L’Intelligenza Artificiale bussa alle porte del pensiero

05 settembre 2023

Di Ginevra Leganza

Fra prompt engineering e atenei che guardano alla filosofia dell’IA, la tecnologia bussa oggi alle porte del pensiero. E lo fa in virtù del suo essere disruptive – dirompente, sconvolgente, capace di segnare un “prima” e un “dopo”. In questo senso sistemi come ChatGPT incarnano appieno il senso del disruptive, tracciando un solco nel campo dell’innovazione tecnologica. 
Ma ChatGPT è pure il frutto di un miglioramento continuo che chiama in causa anzitutto l’umano. E quello che ci sembra un sistema onnisciente è invero un sistema complesso. 

“L’Intelligenza artificiale è un lavoro da filosofi”, scrive Marco Consoli sul Venerdì di Repubblica. E se da secoli ci si domanda se il filosofo debba interpretare ovvero modificare la realtà, ecco che oggi, con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, quasi ne veniamo a capo. Giacché è tempo di costruirlo, il mondo, e non più di interpretarlo o cambiarlo. 


Ma facciamo un passo indietro. ChatGPT scrive – o meglio, chatta – come noi. Creando la stessa magica illusione di un pappagallo che risponda alle nostre sollecitazioni (gli esperti definiscono la Chat “complesso di pappagalli stocastici”). In buona sostanza, la Chat non ragiona. È piuttosto un modello basato sull’apprendimento automatico sviluppato da OpenAI, dove GPT sta per Generative Pre-trained Transformer. È una chat perfettibile, potremmo dire, che si tempra e migliora nella prestazione grazie a un allenamento continuo sinora condotto da operatori di stati anglofoni africani – come riporta il Corriere della Sera – sottopagati e incaricati di trasferire le proprie conoscenze al sistema interagendo con esso e aumentando la mole di conoscenze della Chat. Chat che risponderà ai nostri dubbi esistenziali sulla base di un veloce e quanto più possibile accurato calcolo statistico delle conoscenze acquisite. 

Ed è già evidente, a giudicare dal retroscena di un sì potente sistema, quanto l’umano sia da sempre cruciale e quanto la Chat non sia un Jinn venuto fuori dal computer come da una lampada stregata. 
Nondimeno la potenza dell’IA incute timore, ravviva l’incubo di “macchine al potere e uomini a pane e acqua”. Apre un vaso di speranze ammantate di paure, relative soprattutto alla morte di alcuni mestieri: quelli intellettuali, in primis. Basti pensare che l’avamposto della paura è nientemeno che il New York Times, in procinto di muovere un’azione legale contro il chatbot affinché non alimenti il suo software addestrandosi sugli articoli del più importante giornale del mondo occidentale. 


In controluce, però, s’intende che c’è bisogno dell’intelletto per perfezionare questo sistema. Ed ecco che quella che corrivamente chiamiamo “artificiale” altro non è che un’intelligenza spiccatamente umana.
La Chat, ricalcando il linguaggio (ma senza raziocinio), incorre spesso nelle cosiddette Fallen der Sprache: nelle trappole del linguaggio che già Wittgenstein imputava all’umano. E che, in un sistema informatico-statistico, sono vieppiù frequenti. Un sistema che dà risposte sulla base del mero calcolo statistico ha infatti bisogno dell’uomo come fonte primaria. Non a caso, più delle risposte occorre saper porre domande
Anziché sollecitare il sistema a bruciapelo, l’utente accorto dirà: “Scrivi un articolo e fingi di essere un giornalista”. A riprova del fatto che non v’è macchina – e non v’è potenza tecnologica – al di fuori del rapporto con l’uomo. Uomo che saprà come porsi rispetto al sistema: con la domanda giusta, precisa, da maieuta e chirurgo del linguaggio, ben sapendo cosa chiedere per ottenere la risposta adeguata.


In altre parole, è il momento della “Pia Philosophia”: di quella filosofia che è regina e che finalmente scende dal suo trono.
Personal trainer della Chat, esperti di AI, facoltà universitarie che mescolino informatica e filosofia, studi finalizzati ad addestrare la chat su modelli di business specifici: sono oggi alla base dei mestieri che guardino all’avvenire. 
Oltre ogni luddismo e spauracchio, vecchi mestieri scompaiono, e ne affiorano di nuovi. 
Ed è questo il momento del mondo nuovo, non tanto da interpretare o cambiare ma, appunto, da costruire.