I numeri primi, i Queen e le macchine da musica

31 maggio 2022
«To me, that the distribution of primes can be so accurately represented in a harmonic analysis is absolutly amazing and incredibly beautiful. It tells of an arcane music and a secret harmony composed by the prime numbers.» (E. Bombieri, “Prime Territory” in The Sciences, sett/ott 1992)

Di Lucio Cadeddu

I numeri primi hanno da sempre affascinato matematici e scienziati in generale, perché la loro natura, pur apparentemente così semplice da comprendere - un numero è primo se si può dividere solo per 1 e per sé stesso - presenta ancora oggi un certo numero di lati oscuri e misteriosi. D’altra parte, essendo i mattoncini coi quali tutti gli altri numeri sono costruiti, comprenderne i più oscuri segreti è di fondamentale importanza. 

Il mistero più elusivo sui numeri primi riguarda la loro distribuzione tra tutti gli altri numeri. Pur essendo infiniti, come già Euclide dimostrò tra il III e il IV sec. a.C., la loro presenza si fa sempre più rarefatta via via che si considerano numeri più grandi. La conoscenza della maniera nella quale essi “appaiono” tra gli altri numeri avrebbe conseguenza pratiche notevolissime, se si pensa che diversi algoritmi di crittografia, che consentono la sicurezza delle transazioni online,  sono basati sul fatto che è estremamente difficile scomporre in fattori primi dei numeri molto grandi (su questo si basa infatti l’algoritmo RSA). 

Nella citazione in apertura, il celebre matematico italiano Enrico Bombieri (Medaglia Fields – l’equivalente del Nobel per la matematica - nel 1974 e Cavaliere di Gran Croce della Repubblica nel 2002, per citare alcune delle onorificenze delle quali è stato insignito) attribuisce a questo fatto una valenza quasi mistica, come se esistesse una musica primordiale e arcana composta utilizzando i numeri primi, quali note di una scala musicale di un ignoto Gran Compositore.

Non è un caso che il matematico Marcus du Sautoy abbia dedicato il suo famoso volume “The Music of the Primes: Searching to Solve the Greatest Mystery in Mathematics” al problema della distribuzione dei numeri primi, intitolandolo “La musica dei primi” (poi diventato “L’enigma dei numeri primi” nella versione italiana). 

In effetti, le note musicali e i numeri primi condividono la stessa natura:  come le prime sono i mattoncini elementari coi quali si costruiscono melodie e armonie, così i secondi sono gli “atomi” dell’universo, quando questo è letto e tradotto nel linguaggio della matematica di galileiana memoria.

I pitagorici, Eulero e la matematizzazione della musica

Il primo legame tra la musica e i numeri primi risale a Eulero e al suo tentativo di attribuire a determinati intervalli musicali (la distanza tra due note, che possono essere suonate simultaneamente o in sequenza) una maggiore o minore gradevolezza all’ascolto. In altre parole, si può definire un intervallo più o meno piacevole di un altro, tramite la matematica? 

