L'Italia dice no in Europa allo stop auto benzina, il 7 marzo la decisione finale

02 marzo 2023

Di Massimo Falcioni

La tanto conclamata svolta della Ue per mettere al bando i motori termici dal 2035 rischia di trasformarsi in una giravolta. Non era già tutto deciso? Non proprio. Perché proprio in zona Cesarini, a pochi giorni dalla votazione finale al Consiglio europeo del prossimo 7 marzo, Italia, Bulgaria, Polonia e anche la tentennante Germania, pur con toni e accenti diversi, hanno espresso il loro dissenso al piano Fit for 55 che segna lo stop alla vendita di auto con motore a combustione nei 27 Paesi  dell’Unione a partire dal 1° gennaio 2035. E’ stato il pressing dell’Italia a innescare il processo definitivo di possibile svolta sintetizzata con una nota del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (Mase) in vista della riunione degli ambasciatori degli Stati membri in programma venerdì 3 marzo per preparare il voto finale del Consiglio dell’Ue chiamato 4 giorni dopo, il 7 marzo, a formalizzare l’accordo con l’Europarlamento. “Pur condividendo gli obiettivi di decarbonizzazione – si legge in una nota del Mase – l’Italia sostiene che i target ambientali vadano perseguiti attraverso una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa, pianificata e guidata con grande attenzione, per evitare ripercussioni negative per il Paese sia sotto l’aspetto occupazionale che produttivo.

L’Italia ritiene inoltre che la scelta dell’elettrico non debba rappresentare, nella fase di transizione, l’unica via per arrivare a zero emissioni. Il successo delle auto elettriche dipenderà molto da come diventeranno accessibili a prezzi concorrenziali. Una razionale scelta di neutralità tecnologica a fronte di obiettivi ambientali condivisi deve consentire agli Stati membri di avvalersi di tutte le soluzioni per decarbonizzare il settore dei trasporti, tenendo conto delle diverse realtà nazionali e con una più graduale pianificazione dei tempi”. Aggiunge il ministro Gilberto Pichetto Fratin: “l’utilizzo di carburanti rinnovabili e compatibili con i motori termici contribuirà a una riduzione delle emissioni senza richiedere inattuabili sacrifici economici ai cittadini”.

I carburanti rinnovabili sono combustibili sostenibili prodotti da risorse rinnovabili. Esempi includono i biocarburanti (ad es. olio vegetale utilizzato come combustibile, etanolo, metanolo formano energia pulita e anidride carbonica o biomassa, e biodiesel) e il combustibile idrogeno (quando prodotto con processi rinnovabili). Precisa Adolfo Urso, a capo del ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), con un post su Twitter precisa: “Con il nostro No abbiamo svegliato l’Europa. Speriamo che altri comprendano che è l’ora della ragione non certo della rassegnazione! Su tutti i dossier saremo in campo sino alla clausola di revisione del 2026. Cambiare si può”. Dunque, puntare alla clausola di salvaguardia al 2026, ovvero la possibilità che l’esecutivo di Bruxelles riveda il pacchetto Fit for 55 se, da qui ai prossimi 3 anni, e-fuels e biocarburanti avranno fatto progressi tecnologici tali da azzerare davvero le emissioni di CO2. “C’è un ripensamento – sostiene Urso – sia nell’Europarlamento che nel Consiglio dell’Ue, perché si prende atto della realtà così come è stata imposta. Per questo saremo particolarmente assertivi anche sugli altri due importanti dossier aperti, cioè la riduzione di CO2 per i veicoli pesanti e, soprattutto, il regolamento sull’Euro 7, che interviene in un settore già fortemente sotto stress. L’obiettivo è creare le condizioni affinché nel 2026, con i nuovi Europarlamento e Commissione Ue (da rinnovare nel 2024, ndr), potremo costituire quell’alleanza fra imprese, lavoratori e nazioni europei e fare della clausola di revisione al 2026 un obiettivo strategico per rimettere in discussione tempi e modi della transizione, da coniugarsi assolutamente con i bisogni della società”. Se davvero la Polonia e la Bulgaria e soprattutto la Germania faranno asse con l’Italia il piano Ue ha le ore contate. Decisiva sarà, alla fine, la posizione ufficiale di Berlino. Sofia dovrebbe astenersi. In prima linea Matteo Salvini, titolare del Mit:  “Un fattore determinante è il tempo – spiega Salvini . Sul target finale siamo tutti d’accordo, ma correre eccessivamente rischia di produrre l’effetto contrario.

