Max Biaggi, il “corsaro” 6 volte mondiale compie 50 anni

Di Massimo Falcioni

Il romano che quasi oscurò il Pupone

25 giugno 2021

Nel quartiere romano di Primavalle, dove Max Biaggi è nato il 26 giugno 1971, tutti i ragazzi della popolare borgata tiravano calci al pallone e anche il futuro “corsaro” già poco sopra ai dieci anni s’intrufolava con gli amici la domenica all’Olimpico, fan particolarmente attivi in occasione dei due derby stagionali Roma-Lazio, Lazio-Roma. Quando poi papà Pietro apre un negozio di abiti da lavoro in via Andrea Doria, a due passi dal mercato Trionfale, Massimiliano conosce e frequenta nuovi amici che scorrazzano con motorini truccati e uno di questi, Daniele, già appassionato di motociclette e di corse, gli fa provare la prima moto truccata e a scarico aperto, con la quale Max finisce rovinosamente a terra proprio all’ingresso della vicina Piazza San Pietro. Una successiva gita con gli amici sul lago di Bracciano porta per la prima volta il non ancora 17enne Massimiliano all’ autodromo di Vallelunga: ed è amore a prima vista. C’è subito chi presta a Max un casco giallo-rosso e una tuta di pelle nera con disegnato un corsaro e un sibilante 125 2 tempi per i suoi primi giri di pista: a fine giornata si capisce subito che quel ragazzo ci sa fare. “Hai stoffa, diventerai campione del mondo”, sentenzia il suo amico Daniele invitando tutti nella vicina Campagnano, da Righetto, per una abbuffata di porchetta. E’ l’inizio dell’ avventura agonistica di Max Biaggi. Sono passati poco più di 30 anni da quando l’allora diciottenne capitolino, calciatore mancato, diventava corridore motociclistico, subito un vincente: nel 1990 ecco il suo primo titolo italiano (125 Sport production). Due stagioni dopo, c’è l’ingaggio da parte dell’Aprilia e la conquista del titolo europeo della 250 e poi nel 1992, ventunenne, il debutto nel motomondiale nella quarto di litro ottenendo a Kyalami in Sudafrica, la sua prima vittoria in una gara iridata. Nel 1994, a 23 anni, Max vince con l’Aprilia bicilindrica 2 tempi il primo mondiale 250 giungendo primo in Australia, Malesia, Olanda, Repubblica Ceca, Catalogna e secondo in Austria, Germania, Stati Uniti, terzo in Francia. Biaggi si ripete nel 1995, 1996, 1997 vincendo la sua quarta corona iridata consecutiva della 250: una impresa riuscita nella storia del motociclismo solo al “baronetto” inglese Phil Read. Non solo. Max è subito secondo nel 1996 al suo debutto mondiale delle 500 (su Honda), ripetendosi nel 2001 (con la Yamaha) e nel 2002 in MotoGP, sempre su Yamaha. Nel 2007 il debutto con la Suzuki nel WSBK finendo terzo; nel 2010 ecco con l’Aprilia il titolo mondiale Superbike e nel 2012 il bis, sempre con l’Aprilia. E sono passati quasi 9 anni da quando il “Corsaro”, il 7 novembre 2012, annunciava, 41enne con il sesto titolo mondiale in tasca, il suo “addio alle corse”. Con la voce rotta dall’emozione e con la solita verve polemica così Biaggi motivava la sua decisione: “Ho scelto di smettere ma non ho smesso, come hanno fatto altri, per motivi fisici o perché non avevano trovato una moto competitiva. Credo di aver tolto abbastanza tempo alla mia famiglia e credo sia giusto dedicarsi a loro perché il tempo passa e non puoi fermarlo”. Così, Max Biaggi, dopo 22 stagioni iridate di gloria e di vittorie attaccava il casco al fatidico chiodo, appagato agonisticamente per i 6 titoli mondiali conquistati, pur se con l’amaro in bocca di non aver portato a casa la corona più ambita, quella della MotoGP, sfiorata almeno in due stagioni. Solo un pilota, in questa scelta dell’addio alle corse “da vincente”, può essere paragonato a Biaggi: Carlo Ubbiali, 9 titoli mondiali. Il bergamasco (classe 1929 deceduto il 2 giugno 2020), pupillo del Conte Domenico Agusta, definito nel 1959 dalla stampa inglese il “miglior pilota del mondo”, dominò la scena internazionale delle piccole e medie cilindrate per dieci anni, dal 1950 al 1960, in sella prima alla Mondial poi alla MV Agusta. A fine stagione 1960, inaspettatamente, vinti gli ultimi due titoli iridati 125 e 250, a soli 31 anni – quindi ben dieci anni meno di Biaggi – integro fisicamente e al culmine della sua carriera, annunciò il proprio ritiro. Arrivava di gran corsa un manico come Tarquinio Provini, ma bisognerà attendere Agostini per riportare in Italia titoli iridati a iosa, finalmente anche nelle due cilindrate maggiori delle 350 e 500.