L’idea non era nuova, perché già i Pitagorici, i padri della matematizzazione della musica, associarono a ogni intervallo il cosiddetto “coefficiente di armoniosità”. Ad esempio, l’ottava (es. da un do al successivo) è caratterizzata da un rapporto tra le note di 2:1, di 4:3 la quarta e di 3:2 la quinta. Detto a il numeratore del rapporto e b il denominatore, il coefficiente di armonia era dato da (a-1) + (b-1). Tale coefficiente  equivaleva a 1 nel caso dell'ottava, a 3 per la quinta e a 5 per la quarta. Per generalizzare questa idea Eulero propose di scomporre un numero nei suoi fattori primi e, mediante una legge, associare a questa scomposizione una sorta di “valore” (da egli chiamato “Gradus Suavitatis”, nel suo Tentamen novae theoriae musicae, 1739) che, nel caso degli intervalli musicali (quarta, quinta, settima, ottava etc.) sarebbe stato direttamente associabile al grado di piacevolezza dell’intervallo. Più basso il grado, più gradevole l’intervallo. Più precisamente, detti a e b numeratore e denominatore della rapporto che determina un dato intervallo, Eulero scomponeva ab in fattori primi e associava a questo prodotto il valore E(ab) = 1 + [a1(p1 -1) + a2(p2-1)+...+an(pn-1)] dove p1,…,pn sono i fattori primi del prodotto ab che compaiono a1,…,,an volte nella scomposizione. Ad esempio a 28 = 4x7 = 2x2x7 viene associato il numero E(28) = 1 + 2(2-1) + 1(7-1) = 9. Di conseguenza all’unisono (1:1) viene associato il numero 1, all’ottava il valore 2,  alla terza, alla quarta e alla quinta venivano assegnati i gradi 7, 5 e 4, in accordo con la teoria generale dell’armonia, anche se sulla quarta occorre precisare che oggi è considerata consonante (cioè gradevole) se melodica (note suonate in sequenza) e in alcuni casi dissonante se armonica (note suonate in simultanea). Occorre anche precisare che  le sensazioni di gradevolezza (consonanza) o sgradevolezza (dissonanza) fra suoni non dipendono dall’altezza in sé, ma anche dai timbri, dalle dinamiche,  dalla natura della composizione, dal sistema musicale di riferimento, dall’epoca e dalle circostanze nelle quali si colloca ogni composizione. In generale, i parametri di giudizio sono profondamente diversi nelle varie epoche, culture e generi musicali. Per approfondimenti, si può far riferimento al celebre trattato “Armonia” di Walter Piston (1989).

Il tentativo di Eulero, dunque, non era esente da imperfezioni. Il suo impegno nell’associare gradevolezza nell’ascolto a numeri, scomposti in fattori primi, resta comunque mirabile e crea il primo ponte tra note musicali, intervalli e numeri primi.

We will prime you

238 anni dopo la pubblicazione del lavoro di Eulero un altro tentativo, stavolta perfettamente riuscito e di gran successo, fu fatto per associare numeri primi e gradevolezza all’ascolto: nel 1977, Brian May, chitarrista e compositore della famosa band Queen, decise di incidere un brano che potesse coinvolgere il pubblico ai loro concerti. Fino a quel momento, il coinvolgimento degli spettatori, fisico e vocale, era evento raro, in quanto le lunghe suite delle composizioni rock dell’epoca, spesso in pieno manierismo progressive, difficilmente si prestavano a questo scopo. Nell’idea di May, il pubblico avrebbe dovuto partecipare fisicamente ai live, e non solo cantando qualche strofa o il ritornello. L’idea gli venne quando la band suonò alla Stafford's Bingley Hall a Birmingham, come egli stesso raccontò alla rivista Billboard (https://www.billboard.com/music/rock/queen-we-will-rock-you-we-are-the-champions-jock-jam-interview-7972856/):

«...a Bingley Hall il pubblico ha cantato ogni nostra canzone e quando siamo ritornati sul palco hanno continuato a cantare e poi hanno intonato l'inno del Liverpool "You'll Never Walk Alone". Era un periodo di transizione nel mondo del rock. Se andavi a vedere i Led Zeppelin e gli Who, vedevi il pubblico dimenarsi, ma non cantare. We Will Rock You era il nostro invito a farlo. Quando le luci del concerto si sono spente ho pensato: "Non dovremmo combattere questo modo di fare della gente, dovremmo sostenerlo!". Sono andato a dormire e mi sono svegliato con "We Will Rock You" nella testa. Quando sei in uno spettacolo non puoi muoverti facilmente in mezzo alla folla, ma puoi solo battere i piedi e cantare e battere le mani». 

Così, pensò di comporre un brano a cappella, facile, con una parte cantata quasi rap e un ritmo primordiale a fare da base, senza musica, ritmo da eseguire coi piedi e con le mani. Quel boom boom clap divenne il ritmo più famoso della storia del rock.  Per le prove di registrazione dell’album in produzione, il sesto album in studio “News of the World”,  pubblicato il 7 ottobre 1977, i Queen si ritrovarono in una chiesa sconsacrata nel nord di Londra che aveva un’ottima acustica. May trovò delle vecchie assi sotto una scalinata e si chiese come poterle usare per creare il ritmo. 

