Il clima cambia il futuro?

di Ginevra Leganza

17 novembre 2022

Di cosa parliamo quando parliamo di eco-ansia

L’eccesso di informazioni e notizie non produce sempre e solo consapevolezza. Sapere è soffrire, recita un antico verso greco. Ed è esattamente da un eccesso di letture sullo stato del pianeta Terra che sembra promanare l’ansia climatica. Nel 2020 la psicoanalista britannico-australiana Anouchka Grose firmava una guida al disturbo raccontando le storie di pazienti insonni al pensiero di barriere coralline o incendi boschivi.

Il fenomeno dell’eco-ansia – riguardante soprattutto i nati fra il 1995 e il 2010 – assume proporzioni sempre più significative se anche l’APA (American Psychological Association) lo definisce un disturbo psico-fisico consistente nella “paura del disastro”. La Generazione Z – e dunque i ragazzi di oggi e adulti di domani – tende a essere più esposta, secondo diversi report, a un sentimento che va sotto il nome di solastalgia. Questo termine, coniato nel 2003 dal filosofo Glenn Albrecht, professore di Sostenibilità alla Murdoch University (Australia occidentale), indica lo spaesamento, la nostalgia e finanche la difficoltà nel riconoscere il proprio territorio e la propria casa per via dell’impatto del cambiamento climatico sull’ambiente.

In linea più generale, i sintomi del disagio riguardano stress e ansia generalizzata, cattivo umore, terrore, rabbia, impotenza, insonnia, persino attacchi di panico. Fatalismo e paura possono portare, nei casi più estremi, a depressione, aumento del rischio suicidario e consumo di sostanze. Sempre Albrecht definisce l’eco-ansia come “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare” (G. Albrecht, Chronic environmental change: Emerging “psychoterratic” syndromes in Climate change and human well-being, Springer, New York, 2011, pp. 43-56).


I giovani eco-ansiosi nel mondo e in Italia

Uno studio condotto nel 2021 in dieci Stati e pubblicato su The Lancet analizza le risposte di diecimila giovani compresi fra i 16 e i 25 anni. La maggior parte dei ragazzi intervistati considerano il futuro “spaventoso”. Più della metà dichiara tristezza, rabbia, impotenza nel confrontarsi con la situazione climatica, ritenuta ormai drammatica e irreversibile. In Italia l’istituto di ricerca Swg, già nel 2019, rilevava come il clima fosse in capo agli incubi degli italiani (al primo posto per il 51% degli 800 soggetti intervistati; di questa piena metà, ben il 64% appartenente alla Generazione Z).

A fronte di questi dati allarmanti, occorre ragionare sulle possibili cause. Perché non sono unicamente le informazioni e le ricerche sullo stato del Pianeta a esacerbare l’emotività dei più giovani… Se si considerano tutti i prodotti documentaristici e dunque – in una certa parte – anche artistici, coniugati alla debolezza dei filtri interpretativi dei giovanissimi, non sorprende che un tema del genere possa poi generare ansia e senso di annientamento anziché proattività e determinazione. Basti pensare a serie di successo come Our Planet, il documentario targato Netflix, dove protagonisti sono animali agonizzanti: orsi bianchi soffocati dall’afa o trichechi cascanti dai promontori. Un prodotto, questo, fruito da giovanissimi che vedono sempre meno felini arrembanti nella savana e sempre più bestie morenti.

È evidente che gli studi scientifici non possano concentrarsi esclusivamente sull’analisi del fenomeno, ma debbano approntare anche delle soluzioni. Gli psicoanalisti consigliano di rivalutare il rapporto con la natura, anche attraverso pratiche attive come il Forest bathing, ossia l’immersione in ambienti verdi, boschi, prati. Ma la misura di questo fenomeno, oggi, dice più di qualcosa sugli adulti di domani…


Ragazzi del futuro

Nel mondo del lavoro sempre più millennials – già nel presente – imputano alle aziende il greenwashing, rinunciando talvolta a posizioni lavorative non in linea con una politica ecosostenibile concreta e che non sia di facciata. Eppure l’attenzione all’ambiente investirà aspetti anche più strettamente esistenziali della vita futura. Secondo Forbes, ci saranno 5 tipi di “ragazzi del futuro”. Fra questi – accanto al ragazzo digitale, ragazzo Maverick e Baby designer – ci sono il solar-punker e l’esistenzialista. Ed è curioso soffermarsi su questi due protagonisti del tempo futuro, due personaggi quasi agli antipodi. Il primo ha un approccio fantasioso alla sostenibilità, è attentissimo all’economia circolare ma porta con sé una gioia intrinseca e sogna di vivere in città smart e verdissime (quasi sul modello del “Bosco verticale” di Boeri Studio); il secondo vive ogni giorno come se fosse il penultimo, angosciato dalla catastrofe imminente, sia essa un’esplosione nucleare o un disastro climatico. Il ragazzo esistenzialista conosce l’ansia – e l’eco-ansia, va da sé. Condivide coi genitori le preoccupazioni che il cosiddetto “antropocene” ha sollecitato nella popolazione.

Oggi non sappiamo se le previsioni di Forbes sui ragazzi del futuro si avvereranno. Ma certo, guardano alle preoccupazioni dei giovani, hanno ragion d’essere e confermano che l’ansia climatica è un problema diffuso.