Ma torniamo a Max Biaggi uomo e a Max Biaggi corridore. Persona pacata, riflessiva e alla mano, di grande sensibilità, disponibilità e umiltà, sempre pronto ad aiutare chi ne avesse bisogno e sempre in cerca di spazi personali fuori dai riflettori mettendosi davanti allo specchio per cercare risposte sul senso della vita, Max Biaggi in pista diventava “un altro”, come spinto da un inesauribile fuoco interiore, come se la corsa fosse un passaggio ad alto rischio per la redenzione, lo strumento per la scalata sociale, addirittura una “questione di vita e di morte”, non una competizione sportiva. Da qui la filosofia del corridore che vive la competizione in pista quasi come una battaglia in guerra, sulla trincea: “O spari tu per primo e vinci tu o spara per primo l’altro e tu soccombi. Con la differenza che in guerra sei costretto ad andarci e qui in pista scegli tu di venirci, spinto dalla passione per le corse e da un fuoco dentro di competizione che si spegne ogni volta solo dopo che hai passato il traguardo. E solo dopo la vittoria ti senti appagato”. Già, Max Biaggi, che qualcuno nel paddock definiva un ex “ragazzo di sagrestia”, in pista è sempre stato un pirata d’assalto, un “corsaro”, appunto, anzi “il” corsaro del motociclismo: corridore con il pugnale fra i denti e di gran talento, tutt’ora integro fisicamente e sempre motivato psicologicamente in ogni cosa che fa, come dimostra l’attività di Team manager nel mondiale Moto3 e di testimonial Aprilia - dopo essere stato protagonista in corsa per ben 22 anni. Una lunga carriera di gran lustro, coronata da sei titoli iridati conquistati grazie al manico, alla determinazione, alla tecnica, alla testa, alla maniacale pignoleria di curare ogni particolare della moto, del team, di se stesso, sempre, ovunque, comunque. Quattro mondiali conquistati nella 250 GP: 215 gare disputate, 42 vinte, 111 podi, 56 pole position, 42 giri veloci. Due mondiali nella SBK: 159 gare disputate, 21 gare vinte, 71 podi, 5 pole position, 16 giri veloci. Risultati che parlano da soli e che pongono il “Corsaro” ai vertici del motociclismo internazionale, fra i più grandi piloti di tutti i tempi, fra i più amati e anche fra i più discussi, non per il talento, caso mai per il carattere spigoloso, da “fumino”, pur se temperato dalla verve ironica ereditata da suo padre, il “Sor Pietro” deceduto il 17 maggio 2019, settantasettenne. Un “corsaro” dall’animo buono. Così scriveva Max per l’ultimo saluto a suo padre: “Non si è mai pronti per questo!/Ma ora più che mai io, non lo sono proprio/Non mi hai aspettato Papà mio/Ho provato invano ad arrivare in tempo ma ho fallito/Il mio più grande rammarico è stato quello di non essere riuscito ad abbracciarti per l’ultima volta chissà se riuscirò mai a perdonarmelo...ma conoscendomi bene lo escluderei/Tu per me ci sei stato sempre e io avrei dovuto essere lì al tuo fianco/.Ho una voragine nel cuore/. Come vorrei che oggi non fosse oggi/Perdonami/Sei e rimarrai sempre il mio Eroe/Massimiliano”.


