02 novembre 2021
Le Forze Armate stanno compiendo uno sforzo straordinario per contrastare la pandemia, dall’approvvigionamento alla distribuzione, dalla logistica alla somministrazione dei vaccini. Come un corpo unico stanno agendo mettendo in campo tutte le risorse umane e di know how per aiutare il Paese in questa fase delicatissima di ‘resistenza’ e resilienza. È lo strumento Difesa che ha dato una spinta propulsiva all’azione di governo, riconoscerne la validità delle azioni e l’efficacia delle conseguenze è un semplice atto di maturità sociale da parte del sistema-Paese che lavora unito, marciando verso un’unica direzione.
Per questo, usando un eufemismo militare, disarmano gli attacchi rivolti nei confronti del generale Figliuolo che con spirito di sacrificio, professionalità ed esperienza ha accettato il gravoso impegno di mettere a sistema un piano vaccinale strutturato, efficace e capace di portare il Paese in salvo con l’unica “arma” che abbiamo a disposizione: la scienza.
Criticare la divisa e quello che essa rappresenta manifesta una profonda piaga culturale. L’immagine del generale Figliuolo, invece, è lo specchio di un’Italia che funziona, operosa, animata da spirito di concretezza. Un’Italia che riesce e raggiunge, un’immagine che inorgoglisce e rassicura.
L’emergenza che da più di un anno affronta il Paese ha di certo esacerbato gli animi ma questo non giustifica disconoscere valori, storia, tradizioni, appartenenza che proprio quella divisa rappresenta. Si deve trasmettere, e questo sia compito di tutte le Istituzioni, fiducia non nell’apparato militare ma nel sistema-Difesa che si articola in una cultura militare traducibile con un semplice assioma: un approccio ai problemi pragmatico, ordinato e risolutivo.
Giorgio Mulè, Sottosegretario di Stato al Ministero della Difesa. Fonte: difesa.it
Ne è evidenza non solo la sinergia perfetta tra organi governativi/regionali e della Difesa ma l’applicazione in ambito civile di strumenti militari che hanno avuto un impatto positivo rispetto alla gestione dell’emergenza: si pensi che lo scorso 18 febbraio (con il precedente governo Conte-bis) si registrava il 3,3% di italiani vaccinati con la prima dose, il 28 marzo questo dato è passato al 12,9%. A questo mi riferisco quando parlo di cultura militare in funzione di un approccio alle emergenze: è la manifestazione plastica del “genio militare” inteso nella sua più alta accezione, ossia quella specialità delle Forze Armate, il cui compito è la realizzazione, manutenzione ordinaria e straordinaria di infrastrutture ed opere di supporto all’attività di combattimento e di risposta alle emergenze, e risiede nella capacità di rendere ordinario ciò che è straordinario nell’approccio alle emergenze, la forza positivamente disruptive della Difesa.
Ai detrattori che in questi ultimi giorni si sono affannati a criticare l’uso di parole “militari” rivolte alla pandemia da Covid (“Fuoco a tutte le polveri, Nuovo fiato alle trombe, Svolta o perderemo tutto, Chiuderemo la partita”) andrebbero forse ricordate le immagini di Bergamo, di quei camion militari che sfilavano con a bordo le salme nell’ora più buia, andrebbero forse ricordate le immagini strazianti delle terapie intensive sature, le immagini di medici e infermieri esausti da ore interminabili di lavoro in corsia, il dramma che ha vissuto il Paese non solo da un punto di vista sanitario ma anche sociale ed economico. Andrebbe loro ricordato che sì, siamo in guerra, il nemico è invisibile ma uccide. Le armi non sono i proiettili ma i vaccini. Il piano vaccinale l’ha predisposto un uomo in divisa. E funziona.