10 maggio 2021
Giovanni Grasso ha appena ricevuto il premio Guido Carli, anche se quella malalingua di Leo Longanesi sosteneva che le medaglie bisogna non meritarsele. E proprio lo stesso giorno in cui il consigliere per la stampa e la comunicazione del Presidente della Repubblica ha tenuto alla Luiss una lezione nel corso della quale ci ha raccontato come, lassù sul Colle, sbarca il lunario da oltre sei anni. E cose da dire ne ha avute davvero molte, e di estremo interesse. Ora, non c’è dubbio che i social hanno modificato il modo di comunicare. Per dirla con Giovanni Sartori, il protagonista dei giorni nostri è l’homo videns. E a lui occorre adeguarsi.
Per dirne una, i testi, le parole, hanno certo la loro brava importanza. Ma ormai hanno ceduto la scena alle immagini. E le immagini hanno una forza evocativa straordinaria. Lo sa bene Sergio Mattarella, che pure non è un fine dicitore e non ama gli effetti speciali. Ed ecco l’immagine del Capo dello Stato che per la Festa della Repubblica si reca il 2 giugno a rendere omaggio in solitudine all’Altare della Patria. Il rappresentante dell’unità nazionale in quei minuti di raccoglimento avrà ripensato con intelletto d’amore alle tante pagine della nostra storia contrassegnate ora dalla buona e ora dalla cattiva sorte.
Una seconda immagine che ha lasciato il segno è quella del Presidente che, fianco a fianco del suo omologo sloveno, è sull’attenti davanti alla foiba di Basovizza. Dove furono gettati dai titini italiani colpevoli di null’altro che di essere per l’appunto italiani. Una pulizia etnica vera e propria sulla quale per troppo tempo è sceso l’oblio. Un ripudio di tutti gli orrori perpetrati dalle dittature, di qualsiasi colore si ammantassero. E infine quella foto all’ospedale Spallanzani di Roma, fatta da Grasso artigianalmente con il telefonino, che ritrae Mattarella in attesa di ricevere la dose di vaccino insieme con un certo numero di coetanei. Un doppio messaggio. Prima di tutto, l’esempio. Vaccinarsi è non solo un diritto ma anche un dovere: a tutela della propria e dell’altrui incolumità. Secondo: il Presidente, come noi tutti, attende il proprio turno per essere vaccinato.
E siccome non c’è due senza tre, ecco illustrato nei minimi dettagli il fuorionda che ha avuto un enorme successo. Ricordate? “Giovanni – dice Mattarella rivolto al consigliere Grasso – anch’io non posso andare dal barbiere”. Uno sfogo che, grazie ai social, ha fatto il giro d’Italia. Sembrerebbe un’astuta mossa studiata a tavolino per sottolineare che l’inquilino del Quirinale ha lo stesso problema di tutti noi, tormentati da riccioli ribelli come i parrucconi del tempo che fu. E invece no, giura Grasso. Si è trattato di un errore del quale si assume tutta la responsabilità. Anziché in segno di contrizione battere il pugno sul petto altrui, come di solito si comportano gl’italiani a detta di Giulio Andreotti, Grasso recita il mea culpa. La verità è che Mattarella, contrariamente al suo solito, ha registrato due volte un messaggio perché la prima registrazione non lo soddisfaceva. Invece di inviare ai media la registrazione “buona”, per sbaglio Grasso ha inviato quella con la “coda” del barbiere.
A questo punto Grasso ha tenuto a mettere i puntini sulle i. Sì, è vero, ci sono presidenti della Repubblica fuori dai confini nazionali che a volte sono eterodiretti dal guru di turno, che suggerisce in diretta grazie all’auricolare da che parte devono girarsi e la parola ad effetto che devono pronunciare. Mattarella ha semplicemente orrore di questi mezzucci mediatici. Certo, ascolta i suoi consiglieri. Ma poi fa immancabilmente di testa sua. Se deve sbagliare, lo fa in proprio. Grasso poi nega che il Presidente a volte sia silente. Quello che ha da dire lo dice a tempo debito, senza farsi tirare per la giacchetta.
Niente a che vedere, quindi, con i silenzi di Francesco Cossiga nei primi cinque anni al Quirinale. La fase del sardomuto, secondo il gioco di parole di Giancarlo Perna, alla quale seguirà il biennio picconatorio. Fatto sta che verso la scadenza del settennato un po’ tutti gli uomini del Colle tendono a dilatare le proprie prerogative. E sui silenzi di Cossiga resta memorabile una battuta di Indro Montanelli: “Se deve restarsene muto come un pesce per l’intero settennato, a Cossiga il Quirinale starebbe largo: gli basterebbero due camere e cucina”. E tanto poco se ne dolse, il Presidente, che avrebbe voluto nominarlo senatore a vita. Ottenendo come Celestino V un gran rifiuto perché intendeva rimanere fino all’ultimo soltanto un giornalista.
Dulcis in fundo, Grasso ha detto quasi senza parere che Mattarella non ha inteso mai superare il perimetro dei suoi poteri. Può darsi che si riferisse agli scontri interni alla magistratura sui quali quattro procure hanno aperto un’inchiesta. Perciò, echeggiando gli umori del Colle, Lina Palmerini sul Sole-24 Ore ha osservato che “qualsiasi interferenza sarebbe indebita e illegittima”. Questione opinabile, però. Tant’è che Rino Formica su Domani ha obiettato che è “come dire: vogliamo sapere che malattia ha il nostro corpo sociale e politico e si risponde che se ne sta occupando il malato”.
Se non intende superare le colonne d’Ercole delle sue prerogative, Mattarella però – come Luigi Einaudi disse a suo tempo – vuole trasmettere ai successori i poteri che la Costituzione assegna alla massima autorità dello Stato. Ecco che ha detto di no a Paolo Savona per un incarico ministeriale che ci avrebbe messo in cattiva luce in Europa. Ma nulla di personale, visto e considerato che nel Conte I Savona è stato ministro, ma non in quel determinato dicastero. Ecco che ha affidato a Mario Draghi la presidenza del Consiglio come Einaudi aveva fatto con Giuseppe Pella. Interventista, Mattarella? A volte sì, se proprio è necessario. Ma, si direbbe, suo malgrado.