08.09.2021 Luigi Pasquali

Lo sguardo dall’alto per salvare il pianeta

Una superficie azzurra coperta da nuvole.

Il 14 agosto del 1959 la Terra appare così al suo primo fotografo orbitante. Sono passati appena due anni dal lancio dello Sputnik, ce ne vorranno ancora dieci per il primo uomo sulla Luna, eppure gli occhi del satellite NASA Explorer 6 riescono già nell’impresa di raccontare da lontano, seppure in piccola parte, ciò in cui siamo immersi quotidianamente.

Nei decenni a venire questa capacità si sarebbe affinata progressivamente fino ad arrivare alla geosservazione come la conosciamo oggi. Il pixel ha da tempo ceduto il posto al dato, o meglio: all’informazione. Osserviamo la Terra con sensori di tecnologie diverse, che estraggono informazioni capaci di completarsi l’una con l’altra, elaborate con algoritmi in grado di produrre ulteriori informazioni. Tutto questo si traduce in un tipo di conoscenza che la specie umana non aveva mai sperimentato fino a oggi e che si pone a servizio dei cittadini nei settori più diversi: dalla gestione delle emergenze all’agricoltura di precisione, alla tutela dell’ambiente, fino alla lotta ai cambiamenti climatici. Non è un caso che di recente un report della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) abbia sottolineato l’importanza delle tecnologie spaziali per il raggiungimento entro il 2030 dei Sustainable and Development Goals.

Nella tutela dell’ambiente lo Spazio, divenuto ormai ambito operativo da cui si agisce per migliorare la vita sulla Terra, rappresenta un vero e proprio game changer. Oggi, grazie alla combinazione di satelliti di telerilevamento, come le Sentinelle europee del programma Copernicus e gli italiani COSMO-SkyMed, e di strumenti altamente tecnologici a terra riusciamo a sapere moltissimo sullo stato di salute del nostro pianeta: monitoriamo i ghiacciai, le temperature e il grado di inquinamento degli oceani, la qualità dell’aria, riusciamo persino a seguire gli spostamenti della fauna selvatica per preservare gli ecosistemi. Di più, i dati satellitari consentono di prendere decisioni capaci di conciliare l’interesse dell’individuo e il bene comune.

Copertina Limpopo, Sudafrica, 2020, immagine acquisita dai satelliti COSMO-SkyMed second generation, elaborata e distribuita da e-GEOS. Sopra Colniza, Brasile, 2020

Un tipico esempio arriva dall’agricoltura di precisione. Grazie a intelligenza artificiale e machine learning la scelta su quanta acqua e fertilizzante usare, cosa piantare e in quale momento, può essere addirittura automatizzata. Secondo i dati diffusi dal WWF, la produzione di un solo chilo di pasta comporta il consumo di quasi 2000 litri d’acqua. Una quantità spropositata che verrebbe drasticamente ridotta con vantaggi per il singolo agricoltore, ma anche per l’ambiente. Senza considerare che l’allocazione ragionata di queste risorse produrrebbe una riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari al 14%.

Questo nuovo modo di concepire il decision making è applicabile a contesti anche molto diversi. In ambito urbano, ad esempio, i dati satellitari supportano azioni di prevenzione. È il caso delle cosiddette “isole di calore”, aree della città in cui il calore ristagna anche durante le ore notturne. Satelliti come Sentinel-3, sono in grado di individuare le zone colpite da anomalie termiche. Incrociando questo dato con quelli relativi alla distribuzione della popolazione sul territorio, le amministrazioni pubbliche possono programmare interventi a tutela delle fasce più a rischio, anziani e bambini, sia nell’immediato che nel lungo periodo.

Anticipare i problemi e offrire una soluzione ancor prima che i danni siano visibili sono i prossimi passi dello “Space for citizens”. L’emblema di questa corsa ad anticipare il futuro è il Digital Twin Earth a cui sta lavorando l’Unione europea. Una replica digitale del pianeta alimentata continuamente proprio con i dati di osservazione della Terra, combinati con misurazioni in situ e intelligenza artificiale. Il modello simulerà l’evoluzione dell’atmosfera, degli oceani, il ghiaccio e la Terra con una precisione finora inimmaginabile. Non solo, il gemello in bit del nostro pianeta tenterà di catturare il comportamento umano, permettendo ai leader mondiali di prevedere gli impatti degli eventi meteorologici e dei cambiamenti climatici sulla società e di valutare gli effetti delle diverse politiche climatiche.

Come specie umana abbiamo costruito tardivamente la nostra consapevolezza ecologica, per molti versi questo processo è ancora in corso. È un errore da non ripetere oltre l’atmosfera terrestre. Per supportare la sostenibilità, le attività spaziali devono essere sostenibili a loro volta. La popolazione dei detriti spaziali è cresciuta drasticamente dal primo lancio di un satellite artificiale nel 1957 fino a diventare una seria minaccia per la sicurezza, l’incolumità e la riuscita delle attività spaziali.

Siberia, 2020, immagine acquisita dai satelliti COSMO-SkyMed, elaborata e distribuita da e-GEOS

Le nuove, numerose costellazioni, spesso di proprietà di attori privati, hanno reso ancora più affollata l’orbita terrestre e continueranno a farlo in futuro. Secondo alcune previsioni, richiamate di recente anche dal direttore dell’ESA Josef Aschbacher, seguiteremo a lanciare satelliti al ritmo di mille all’anno. Che fine faranno una volta che la loro vita operativa sarà conclusa? Continueranno ad accumularsi alle porte del nostro pianeta fino a impedire l’accesso allo Spazio alle generazioni successive? Si andranno ad aggiungere alle altre “mine vaganti” che già oggi mettono a repentaglio asset strategici per garantire servizi essenziali come le telecomunicazioni?

L’atmosfera terrestre attrae naturalmente i detriti orbitanti meno ingombranti verso il basso e li incenerisce nel suo strato inferiore. Ironicamente, questo aiuto prezioso nella lotta all’inquinamento spaziale è minacciato proprio dall’inquinamento del nostro pianeta. Secondo uno studio presentato ad aprile alla Conferenza europea sui detriti spaziali, i livelli crescenti di anidride carbonica potrebbero rendere meno densa l’atmosfera e quindi più difficile lo smaltimento degli space debris. Anche qualora riuscissimo a invertire questa tendenza, sarebbe necessario fare di più. Abbiamo già a disposizione servizi avanzati di Space Traffic Management, capaci di valutare le probabilità di impatto fra oggetti orbitanti, di impostare manovre di collision avoidance e di supportare il deorbit degli assetti satellitari.

Nel 2025, il satellite dimostrativo Clear-Space-1 testerà le tecnologie per il rendezvous, la cattura e il rientro dei satelliti a fine vita e della spazzatura spaziale. 

Se tutto andrà come programmato, un oggetto verrà fisicamente rimosso dalla sua orbita. Non basterà, è chiaro, ma segnerà un percorso obbligato, indispensabile per preservare lo Spazio e la Terra.