I corpi diventano ologrammi, i robot diventano reali

23 febbraio 2022

Di Elisa Albanesi

Viktor Taransky è un regista in crisi in cerca di una musa che possa risollevare la sua carriera. Conosce Hank Aleno, un informatico con genio che ha inventato un software con il quale Viktor riesce finalmente a creare l’attrice perfetta. Simone è talentuosa, affascinante e misteriosa, piange quando si deve piangere, sorride quando si deve sorridere, ed è l’esatto opposto della “her” di Spike Jonze. La prima, infatti, è un’entità visiva che ha bisogno del suo creatore per poter interagire, e forse proprio per questa coincidenza d’identità, questa natura da avatar assunta dall’IA, alla fine il creatore, sopraffatto dalla fama della sua creatura (che tutti credono una persona reale), si ritrova a sabotarla e a distruggerla; il sistema operativo OS1 di cui si innamora il protagonista di Her Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix, invece, è in grado di evolversi in autonomia e attraverso l’interazione; forse anche perché libero da qualsiasi immagine e sembianza: non ha infatti nessun volto o corpo, solo la voce, bellissima, di Scarlett Johansson. 

L'attore Joaquin Phoenix in una scena di "Her"

Ma chi è Simone? L’aspetto di Simone è costruito da Viktor (Al Pacino) attraverso caratteristiche fisiche ed espressive di altre attrici o elementi pre-impostati dal software. Essendo un’intelligenza artificiale, in termini umani – ed economici – è evidentemente meno impegnativa di un attore reale. Il film, S1m0ne appunto, è del 2002, venti anni fa, un tempo in cui la possibilità di costruire un personaggio tanto verosimile con la CGI (Computer Generated Imagery), uno in grado di reggere un intero film, e persino la realtà, sembrava ancora lontana. C’erano stati ovviamente già molteplici casi di applicazione, per lo più in film blockbuster o di fantascienza, come Il mondo dei Robot (1973) o Jurassic Park, ma niente che si avvicini alle tendenze più recenti che vedono la CGI utilizzata per ringiovanire o, addirittura, per far resuscitare – con problemi etici notevoli – attori defunti. 
L’ultimo caso è quello apparso in una puntata di The Book of Boba Fett, serie appartenente all’universo di Star Wars, prodotta dalla Disney e conclusasi qualche giorno fa. Nell’episodio 6 appare nuovamente un giovane Luke Skywalker, questa volta nettamente più convincente rispetto alla precedente apparizione di un anno fa nella serie The Mandalorian, dove Mark Hamill era stato totalmente trasfigurato e ringiovanito in maniera goffa e artificiosa. Effetto che aveva destato enormi critiche, e milioni di visualizzazioni per un video in cui uno YouTuber, Shamook, realizzava, con mezzi evidentemente più modesti, un deepfake dell’attore decisamente più persuasivo. Al punto da farlo assumere dalla Lucasfilm. 


Il risultato visivo del nuovo Luke Skywalker ha impressionato così tanto il pubblico che l’ipotesi di una sostituzione con un attore “reale”, come Sebastian Stan, è stata praticamente accantonata. «Più giovane del giovane Mark Hamill», addirittura, nella recitazione, migliore dell’originale, o ancora: «the CGI Luke Skywalker #deepfake in @bobafett was pretty impressive. But what could it mean for future movies? No more human actors?» si legge su Twitter. E in effetti, forse il dato più impressionante è che nella costruzione del nuovo Skywalker non è servita la presenza di Mark Hamill, che aveva invece collaborato nella precedente messa in scena del personaggio ringiovanito. Il risultato finale è infatti la combinazione della computer grafica e di un sosia, mentre la voce è il prodotto di un software di intelligenza artificiale, Respeecher, che rielabora – o sarebbe più corretto dire, clona – attraverso un sintetizzatore le registrazioni vocali di Mark Hamill. Nel luglio scorso, un sistema simile era stato utilizzato in un documentario dedicato ad Anthony Bourdain, Roadrunner, dove al defunto chef vengono fatte dire frasi da lui mai pronunciate ma rielaborate e costruite da un’IA. Ancora, Kanye West che regala a Kim Kardashian per il suo compleanno un ologramma del padre defunto, «a special surprise from heaven» si legge sul profilo di lei, dove anche qui viene realizzata una rielaborazione vocale di registrazioni di Robert Kardashian (una scena, per altro, che ricorda proprio un frangente di S1m0ne, così come il noto caso dell’esibizione dell’ologramma del defunto rapper Tupac Shakur, insieme a Snoop Dogg). 


Luke è quindi una sorta di fantasma elettronico di Hamill (un’immagine che ricorda curiosamente proprio il concetto di “fantasma della forza” della saga), che ormai viene praticamente escluso dalla ricostruzione virtuale di sé stesso. Caso ben diverso fu quello di Peter Cushing, l’attore che nella prima trilogia aveva interpretato il Grand Moff Tarkin, deceduto nel 1994, ma che ha all’attivo nella sua filmografica una pellicola del 2016, Rogue One: A Star Wars Story. Il caso sollevò non poche polemiche, in quanto evidentemente Cushing non aveva avuto voce in capitolo sulla questione nonostante a giustificare la “resurrezione digitale” venisse usata una sua vecchia dichiarazione, in cui aveva espresso il desiderio di reinterpretare quel ruolo. Ancora diverso il caso di The Irishman di Martin Scorsese dove proprio Al Pacino viene ringiovanito digitalmente insieme a Robert De Niro che, entusiasta, pare abbia ringraziato il responsabile della tecnologia, dichiarando: «mi hai appena dato altri trent’anni di carriera».

Mentre i corpi diventano immateriali, al punto da ritenere plausibile l’istituzione futura di archivi di espressioni e movenze degli attori da riutilizzare una volta deceduti, i robot diventano reali: sempre in The Book of Boba Fett, in una breve sequenza, è possibile intravedere a passeggio per le strade di Tatooine, Spot, il cane-robot della Boston Dynamics realmente esistente. Ed è così che il set si è trasformato in una casa di fantasmi, dove reali sono le macchine e gli umani ridotti a trucchi elettronici.