08.09.2021 Tommaso Pincio

L’insostenibile ritrosia degli alieni

«Dove sono?». Nel consesso di chi scruta il cielo per scovare segni di vita extraterrestre, questa semplice domanda è nota come il paradosso di Enrico Fermi. 

Fu lui infatti a porla nell’estate del 1950 per evidenziare una irrisolvibile contraddizione: se davvero l’universo pullula di alieni, come mai non si sono fatti ancora vedere? Qualcuno obietterà che lo scienziato non teneva in debito conto le centinaia di avvistamenti di strani velivoli. Evidentemente, o Fermi prestava poco credito a ciò che molta gente sosteneva di aver visto o si aspettava qualcosa di più. Sono trascorsi oltre settanta anni da allora e quella domanda non ha trovato risposta. Non che non si sia provato a far luce sulla questione. Il tentativo più recente risale al giugno scorso quando il Pentagono ha reso pubblico un rapporto su più di 140 avvistamenti inspiegabili registrati nei cieli degli Stati Uniti. Rivelava in sostanza quanto già detto dall’ex presidente Obama in televisione soltanto un mese prima, ovvero che il governo americano è sì in possesso di video e immagini in cui compaiono oggetti di origine misteriosa e capaci di volare a grandi velocità seguendo traiettorie per noi inconcepibili, ma non è in grado di fornire chiarimenti risolutivi in merito alla loro natura. Del resto è così da sempre o almeno da quando è nato il fenomeno di quelli che un tempo venivano chiamati “oggetti volanti non identificati” o semplicemente “dischi volanti”.

La definizione tecnica odierna è assai meno suggestiva, “fenomeni aerei non identificati”. Quelli che una volta venivano considerati oggetti sono stati declassati a fenomeni aerei. Esistono ma hanno perso consistenza fisica, sono diventati immateriali, eterei, qualcosa che forse un giorno si paleserà a pieno acquistando concretezza ma che al momento rimane comunque impalpabile. Certo, si potrà seguitare a credere che il governo americano non dica tutto e sia in possesso di reperti custoditi in basi militari segrete, relitti di velivoli che si sono schiantati a terra e forse perfino cadaveri di creature aliene, ma ciò non getterà nessuna vera luce sul mistero in questione: siamo soli nell’universo? È una domanda antichissima, tanto che già nel 1686, riprendendo le idee di Giordano Bruno che per questa e altre ragioni venne arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma, il francese Bernard le Bovier de Fontenelle pubblicava una magistrale opera di divulgazione scientifica, “Conversazioni sulla pluralità dei mondi”, nella quale si sosteneva che l’intero cosmo pullula di vita intelligente, sebbene diversa da quella terrestre.

Va inoltre ricordato che il governo americano si occupa del problema da diversi decenni. Nel gennaio 1953 un gruppo di cinque scienziati alla guida del fisico H. P. Robertson valutò per conto della CIA i possibili rischi alla sicurezza nazionale da quelli che all’epoca erano ancora UFO. Nel corso delle sue riunioni il gruppo esaminò 75 casi di avvistamento raccolti dall’aeronautica militare. Al termine dei lavori fu stilato un rapporto – reso di dominio pubblico soltanto nel 1966 e meglio noto come rapporto Robertson – dove si stabiliva che i casi di UFO erano tutti potenzialmente spiegabili ma rappresentavano comunque un pericolo perché avrebbero potuto «intasare i canali di comunicazione con materiale affatto irrilevante». Si consigliava pertanto che l’Air Force provvedesse a ridimensionare il mito dei dischi volanti impegnandosi attivamente in una campagna tesa a scoraggiare l’interesse del pubblico per il fenomeno. Chi credeva fermamente all’esistenza degli alieni e riponeva al contempo scarsa fiducia nel governo americano non poteva che leggere il rapporto Robertson come un’opera di insabbiamento. La tiritera è andata avanti per decenni e, almeno tra gli appassionati, va avanti ancora adesso: i potenti ci nascondono la verità. L’ipotesi, all’apparenza fin troppo verosimile, presenta però un vizio di fondo. Contrasta cioè con quanto ci dicono i fatti ovvero che fino a oggi gli alieni sono rimasti semplici avvistamenti, si sono fumosamente appalesati senza mai sbarcare. I governi possono senz’altro nascondere alcune verità ma è difficile abbiano anche il potere di impedire a una civiltà extraterrestre di scendere tra noi.

Copertina Elaborazione grafica di Vertigo Design, 2021. Sopra The Secret Life of Plants: Star Painting, Anselm Kiefer, 2003, rami rivestiti di olio, acrilico, carboncino, gesso su piombo e fil di ferro su tela
 

