21 ottobre 2020
Shia LaBeouf è un attore hollywoodiano di quelli che non lasciano propriamente il segno.
Bravino o almeno con public relations di successo che gli hanno consentito la partecipazione ad alcuni blockbuster, ha, come molti suoi colleghi, sperimentato l’epifania dell’impegno sociale e soprattutto della opposizione alla montante onda del populismo, incarnata a suo dire da Donald Trump.
E così, dismesse parzialmente le vesti dell’attore cinematografico, LaBeouf si è dato ad una sorta di living theatre itinerante: cogliendo il portato emozionale, da psicodramma di una comunità liberal sull’orlo di una crisi di nervi, tra urla, pianti e scene di desolazione umana di rara intensità dopo la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali del 2016, l’attore ha pensato di dare una voce, e un volto, a questo torrente di progressisti desiderosi di non essere spazzati via nel momento della vittoria trumpiana.
‘He will not divide us’ è una performance che LaBeouf ha messo in piedi, ricorrendo a scarsi mezzi tecnologici e sfruttando più che altro le lacrime e gli strepiti degli sconfitti incapaci di accettare l’idea di dover vivere nell’impero dell’odio repubblicano, e non particolarmente propensi ad espatriare: una videocamera, piazzata ciancolante nel cuore di New York, davanti cui qualunque cittadino se ne sarebbe potuto andare a indorare la pillola della solidarietà universale e della ‘resistenza emotiva’ di gruppo contro il Tiranno fresco di insediamento alla Casa Bianca.
Una sorta di esibizionistica seduta psicoterapeutica a metà tra Grande Fratello e The Blair Witch Project, con una spruzzata di autoaffermazione politica.
Ed è a questo punto che le legioni dei Troll si accorgono, con il loro occhio lungo simile a un Sauron digitale che si spande sugli States, della videocamera e del progettino di LaBeouf.
Il piatto è tutto sommato goloso, per gente che come Nicolas Gomez Davila ritiene che l’impegno civile sia prossimo alla prostituzione.
Liberal che poco furbescamente si schedano da soli, volto dopo volto, discorso dopo discorso.
E così i forum dentro cui pasturano le organizzazioni spontanee di troll, appendice digitale del Kekistan, decidono di iniziare una azione di guerra totale, modello Gamergate, contro ogni singola persona che ci abbia, letteralmente, messo la faccia.
Incrociano dati, raccolgono foto e indirizzi e informazioni dai social, scovano posti di lavoro, amanti e fidanzati, famiglie: in poco tempo, come nel film Il Corvo, quello francese diretto da Clouzot, e non la polpetta gotica americana, i partecipanti alla iniziativa di LaBeouf vengono sommersi di insulti, minacce, i loro parenti sono raggiunti da illazioni, calunnie, fotomontaggi porno. Reputazioni infrante, dignità devastate, licenziamenti, carriere accademiche finite.
LaBeouf è costretto a interrompere la piece. Ma non abbandona l’idea.
Ne modifica solo gli elementi portanti, dopo un breve diversivo ad Albuquerque che però viene immediatamente interrotto perché la videocamera è coperta con vernice spray da qualche troll uscito dal regno digitale.
A questo punto l’attore ha una idea che lui reputa brillante. Non più una interazione con persone che potrebbero essere scovate e minacciate ma solo un video, permanente, di una bandiera con su scritto ‘he will not divide us’ che garrisce contro un cielo azzurro, con leggere venature di nuvole e di scie di aerei.
Ed è qui che entra in gioco il concetto di ‘autismo armato’, weaponized autism, molto popolare negli ambienti del trolling online. Perché in effetti qui il livello si alza, e di molto, e le legioni dell’odio digitale danno una prova di non comune sagacia.
Non ci sono indizi per capire sopra quale città si stenda quel mare immoto di azzurro. Ma qualche dato c’è, per menti superiori.
Le rotte degli aerei, il vento, la sagoma delle nubi, studio astronomico notturno delle stelle e un incauto tweet da un ristorante dello stesso LaBeouf: ricorrendo a prestazioni intellettuali da menti superiori, studiando e analizzando ogni singola rotta aerea del Paese, in poco tempo i troll comprendono che la bandiera è stata posizionata a Greeneville, in Tennessee.
I troll di 4-Chan a questo punto pagano un cittadino di Greeneville, affinchè se ne vada in giro per la cittadina a bordo del suo veicolo suonando ripetutamente il clacson. Finchè di notte, durante lo streaming, con la bandiera che garrisce, si sente un colpo di clacson: i troll ordinano all’uomo di comunicare le sue coordinate, e gli fanno capire che il gioco è vinto.
A questo punto il tizio scende dal veicolo, ammaina la bandiera e innalza, al suo posto, un cappellino rosso MAGA.
Le metaforiche rovine di una Berlino liberal su cui sventola il drappo rosso di Trump.
GLOSSARIO
Weaponized Autism: ‘Autismo armato’, espressione gergale che indica non comuni doti cognitive e intellettuali messe al servizio di una causa distruttiva o di confronto anche violento, nel digitale. Particolarmente popolare tra i frequentatori del forum 4-chan.
Kek/Kekistan: antico e fittizio Dio di derivazione egizia, viene adottato dai troll come loro ‘divinità’ e come palingenesi. Espressioni come ‘praise the Kek’ sono generalmente foriere di disastri online e di avvenuti boicottaggi o di vittoriosi raid.
In realtà la formula linguistica KEK è l’equivalente del LOL americano: una espressione di estremo divertimento che deriva dal gioco World of Warcraft. Le legioni di Troll si sono anche divertite a immaginare un intero Stato ispirato a questo mito, il Kekistan, la cui bandiera verde con i simboli del forum 4chan stampigliati sopra ricorda, pericolosamente ma ironicamente, la bandiera da guerra della Germania nazista.