Mamma, mi sono perso il virologo

“Civiltà delle Macchine” ha fatto della centralità di umanesimo e scienza la ragione della propria esistenza e se non ha gioito per il fulgore degli scienziati nei mesi passati, si addolora ora per la caduta di popolarità

Di Peppino Caldarola

21 maggio 2020

La scienza non è mai stata così popolare come in questi due-tre mesi. Lo si è visto anche dal tipico comportamento italico che spinge molti di noi a diventare come gli eroi del momento, allenatori di calcio, leader di partito e ora virologi e pneumologi. Una popolarità che è nata dalla sovra-esposizione in tv di scienziati dalle opinioni spesso contrastanti, dalla paura e quindi dalla voglia di sapere e di ricevere messaggi liberatori (“Abbiamo sconfitto il Covid!”), dal fatto che la scienza , a parte una minoranza di scriteriati, è amata soprattutto dalla gente che non sa, quasi più della fede, anzi come una fede.

Temo che quel tempo stia finendo. Possiamo recitare da soli quello che diranno nel talk i virologi più alla moda tanto ne abbiamo imparato parole e modi di ragionate. Sta finendo perché, come dicevano i vecchi, e quindi oggi anche io, “il troppo, stroppia”. Ma soprattutto perché dopo mesi e mesi di trionfo della scienza non abbiamo ancora visto niente.

La fine del lockdown è stata accompagnata dai severi consigli della nonna. Invece di dire ai ragazzi “Mettiti la sciarpa”, diciamo “Mettiti la mascherina”. Invece di dire “Attento a chi frequenti”, gli diciamo “Attento a quanti ne frequenti”. Ci volevano due mesi di casino mediatico per tornare alle vecchie pratiche nonnesche.

Il fatto è che la scienza ha deluso. Intendiamoci, è una delusione che nasce dall’ignoranza di ritmi e tempi della scienza. Non si fa un vaccino in pochi mesi, non si inventa una nuova medicina di punto in bianco, a meno che non sia uno psicofarmaco dal mercato sicuro. Però ai cittadini del mondo è stato detto che eravamo lì lì per avere vaccino e medicina. Io in casa avevo già alcuni farmaci presentati come salvavita. Non ho mai avuto il plasma perché da single ho il frigorifero piccolo, ma l’eparina ce l’ho.

Forse la scienza ha commesso l’errore della vita, se così posso esprimermi. Si è spettacolarizzata, si è illusa di aver preso il potere in pochi mesi. Complici giornalisti, tv, politici dilettanti, ansiogeni scienziati hanno distribuito verità contraddittorie, hanno dato l’allarme dopo aver rassicurato, hanno rassicurato sul declino del virus e poi ridato l’allarme rinviandoci a sciagure venture. Ottobre (sembra) sarà il prossimo mese maledetto. Il più dolce dei mesi, quello autunnale per eccellenza, sarà il mese della nostra paura. Nostra, nel senso di tutti, ma soprattutto dei vecchi sopravvissuti che non faranno a tempo a festeggiare la fuga dal coronavirus senza sentirne il fiato alle spalle, anzi sulle spalle.

“Civiltà delle Macchine” ha fatto della centralità di umanesimo e scienza la ragione della propria esistenza e se non ha gioito per il fulgore degli scienziati nei mesi passati, si addolora ora per la caduta di popolarità. Non ci sono Messi e Ronaldo ( o Federica Pellegrini) fra di loro. Sono persone normali che non riescono a dire con semplicità che la scienza ha limiti. Limiti etici ma soprattutto che non può far tutto e tutto in poco tempo e che l’umanità un po’ deve arrangiarsi.

Il problema non l’abbiamo noi occidentali che godiamo dei consigli della nonna oggi incarnata in pattuglie di vigili e poliziotti un po’ invadenti. Il problema è dove non ci sono nonni perché la vita per loro è durata poco e quelli che campano sopravvivono perché non guardano la tv e non sanno che cosa pensa il virologo alla moda.