02.05.2023 Elio Grande

Intimit-AI

Jens-Erik Mai, oggi professor of information all’Università di Copenhagen, nel 2016 pubblicò sulla rivista The Information Society un articolo da titolo Big data privacy: The datafication of personal information. Il diritto alla privacy, suggeriva, andrebbe considerato un diritto umano fondamentale che oltrepassa le esigenze individuali. Scorgiamo nel senso di privacy non tanto l’estromissione altrui dalla propria intimità, quanto piuttosto un inspiegabile “core feeling”, il sollievo dato dalla certezza della propria integrità personale, il godimento del non lasciarsi sfuggire a se stessi. Il desiderio di privacy incatena ciò che siamo a ciò che sappiamo d’essere, cercando un punto fermo. Sei ignoto a te stesso, direbbe Socrate, ma è solo un momento di défaillance: concentrati, scegli i giusti assiomi di partenza e ricomponi il puzzle. I tuoi dati personali non sono quel che hai, una proprietà da difendere scaricandola sul tuo hard-disk, bensì quel che sei, memorizzato in un server condiviso e a prova di guasto, chiamato “Iperuranio”.

Socrate faceva l’ostetrico per uomini insipienti, la cui anima è gravida di tutto quel che serve nella vita: la capacità di ragionare, la natura dei triangoli e il senso della giustizia. Ma increspando con la mano la superficie d’acqua di un pozzo – la nostra coscienza – il nero fondo rimane inaccessibile. O forse no. Il 16 febbraio 2012 appariva sul New York Times Magazine un articolo a firma di Charles Duhigg intitolato How Companies Learn Your Secrets. Un padre entra irato in un negozio della catena americana Target, perché la figlia minorenne ha ricevuto un coupon di prodotti per donne incinte. Nessuno, nemmeno la ragazza, sa che è incinta. Ma il software del reparto marketing ha indovinato. Il fatto è che, per risparmiare energia, tramite un’operazione detta chunking, il cervello converte in cicli routinari delle sequenze di azioni comprese tra un dato segnale ed una certa ricompensa. Statisticamente, conoscendo un ciclo ed il suo input di attivazione è dunque possibile anticiparne lo svolgimento. Il marketer di Target, Andrew Pole, aveva però battuto sul tempo la concorrenza: non aveva sfruttato una routine consolidata, ma aveva trovato i segni che un’abitudine stava per innestarsi, orientandola a proprio favore.

“Strisciando” tra i dati di vendita, il software di Pole aveva incrociato venticinque prodotti che gli avevano consentito di stilare un pregnancy prediction score. Il trucco, scoperto negli anni ’80 dall’equipe di Alan Andreasen alla U.C.L.A., consiste nell’infiltrarsi nelle vite degli altri quando un evento (come appunto una gravidanza) altera la percezione del proprio destino: lì si è vulnerabili e il cervello è disposto al cambiamento. Sei ignota a te medesima, insomma, ma non a me: il software non aveva direttamente intaccato l’intimità della ragazza, ma aveva seguito le tracce della sua fragilità fin dentro la sottile crepa tra ciò che era e ciò che sapeva d’essere, tirandone fuori il segreto, cioè paradossalmente producendo un’informazione riservata. Il software pertanto non è maieutico, e tuttavia il comportamento veicola un senso: la bravura del programmatore sta nel cercare i dati giusti, imprescindibili; il prodigio del learning artificiale sta nel generalizzarli, quand’anche non costituiscano anelli di una sequenza definita. Dalla cittadella interiore sfugge sempre qualcosa, e chiudervisi dissolve il problema piuttosto che risolverlo. Il concetto di privacy potrebbe uscirne profondamente mutato, perché la persona, forse, non è mai singolare.

 

Credits Copertina: Freepik.com