Il miracolo della bellezza. 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio

Quanta bellezza da condividere insieme rischiamo di perdere e per quanto tempo?

Di Oriano Giovanelli

07 aprile 2020

Sono 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio. Io sono nato e cresciuto a Urbino e ai piedi del monumento a lui dedicato sulla sommità del Monte ho atteso con i miei compagni di scuola per anni il suono della prima campanella. Oggi di rientro a Roma sarei certamente passato in Piazza della Rotonda con al centro la Fontana fatta sistemare da un altro grande urbinate Papa Clemente XI, grande amante delle scienze, e poi sarei entrato al Pantheon dove Raffaello riposa e avrei letto per la milionesima volta l'epitaffio dettato a Pietro Bembo: "Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori". Uomo e natura, scienza cultura e umanità.

Autoritratto, Raffaello Sanzio (1504 - 1506). Galleria degli Uffizi, Firenze

Se non avessi fatto ciò che ho fatto forse avrei fatto il musicista. Non è che sia stato mai particolarmente dotato, a me non è mai riuscito niente facile, però se mi applico imparo, perché la musica nel sangue e nella testa ce l'ho e ce l'ho sempre avuta. Ho letto che il Festival di Bayreuth è stato annullato, di Salisburgo e Pesaro per dire solo dei tre più grandi Festival europei dedicati ad un unico artista (Wagner, Mozart e Rossini) ancora non si sa nulla ma temo che non ci siano molte speranze. Quest'anno cadono i 250 anni dalla nascita di Ludwig van Beethoven chissà che programmi avranno preparato a Vienna e in tutto il mondo. Che fine faranno? Quanta bellezza da condividere insieme rischiamo di perdere e per quanto tempo?

Che fruizione avremo della più grande mostra mai organizzata dedicata al più grande fra i pittori che per voglia di vivere e per ideologica visione unitaria della bellezza spaziò fra amore, amicizia, archeologia, architettura, primo programma di governo dei beni culturali e ancora buon gusto e maniere gentili. E nei musei? Forse scaglioneranno gli ingressi per mantenere le necessarie distanze, ci daranno una mascherina perché, con ritardo, ma ce ne saranno in abbondanza. E il cinema? una poltrona si e una no, anche lì mascherine, niente sussurri sull'orecchio a commentare il film con la compagna o solo per dirle una cosa dolce e stringerle la mano in un momento di tenerezza. E come facciamo ad assistere ad un concerto rock, pop, mantenere le distanze e ballare al ritmo dell'ennesimo bis, non ha proprio senso.

Come dimenticare la prosa che tanto pubblico aveva ripreso a richiamare negli ultimi anni nei nostri splendidi e unici teatri italiani. Come faranno gli attori che recitando spallinano alla grande, e chissà se un pubblico dimezzato sarà sufficiente a tenere in vita economicamente le tournée. Attori, musicisti, scenografi, costumisti, registi, tecnici, operai, artigiani, facchini, camionisti la si metta come si vuole ma è tutta la macchina della bellezza che rischiamo di veder piegata e ridimensionata. Le compagnie avranno gli ammortizzatori sociali, così le orchestre stabili e i loro cori. I teatri pubblici accumuleranno un po' di debito ma sopravviveranno, i festival si prederanno un anno sabbatico perché meglio non aprire con quei costi fissi che si devono fronteggiare.

Ciò che è stato preparato per i 500 anni dalla morte di Raffaello e per Beethoven lo faremo l'anno prossimo se ci si riesce. Sempre che sia vero ciò che si dice che fra un anno avremo il vaccino, bisognerà resistere e nel frattempo affidarci ai video scaricabili sui nostri portatili ne girano di molto belli. Ma la paura sarà passata in un anno? Non è che forse dovranno spingerci non più a stare in casa ma piuttosto ad uscire? Vi ci vedete in una calca di persone sotto un palco o all'uscita dal teatro? E poi ci sono i piccoli teatri, i pub dove si fa musica dal vivo per poche persone ma tanti da far esprimere un sacco di bravi artisti e far passare serate utili ai giovani e a tener vivi i quartieri delle città; le piccole compagnie quelle di ricerca e sperimentazione in particolare. Come si fa a salvare questi luoghi. Non ditemi che la tecnologia supplirà perché è una balla. Fa ribrezzo solo a pensarci. Poi ci sono loro, i fenomeni quelli a cui penso con particolare affetto, la ragazza che canta da soprano in Piazza della Maddalena, il chitarrista con il coniglio bianco sulle spalle che ogni tanto gli da un bacetto sulla guancia, il chitarrista virtuoso che fa i Pink Floyd in piazza della Rotonda che si chiama Serin viene dalla Croazia, poi c'è Ricky Mastantuomo, entrambi a loro modo piccole star su youtube, come famoso è il violoncellista Cavaggion che si sposta con violoncello amplificatore e ombrellone tra il Pantheon e Piazza della Minerva, sempre lì il duo chitarra lui e flauto lei.

Performance Fabio Cavaggion - live dal Pantheon a Roma

Ce ne sono tanti di valore, un chitarrista acustico che si mette sempre insieme ad altri e si vede che ha una preparazione notevole oltre che essere una specie di tarantolato tanto che non sta mai fermo, l'anziano che suona il cimbalon e altri artisti a modo loro come la ragazza con le mani d'oro che con la sabbia modella una cagna e i suoi cuccioli in modo impareggiabile e l'anziana coppia violino e fisarmonica all'angolo con Largo Argentina. E' la strada che i miei piedi percorrono a memoria ogni giorno mentre io cerco con gli occhi e con le orecchie questi artisti di strada, anche loro fanno parte della grande bellezza anche loro se non sei d'umore giusto ti girano la giornata con un sorriso o con la musica azzeccata. Gente per strada zero, monetine zero, bellezza senza umanità, come sbarcheranno il lunario. La bellezza delle città vuote che ci fanno vedere in questi giorni con immagini riprese anche dai droni li per li mi colpisce ma dopo poco mi infastidisce.

La Città ideale è un dipinto tempera su tavola di autore sconosciuto, databile tra il 1470 e il 1490 e conservato nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino

Mi ricordano tanto "la città ideale" tanto osannata, di autore controverso, forse Francesco Di Giorgio Martini, conservata alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino (ne esistono altre due conservate a Baltimora e Berlino), perfetta ma così vuota di umanità che, una sera a cena con Philippe Daverio in vena di dissacrazione la definii uno studio scolastico senza anima. lo dissi con tanta determinazione che Daverio non replicò anche se certo avrà pensato questo è matto. Volevo affermare un credo: la grande bellezza pretende la nostra umanità altrimenti semplicemente non esiste, la grande bellezza pretende che nella città ideale si possa incontrare il magnetismo degli occhi della Muta o la sensualità felice e incredula della Fornarina assieme alle opere dei madonnari e alla musica dei fenomeni per strada, altro non mi interessa.