L’India si sta preparando ad ospitare nel 2023 la coppa del mondo di cricket. L’albo d’oro della competizione la vede vincitrice in due edizioni fra il 1975 e il 2019, precisamente nella edizione del 1983 e in quella del 2011. Del resto pare che la prima partita di cricket in India risalga al 1721 tant’è che il cricket è lo sport nazionale indiano, lo giocano tutti, ragazzi e ragazze, come da noi il calcio o il basket. Non può dirsi altrettanto per il calcio che è pure praticato, ma la nazionale indiana non è mai arrivata alle fasi finali della coppa del mondo pur avendo avuto un suo periodo felice fra il 1950 e il 1960. Curiosa la partecipazione alla fase finale dei mondiali del 1950. La nazionale indiana si qualificò perché tutte le squadre asiatiche si ritirarono e infine si ritirò lei stessa ufficialmente perché si rifiutò di far indossare ai propri giocatori gli scarpini essendo i calciatori indiani abituati giocare a piedi nudi. Dove voglio andare a parare con questa premessa? È presto detto. Mentre l’asse strategico politico ed economico si è spostato sull’Asia e sul Pacifico il medagliere delle recenti olimpiadi nelle prime 10 posizioni vede sei paesi europei, l’atlantismo è rappresentato dagli USA e altri sette paesi, c’è l’Australia e solo due paesi sono asiatici di cui uno, il Giappone è per storia economica e politica dal secondo dopoguerra assimilabile ad un paese atlantico. Solo la Cina ha accompagnato la sua vorticosa crescita economica e la sua influenza politica con un altrettanto vorticosa crescita nei risultati sportivi. Ed è così che già durante lo svolgimento delle Olimpiadi mi sono trovato ad interrogarmi. Perché un paese enorme come l’India con (1.366.000.000) unmiliardotrecentosessantaseimilioni di abitanti, un paese giovanissimo con una età media di ventisei anni, si trova in quarantottesima posizione nel medagliere su duecentocinque comitati olimpici partecipanti, con appena un oro, due argenti e quattro bronzi?
Eppure il comitato olimpico indiano ha portato a Tokyo la delegazione più numerosa con 120 atleti iscritti. L’India oscilla a seconda dei meccanismi di rilevazione fra la quinta e la settima posizione fra le economie più forti al mondo. La domanda quindi mi è sembrata ragionevole, non oziosa. Sono andato in rete per cercare di capire se fossi solo a pormela. Non ho trovato molto, un articolo di Repubblica a firma di Carlo Pizzati e un altro articolo del tutto simile del Post. Il non essere solo mi ha confortato ma la risposta alla domanda rimane sospesa. Certo pesa la povertà endemica dell’India che contrariamente alla Cina è ancora ben lontana dall’aver portato tutti i suoi abitanti al di sopra del livello, definito internazionalmente, di povertà assoluta. Ancora almeno due indiani su 10 sono sotto quella drammatica soglia. Probabilmente pesano le caste chiuse gli ascensori sociali bloccati. Ma credo che bisognerà scavare anche oltre le barriere materiali per cercare una risposta. L’India non è un paese nazionalista nel profondo nonostante Modi. Così nessuna ideologia ha mai alimentato la cultura di un modello di uomo che rappresentasse anche nello sport l’idea profonda di nazione. Il self made man americano o lo stachanovista russo per capirci. L’individuo con il suo egoismo competitivo contro il primato dell’ugualitarismo come idea superiore di umanità e di sacrificio del singolo per la causa della nazione. Anche l’Europa ha tutto sommato una sua idea di uomo ed è l’uomo comunità cresciuto nei borghi, nelle città medioevali e nelle corporazioni economiche. Nulla di tutto questo pare essersi affermato in India nonostante i recenti 30 anni di neoliberismo sfrenato. Forse nel profondo la spiritualità dell’India rappresentato da buddismo, induismo, giainismo, sickismo, zoroastrismo, ebraismo, cristianesimo e islam fa ancora premio su una idea competitiva che come sappiamo va ben al di la del motto “l’importante è partecipare”. Diciamo pure che non ho alcun elemento per affermare questo concetto però in fondo mi piacerebbe che così fosse.