Biaggi ha oggi un proprio forte Team nel Mondiale Moto3 e punta a portare la sua squadra in MotoGP. Ma l’istinto della belva non si cambia. La sirena ammaliante delle sfide in pista aveva riportato Biaggi nelle vesti di “corridore”, con le “Supermoto”. Una esperienza conclusa con il grave incidente dell’11 giugno 2017 sulla pista del Sagittario di Latina: schiantatosi nelle prove degli Internazionali di Supermoto classe Onroad il Corsaro veniva trasportato con l’elisoccorso in codice rosso (trauma cranico e alla spina dorsale) al San Camillo di Roma. La forte fibra del Corsaro e la benevolenza della Dea bendata hanno evitato il peggio. Ma il fuoriclasse capitolino ha ancora dentro il “sacro fuoco” della sfida e nel novembre 2020, a ridosso dei suoi primi 50 anni stupisce ancora volando sulla pista francese di Chateauroux a 408 Kmh in sella all’avveniristica moto elettrica Voxan Wattman (Gruppo Venturi) spinta dallo stesso tipo di motore della Mercedes “Formula E” e conquistando la bellezza di 12 record mondiali. Qui si vuol ricordare un’altra tappa che ha fatto la storia di questo sport. Il 26 settembre 2010, con una gara d’anticipo, e soprattutto in Italia, su un circuito mitico come quello di Imola, Max Biaggi conquista il (suo primo) titolo di campione del mondo della Superbike 2010. Dopo 22 anni di WSBK, Biaggi è così il primo pilota italiano ad aggiudicarsi il massimo alloro nelle derivate di serie, il primo titolo iridato SBK anche per l’Aprilia. Prima di Biaggi, solo un altro pilota proveniente dal Motomondiale di velocità (John Kocinsky classe 250, 1990) era riuscito nell’impresa di aggiudicarsi il titolo iridato nei due massimi campionati del motociclismo. Non è poco. Considerando anche che il pilota italiano vanta un albo d’oro di ben altro peso rispetto all’americano. Una impresa tutta italiana: del motociclismo italiano, dello sport italiano, di quel Made in Italy che non si da per vinto, che studia e lavora, che sa vincere e rende orgogliosi e onora, accumulandoli, tutti gli italiani. Biaggi, l’Aprilia (il main sponsor Alitalia) avevano vinto una sfida su cui pochi all’inizio avrebbero scommesso un euro bucato. Perché? Perché si pensava a un pilota oramai “spremuto”, a una Casa oramai “out” e, soprattutto, perché il binomio italiano doveva misurarsi in una arena da “alle cinque della sera”, con in lizza tutti i nomi della grande industria motociclistica mondiale. Sulla “collina del batticuore”, alla Rivazza di Imola gremita da 100 mila aficionados, uno striscione sintetizzava la festa: “Biaggi, orgoglio d’Italia”. E la rivalità fra Max Biaggi e Valentino Rossi? E’ stato il leitmotiv del motociclismo dalla fine degli anni ’90 a metà della prima decade del 2000, un duro e continuo scontro in pista e fuori fra due fuoriclasse l’uno opposto dell’altro in tutto, emblema delle corse-show-business. Di fatto il replay di quel che era già accaduto nel ciclismo fra Coppi e Bartali e nel motociclismo “tricolore” fra Nuvolari e Varzi, Ruffo e Ambrosini, Ubbiali e Provini, Agostini e Pasolini, qui amplificato e moltiplicato da giornali e tv e dai new media della nuove era di internet. Già la vita è una sfida, figurarsi le corse di moto in pista a 300 all’ora, dove è un attimo che salti la sottile linea fra trionfo e tragedia. E’ certo che fra Biaggi e Rossi di sfida vera si è trattato, in pista e fuori: con lo strafottente “viso d’angelo” Valentino – astro nascente – che studiava a tavolino ogni mossa per indebolire il più esperto avversario che subiva la provocazione del corpo a corpo imposto dal quasi imberbe pesarese. Il continuo assalto di Valentino faceva breccia nell’opinione pubblica anche perché, vuoi per la dea bendata avversa al “corsaro”, i risultati alla fine daranno ragione all’astro nascente di Tavullia. Ma quella rivalità, spesso oltre il limite (quante risse sfiorate!) perché – ripetiamo – voluta e orchestrata da Valentino e dal suo clan per indebolire il “corsaro” – è stata show nello show, facendo entrare il motociclismo nel cuore di tutti gli italiani e non solo. Biaggi ha sintetizzato in seguito la sua rivalità con Valentino: “ La nostra rivalità, anche molto accesa, ha giovato al nostro sport in Italia e nel mondo. Valentino è stato per me, per anni, comunque, il mio Coppi o il mio Bartali. Abbiamo poi riconosciuto e riconosciamo ognuno l’operato dell’altro, il lavoro fatto che anche a lui è riuscito molto bene, forse meglio”. Già. Storia passata, pur se sempre storia. Ma a Max già brillano le sue pupille come fosse pronto in pista per un nuovo start. Biaggi non lo dice ma pensa di volare oltre la barriera dei 500 Km/h mietendo altri record. Sognare si può. Ma il Corsaro non corre più contro il tempo: corre per fermarlo. Auguri, “Maxxé”. E grazie di tutto.