Indro visto da vicino

Di Paolo Armaroli

22 aprile 2021

29 marzo 1987, cambio della guardia alla direzione del quotidiano Il Tempo: Gaspare Barbiellini Amidei sostituisce Gianni Letta, che diventerà braccio ambidestro di Silvio Berlusconi. Nel Belpaese c’è sempre una crisi di governo imminente o in corso. E i costituzionalisti, buon per loro, non sono mai disoccupati. Una crisi al rallentatore quella originata dalle dimissioni del secondo ministero Craxi. Il sesto gabinetto Fanfani non ottiene la fiducia a Montecitorio e si va alle elezioni anticipate. Il neo direttore mi chiede tre articoli nel giro di una decina di giorni. Ma io penso ad altro. Incrocio nel Transatlantico Giancarlo Perna e gli domando: “Come si fa a entrare in un grande giornale?”. Mi sorride e se ne va senza spiccicare parola. Il giorno dopo mi dice che Montanelli mi aspetta alla redazione di Piazza di Pietra il 23 aprile alle 15.

Mentre salgo le scale incrocio Egidio Sterpa che mi tranquillizza: “Vedrai, andrà tutto bene”. Anche grazie, come ho poi saputo, ai buoni uffici di Guido Paglia. E finalmente incontro il Mito. Mi guarda con quegli occhi azzurri indagatori e mi fa: “Voi costituzionalisti siete una massa d’imbroglioni, te lo dice uno che ha due lauree: una in Giurisprudenza e l’altra in Scienze politiche. Ma tu almeno ti fai capire”. Con queste parole sono arruolato nella sua ciurma, l’argenteria buona sottratta al Corriere della Sera. E mi rendo conto che Montanelli sui costituzionalisti ha la stessa opinione di Vittorio Emanuele III.

Nella Storia di un anno Mussolini ricorda di aver portato al Re la memoria di Santi Romano nella quale dimostrava che il Parlamento insignendo il Duce del grado militare di Primo Maresciallo dell’Impero, di tale grado doveva essere insignito il Re nella sua qualità di Capo supremo della detta gerarchia. Al che il vecchio sovrano replicò in questi termini: “I professori di diritto costituzionale, specialmente quando sono dei pusillanimi opportunisti, come il prof. Santi Romano, trovano sempre argomenti per giustificare le tesi più assurde: è il loro mestiere”.

Poi Montanelli aggiunge: “Ti aspetto in redazione fin da domani. E non appena tornerò a Milano, tu potrai scrivere nel mio studio e con la mia macchina per scrivere”. Non appena mi presento il giorno dopo, il direttore mi mette in mano un suo articolo e mi dice: “Uscirà domani”. Titolo: “I silenzi di Mosè”. Rimproverava il suo amico Spadolini perché durante il congresso repubblicano non aveva menzionato le riforme istituzionali. Con un filo di voce dico: “Però Giovannone tra il primo e il suo secondo ministero lanciò il decalogo istituzionale”. Fidandosi una volta tanto di un costituzionalista, proprio questo aggiunge all’articolo. Un incastro provvidenziale. Perché Spadolini gli telefonerà per congratularsi e soprattutto per esprimergli gratitudine per essersi ricordato del suo decalogo istituzionale.

Nei giorni successivi, il 27 e 29 aprile, escono i miei primi due articoli di fondo. Dopo di che parto per Milano per la firma del contratto. La porta del suo studio nella sede del Giornale di via Gaetano Negri è aperta e non credo ai miei occhi. Montanelli sta scrivendo a macchina o un fondo o uno dei suoi micidiali Controcorrente. E mentre scrive borbotta. Mi guarda e mi previene: “No, non sono rimbischerito: borbotto per capire se il pezzo suona bene all’orecchio”. E aggiunge: “Proprio di te abbiamo parlato stamane nella riunione di redazione: devi scrivermi, ma di corsa, un pezzo sui saccopelisti a Venezia”. Voleva sapere come me la sarei cavata. Miracolosamente passo l’esame del direttore, ma Spadolini, che come la regina madre stava a gambe larghe di fronte a Indro, ha qualcosa da obiettare. Mi presenta allo storico fiorentino: “Conosci Armaroli”. “Ma certo!”. Un po’ indispettito per il fatto che ero stato presentato ai lettori come allievo di Giuseppe Maranini e di Giovanni Sartori. Omettendo il riverito nome e cognome dell’ex direttore del Corriere della Sera.

A proposito di fiorentineria. Un bel giorno incontro alla sede milanese del Giornale Sartori a colloquio con Montanelli. Discutiamo amabilmente per un bel po’. Ma quando l’illustre scienziato della politica si congeda, Indro mi domanda: “A Firenze con Vanni come ti trovi?”. “Benone”, rispondo. E lui: “Un grande studioso Vanni, non c’è che dire. Ma che carattere!”. Torno a Firenze e la scena si ripete a parte invertite. D’altra parte un fiorentino doc come Silvano Tosi, con il quale mi sono laureato, per sottolineare l’esprit florentin dei …fiorentini immagina questa scenetta: “Due amici s’incontrano e uno dice all’altro: ‘Hai visto che Spadolini è stato eletto alla presidenza del Senato?’. E aggiunge: ‘Ma se è davvero tuo amico, non hai fatto niente per osteggiarlo?’”. Matteo Renzi, tanto per dire, è della stessa pasta.

Un’altra volta sono convocato a Milano e in una trattoria toscana, dove per compiacere il direttore abbiamo praticamente digiunato, Montanelli ci dice: “Adesso dobbiamo smembrare Franco Cangini”. Proprio così! Visto che il condirettore aveva piantato baracca e burattini. “E allora tu Armaroli ti occuperai di politica costituzionale, tu Orlando di polita istituzionale e tu Scarpino di politica interna”. Nessuno riuscì a capire la differenza tra politica costituzionale e politica istituzionale. Ma nessuno mosse obiezioni. Così ingombrante, Cangini, che ci volevano ben tre persone per colmarne il vuoto.

Alle sette di sera la macchina del giornale si arrestava perché il direttore doveva assistere alla televisione a una puntata dell’ispettore Derrick. Bizzarrie di un fuoriclasse. Ma la stagione per lui peggiore fu quando si ricoverò nella clinica pisana del professor Cassano per le sue depressioni ricorrenti. Nel congedarsi disse agli astanti: “Per un po’ ai Controcorrente dovrete pensarci voi”. Anche al sottoscritto capitò di farne alcuni. Uno in particolare ebbe un certo successo. Era del seguente tenore: “Non si capisce perché Achille Occhetto avverta il prepotente bisogno di varare un governo ombra per contrastare un’ombra di governo”. Il governo era quello presieduto da Giulio Andreotti. Seppi poi che il deputato Alfredo Biondi, nel giorno in cui apparve il mio Controcorrente, arrestò il suo dire a Montecitorio per declamare quello che ritenne, bontà sua, l’autentico Montanelli.

Purtroppo i direttori di giornale sono come le stagioni: non sono più quelli di una volta. Oggi, 22 aprile, Montanelli avrebbe compiuto 102 anni. E il prossimo 22 luglio saranno vent’anni tondi che ci ha lasciato. Non esito a dire che i nove anni trascorsi nella sua squadra prima al Giornale e poi a La Voce, libero come l’aria, sono stati gli anni più belli della mia vita.