«La delusione più cocente e astratta della mia vita fu senza dubbio il mancato sbarco dei marziani nel decennio tra il 1950 e il 1960. Se siete dell’età giusta, ricorderete quegli anni torvi ed eroici. Correvano notizie clandestine» scriveva Giorgio Manganelli negli anni Settanta sulle pagine del “Corriere della Sera”. Le sue parole definiscono con cristallina precisione lo scoramento che si diffuse tra gli ufologi dopo la grande età dell’oro degli avvistamenti di dischi volanti, collocabile appunto tra la fine della seconda guerra mondiale e la morte del presidente Kennedy. In quello scorcio di Novecento gli alieni hanno volteggiato sopra le nostre teste, lasciandoci però soltanto mucchi di nebulose fotografie dove le loro misteriose astronavi non sono altro che fantasmi sfuggenti. Ci hanno poi regalato una moltitudine di racconti di persone rapite dagli alieni, persone cui è stato concesso il privilegio di vedere quei dischi coi propri occhi se non addirittura di salirci a bordo per un giro di prova nello Spazio o per essere sottoposti a check-up medico completo. Spesso è parso che fossero sul punto di sbarcare e prendere contatto con noi chiarendo una volta per tutte le loro intenzioni. Avrebbero illuminato i nostri destini. Ma alla fine, niente. Si sono sempre dileguati sul più bello, mostrandosi a dir poco ritrosi. «Per qualche motivo non sbarcarono» si chiedeva Manganelli. «Certo furono assai vicino a farlo: forse qualche metro di Terra è stato sfiorato da macchine che esseri umani non dovevano vedere. Poi non ne fecero nulla. Perché? Non interessava più questa Terra maligna e sfinita? O provavano un certo orrore per questa malattia del cosmo? O fu disprezzo, disdegno, fastidio?».

Con amara ironia, Manganelli lasciava a intendere che i marziani, come nostalgicamente si ostinava a chiamarli, esistono ma ci hanno schifato. Ma su quali basi è possibile stabilire che esistono? Proviamo a valutare la questione considerando ciò che possiamo dare per certo. Eventuali forme di vita aliena hanno bisogno di un pianeta nel quale nascere ed evolversi. Il pianeta da solo non è però sufficiente. Sono necessarie anche le condizioni ideali e soprattutto gli elementi chimici minimi per lo sviluppo di un organismo complesso. Ci vogliono cioè stelle in grado di favorire la comparsa della vita, stelle simili al nostro Sole che però costituiscono una presenza relativamente rara nell’universo. Nella nostra galassia ammontano appena al 5%. Ma se pensiamo che la nostra galassia conta circa trecento miliardi di stelle, questo 5% è comunque un bel numero. Quindici miliardi, più o meno. Ciò significa che nella nostra galassia ci sono altrettanti pianeti pronti a sfornare orde di alieni? Ovviamente no.

Nel 1961 l’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti indisse un congresso per discutere l’orientamento da tenere negli studi spaziali. È stata la prima volta in cui la comunità scientifica si è confrontata seriamente con il problema della ricerca di civiltà extraterrestri. In quella circostanza l’astronomo Frank Drake presentò un’equazione destinata a diventare una base imprescindibile in ogni congettura sull’esistenza degli alieni:

N = R fp ne fl fi fc L

Senza titolo, Cristiano Pintaldi, 2017, acrilico su tela
 

L’equazione Drake è il tentativo di stimare scientificamente il numero di civiltà extraterrestri presenti nella nostra galassia e capaci di stabilire un contatto con la Terra. N rappresenta il numero di queste civiltà, che corrisponde al prodotto della sfilza di lettere e letterine situate dopo il segno uguale. Problema risolto, quindi? Manco per sogno, perché bisogna attribuire un valore, seppure approssimativo, a lettere e letterine, ognuna delle quali rappresenta un fattore determinante. Partendo dal tasso di formazione stellare nella Via Lattea, è necessario stabilire quante di queste stelle possiedono pianeti, per poi passare a quanti di questi pianeti sono dotati di un ambiente idoneo a sviluppare forme di vita, e a quanti di questi pianeti idonei hanno effettivamente sviluppato la vita. E siccome nemmeno la vita è sufficiente, è necessario stabilire pure in quanti pianeti la vita si è evoluta in una specie intelligente e tecnologicamente progredita al punto di poter stabilire un contatto con noi. È inoltre doveroso calcolare quante di queste civiltà abbiano intenzione di stabilire un contatto, perché esiste sempre la possibilità che gli alieni non abbiano nessuna voglia di impelagarsi con noi terrestri, per dirla con Manganelli.

Infine, non si deve dimenticare di stimare la durata di queste civiltà evolute e disponibili a entrare in contatto con noi. Da quando esiste la nostra galassia, più di dieci miliardi di anni, potrebbero essere scomparse centinaia di civiltà extraterrestri. Qualcuno obietterà che se sapessimo tutte queste cose non avremmo bisogno di alcuna equazione per risolvere il mistero degli alieni. In un certo senso è così. L’importanza dell’equazione Drake consiste tuttavia nell’avere conferito dignità scientifica a un interrogativo che altrimenti sarebbe rimasto oggetto esclusivo di culti, leggende metropolitane e mistificazioni. L’equazione è valida ancora oggi e ci dice una cosa molto importante ovvero che l’eventualità di essere soli nell’universo è troppo remota per essere verosimile. Al contempo ci ricorda che sarebbe altrettanto difficile per un alieno sbarcare sul nostro pianeta, che gli piaccia o no.

Insomma, gli alieni esistono ma non sono tra noi. D’altronde, delle 144 segnalazioni prese in esame nel rapporto del Pentagono, soltanto una è stata poi spiegata: si trattava di un grosso pallone sgonfio e questo vorrà pur dire qualcosa. 

Restano le altre 143, è vero, ma vista l’ormai proverbiale allergia dei marziani agli obiettivi fotografici e forse anche ai social, i selfie con cose venute da un altro mondo attenderanno senz’altro a lungo e questo sembra renderli un cascame del passato recente piuttosto che una possibilità del futuro.