Una volta che il ritmo fu creato ed eseguito sulle assi in legno della vecchia chiesa, sorse il problema di registrarlo come se fosse eseguito da una folla. Fare una sovra-incisione multipla dello stesso ritmo sembrava la cosa più ovvia, ma il problema è che una folla non batte mai piedi e mani perfettamente sincronizzata. In più, ogni componente della folla si trova a una distanza diversa da un eventuale ascoltatore, pertanto il suono arriva alle orecchie con un ritardo sempre differente. Ogni componente della folla, poi, segue il ritmo con un leggero ritardo, o anticipa leggermente. La seconda soluzione più logica era dunque quella di introdurre una sorta di ritardo (tecnicamente detto delay) tra una sovra-incisione e l’altra. Oggi tutto questo si può fare facilmente via software, ma ai tempi bisognava arrangiarsi con macchine analogiche che permettessero di introdurre un certo sfasamento temporale. A complicare le cose, però, interviene il fatto che certe frequenze, ripetute a intervalli regolari di tempo - si parla dell’ordine dei millisecondi - tendono a generare le cosiddette armoniche, cioè frequenze multiple (doppie, triple e così via) della frequenza fondamentale. Ad esempio una nota grave, quale quella generata da un piede che batte su un asse in legno, potrebbe essere centrata sui 50 Hz, le sue prime armoniche si trovano a 100, 150, 200 Hz e così via. Le armoniche sono quelle frequenze che consentono di generare il cosiddetto timbro di uno strumento, per cui il classico La a 440 Hz che si usa per l’intonazione e l’accordo tra i vari strumenti, suona diverso se eseguito su un pianoforte e su un violino. Tale differenza è data dall’inviluppo delle armoniche che lo strumento genera o, se vogliamo, dallo spettro armonico tipico dello strumento. 

Monosnaps/Flickr

Il problema di May, dunque, era quello di evitare il più possibile le numerose armoniche (ed eventuali dissonanze) che si sarebbero sovrapposte utilizzando ritardi di tempo che fossero multipli di altri. May disponeva, fortunatamente, di un solido background di studi in matematica e fisica, studi che abbandonò per dedicarsi alla carriera musicale e che riprese infine nel 2007 per conseguire il dottorato in astrofisica con una tesi sulla polvere stellare, pubblicata presso l’Imperial College of Science di Londra (“A survey of radial velocities in the zodiacal dust cloud”). Grazie a questo solido background scientifico May pensò di utilizzare ritardi che fossero primi tra loro, ossia privi di divisori comuni. Per esempio 15 e 28 non hanno divisori comuni, il primo è divisibile per 3 e per 5 mentre il secondo lo è per 2 e per 7. L’idea fu poi trasferita in sala di registrazione (il Wessex Studio di Londra) per tramite di una pedana che era utilizzata per sollevare la batteria dei Sex Pistols, impegnati nello stesso momento con la registrazione del loro album “Never Mind the Bollocks”. 
 Il risultato, che può essere ascoltato nella versione definitiva del brano We will rock you, fu così convincente che ispirò una serie di prodotti commerciali che sfruttavano lo stessa intuizione matematica di May. Tuttavia, non v’è traccia, nella documentazione originale dei prodotti commerciali che hanno sfruttato questa idea, della vera paternità dell’intuizione iniziale. May ne era consapevole, come ebbe a dichiarare nel 2010 in un’intervista alla National Public Radio (https://www.npr.org/2010/08/03/128935865/queens-brian-may-rocks-out-to-physics-photography):

[…] Ora, qualche tempo dopo, qualcuno ha progettato dispositivi in grado di fare questo. Ma questo era il modo che utilizzammo noi. Quando registrammo ogni traccia, aggiungemmo un certo ritardo (delay) di lunghezza opportuna e nessuno di questi ritardi era armonicamente correlato con gli altri. Di conseguenza non c’è alcun effetto eco, tranne il suono dei boom boom clap, che si diffonde nel fronte stereofonico e persino a una certa distanza dall’ascoltatore, in maniera tale che ti senti come se fossi in mezzo a una grande folla che pesta i piedi e batte le mani."