La transizione in cui tutti crediamo – continua il vicepremier – va incentivata e accompagnata. Il diritto alla mobilità va garantito a tutti: bisogna pensare anche chi non può permettersi di acquistare un’auto elettrica. Sì alla sostenibilità ambientale ma con buonsenso, evitando di regalare alla Cina intere industrie e centinaia di migliaia di posti di lavoro”. Già. Non si può non concordare ricordando quanto incide l’auto in Europa, particolarmente in Italia. Nella penisola la filiera (Case auto, fornitori di componenti e allestitori) dà lavoro a 268.300 persone in 5.135 imprese che pesa per il 5,2% del Pil. Di questi 161.465 addetti (2020) lavorano nella componentistica soprattutto in Piemonte e Lombardia con un fatturato complessivo sopra 45 miliardi. Le concessionarie sono più di 1250 con più di 120 mila occupati: a queste vanno aggiunti le imprese che vendono auto ma non in concessione del costruttore: almeno altre 5 mila aziende in Italia, per lo più a conduzione familiare. Va poi aggiunto il comparto dell’assistenza: officine, carrozzieri, gommisti, revisioni: altri 200 mila addetti di circa 95.000 aziende. Il settore della manutenzione e riparazione veicoli ha un fatturato di 13,3 miliardi di euro e un valore aggiunto pari a 4,7 miliardi di euro. A ciò vanno aggiunti il segmento carburanti: 50 mila addetti impegnati nei 22.149 impianti di rifornimento stradali e autostradali. Complessivamente, nelle aree sopra citate, si tratta di quasi 600 mila occupati, escludendo i segmenti di lavoro legati a autobus, camion e costruzioni dedicate alla viabilità per un totale di 1.260.000 persone coinvolte. Limitandosi a considerazioni esclusivamente economiche, in Italia il settore auto e dell’indotto rappresenta complessivamente circa il 20% del Pil (in Germania la percentuale di Pil comprensiva dell’indotto supera il 35%) poco meno di 300 miliardi di euro nel 2021.

Per comprendere numericamente il suo peso basta pensare che il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) vale 191,5 miliardi di euro e la legge di Bilancio 2022 è da 36,5 miliardi dei quali 23,3 di indebitamento netto. Riguardo al Pnrr, nel piano sono stanziati 740 milioni di euro per le colonnine e sono previsti sei milioni di veicoli elettrici in circolazione entro il 2030 e 32 mila infrastrutture pubbliche di ricarica: alla fine del 2021 le auto elettriche in strada erano poco più di 120.000, lo 0,3% del parco circolante di auto composto da 39,5 milioni di mezzi a cui vanno aggiunti i mezzi pesanti, le moto, gli scooter ecc. Allargando questi numeri a livello europeo si capisce cosa può comportare, in negativo, il passaggio tout-court dalla benzina all’elettrico. La salvaguardia dell’ambiente è una priorità e l’auto elettrica è una delle soluzioni, non l’unica. Ci sono nodi da sciogliere con equilibrio e realismo senza fanatismi politici e ideologici. La transizione energetica e tecnologica deve essere un processo graduale, senza date capestro. Così come era stata impostata tutta la questione sull’abolizione delle auto a benzina dal 2035 diventava una eurofollia. Il ripensamento della Ue, se davvero c’è, va formalizzato con il voto del 7 marzo. Alla fine, meglio incassare una figuraccia per l’imprevisto dietro front che obbligare l’Europa a infilarsi in un “cul de sac”.