gran Turismo. L'Academy è ancora oggi un riferimento ante litteram del rapporto digitale-realtà e dimostra come il metaverso possa essere uno strumento, una porta d’accesso al mondo reale per capacità e merito individuali, altrimenti difficilmente esprimibili. Un progetto che - visto a 15 anni di distanza - racconta anche in che modo il mondo digitale si stia evolvendo e quali siano le vie intraprese dallo sviluppo tecnologico della realtà virtuale rispetto a quelle abbandonate. Oggi siamo già in un’epoca successiva, forse, in cui abbiamo la realtà virtuale non più concepita come una porta d’accesso al mondo reale, ma una realtà tout court.
Kazunori Yamauchi ha recentemente tenuto un discorso in occasione della presentazione della mostra "Concevoir les 100 prochaines années du sport automobile" alla Maison de la culture du Japon di Parigi. La mostra, iniziata il 4 luglio, permette ai visitatori di interagire con la storia e la cultura degli sport automobilistici dalle sue origini in Francia alla nuova generazione di sport motoristici e il discorso traccia una linea sempre più sottile tra gare reali e virtuali.
“I videogiochi sono uno strumento che ci permette di entrare in contatto con altri universi. È come quando si legge un libro appassionante, ma lo stesso effetto si può provare quando si ascolta della musica oppure si guarda un film. Allo stesso modo, attraverso i videogiochi si può entrare in contatto con degli universi paralleli, ma soprattutto si può vivere questa esperienza in modo più coinvolgente e personale. I videogiochi hanno questa forza.”