Applicazioni commerciali

Il primo prodotto che fu progettato in maniera tale da includere la possibilità di creare ritardi con numeri primi, per ottenere la cosiddetta risonanza non armonica, fu il Lexicon PrimeTime M93, e il nome stesso richiamava l’idea matematica sottostante. Rilasciato nel 1978, cioè poco dopo la pubblicazione del brano We will rock you, è stato una vera e propria pietra miliare per i musicisti e gli studi di registrazione di tutto il mondo,  preferito da grandi artisti come Daniel Lanois (che lo utilizza ancora oggi), Brian Eno, David Byrne, Pat Metheny e Peter Gabriel. Il PrimeTime M93 e le sue evoluzioni mkII M95 e Super Prime Time M97 diventarono lo stato dell’arte delle unità di ritardo digitali, apparecchi di fatto inventati dalla Lexicon. 

Una delle caratteristiche del Prime Time era la possibilità di selezionare tempi di ritardo tra 1 e 256 ms, e quando era selezionato un valore “primo” si illuminava un apposito led, caratteristica utile perché non necessariamente l’operatore poteva conoscere tutte le coppie di numeri primi tra loro tra 1 e 128 (o fino a 256ms con un’unità di memoria aggiuntiva). Il manuale d’uso, infatti, riportava quanto segue: 

Significant amounts of recirculation at relatively small delay times will display some unnatural side effects, particularly if the delay times contain common numerical factors. M.93 incorporates three methods of combatting these effects. The first is that of setting the delays to prime number values, identified by the PRIME indicator. Relatively prime delays insure that there are no common factors and consequently a minimum number of repetitive delay patterns which contribute to unnatural side effects. [...] If the delay time selected is a prime value, the "prime" indicator will light.

In sintesi, il manuale fa riferimento agli effetti innaturali (suono “metallico” o artificiale) che si ottengono applicando ritardi piccoli o con fattori comuni (divisibili per gli stessi numeri, ad esempio 12 e 36ms). Utilizzando ritardi che sono primi tra loro, senza fattori comuni, si minimizza il numero delle ripetizioni di certe frequenze che creano l’effetto innaturale all’ascolto. 

Oggi le unità di ritardo come la Lexicon sono quasi ovunque state rimpiazzate da prodotti software che possiedono le stesse caratteristiche (più molte altre, ovviamente) visto che la maggior parte della musica viene registrata e manipolata via computer, in dominio digitale.

Tra i vari applicativi, che hanno recuperato la magia dei numeri primi dell’originale macchina Lexicon, sono da segnalare il PrimalTap (il nome richiama ovviamente la funzione) e l’unità eco Echoboy, entrambi realizzati dalla Soundtoys. Questi plug-in hanno la possibilità di segnalare all’utente quando i tempi di ritardi selezionati sono primi tra loro, esattamente come faceva il vecchio progenitore Prime Time di Lexicon. Il manuale dell’Echoboy spiega all’utente quando e perché è utile scegliere ritardi primi tra loro: 

“When the Prime Numbers switch is in the up position, delay repeats are slightly altered in time in a very special way to minimize resonance effects […]. The Prime Numbers switch is especially useful when you are using short delay times with feedback, when chorusing, flanging, or creating reverb-like effects. It keeps the repeating echoes from building up resonance that often occurs when every repeat is at exactly the same time interval.”


In sintesi, la scelta di unità di tempo prime tra loro evita che gli echi ricorsivi creino risonanze che si genererebbero se ripetute agli stessi intervalli di tempo (o loro multipli).

Conclusioni

Pensare al tentativo di legare numeri primi e gradevolezza all’ascolto, fatto da Eulero nel 1734 o ascoltare oggi We will rock you e pensare che è stata registrata utilizzando una geniale applicazione dei numeri primi fa capire quanto il linguaggio della matematica, pur restando sottotraccia, renda possibili creazioni straordinarie dell’intelletto umano e che, talvolta, la bellezza non è sempre negli occhi di chi guarda ma è nascosta in un disegno invisibile ai più.

Credits

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del gruppo di ricerca UMI TAA (Teoria dell’Approssimazione e Applicazioni). L’autore ringrazia il Maestro Ettore Carta per la collaborazione sulla teoria dell’armonia.