Il cervello non è un computer, ma un computer può diventare un cervello

03 gennaio 2022
Riflessioni su l’incarnazione dell’Intelligenza Artificiale Generale (AGI)

Di Francesco Subiaco

La coscienza è una proprietà fisica. Non esistono pensieri puri, categorie prestabilite, idee innate. Essa è un processo e il corpo è il mezzo che permette a questo percorso di iniziare. Perché se può esserci il sentire senza il pensare, il pensare senza il sentire non può esistere. Lo sottolinea bene George Lakoff, linguista americano che nei suoi studi affronta i maggiori temi (dall’informazione all’AI), quando parlando della “cognizione incorporata” spiega che le nostre strutture concettuali sono plasmate dalla strutture corporee-percettive. Rigettando ogni possibilità di sviluppo di una intelligenza artificiale forte, capace quindi di formulare pensieri intelligenti e non solo svolgere azioni o algoritmi, al di fuori dallo sviluppo della cognizione incorporata. Ovvero la relazione causale tra percezione e pensiero, tra corpo e mente, tra un dolore fisico e la cognizione del dolore. La coscienza per Lakoff non può essere separata dalle strutture sensoriali e fisiologiche del corpo che la ospitano, poiché non può esserci un pensiero che sia privo da degli attributi qualitativi-sensibili (o qualia) e che sia riducibile a strutture computazionali, ovvero basate su logiche informatico-matematiche. Dando credito al pascaliano ragionamento per cui “il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce”. Ragioni che mettono in dubbio le radiose prospettive sullo studio dell’intelligenza artificiale, ancora ancorate ad una visione dualistica tra coscienza e corpo fisico. Un problema che è stato dibattuto sin dagli albori della nascita della filosofia. Da Pitagora a Cartesio, passando per Platone e Agostino, il corpo è stato considerato come la tomba della coscienza e dell’anima, una res extensa, un corpo fisico in cui era imprigionata una res cogitans, una forza pensante.

George Lakoff

Stabilendo un dualismo che secolarizzandosi (e quindi banalizzandosi) ha creato l’idea di un corpo come hardware e della coscienza come software dell’uomo. Una visione a cui da Aristotele a Searle, si è opposta la concezione della coscienza e della corporeità come di entità che si completano in un sinolo inscindibile come “la cera con l’impronta”. Infatti, parafrasando San Tommaso d’Aquino, il corpo realizza e completa la coscienza. Una coscienza che si forma con la fusione del pensare col sentire. Permettendo la creazione e la continua evoluzione del processo cognitivo, che si fa autonomo, libero, spontaneo. Un pensiero che è azione e non simulazione, attuale e non virtuale. Non è possibile pensiero senza delle proprietà fisiche, senza degli attributi qualitativi che non possono essere attinti da database, ma devono essere elaborati e integrati da un corpo fisico. Da qui l’impossibilità dello sviluppo dell’intelligenza artificiale generale (AGI) aldilà di un corpo fisico, sensibile e senziente. Che possa captare stimoli sensoriali ed adattarli ad un contesto fisico. Tale teoria è detta embodiment ed è considerata l’unica strada possibile per raggiungere una AI che non guardi solo alla sintassi (ciò che fa e dice), ma alla semantica (sapere e capire ciò che fa e che dice). Un passaggio possibile abbandonando un’idea di cervello come calcolatore, basato su mere logiche matematiche, iniziando ad applicare gli studi fatti sulla coscienza e la sua relazione con la corporeità, alla robotica e all’informatica. Smettendo di concepire la mente come un computer, ma iniziando a costruire computer che diventino una mente.