04.12.2023 Ginevra Leganza

Oltre l’atmosfera. La “nuova dimensione” tra scienza, arte, geopolitica e uomini straordinari

Nato a Viterbo nel 1964. Dopo aver frequentato l’Accademia Aeronautica Italia, dove consegue il diploma di pilota militare, dà avvio negli Stati Uniti a una carriera che per ben tre volte lo porterà nello Spazio. Roberto Vittori ci racconta, oggi, le professioni del futuro legate al settore aerospaziale, ci spiega l’avvento del New Space, con le sue figure iconiche: da Elon Musk a Jeff Bezos. E ancora: come e perché la superficie lunare può aiutarci a salvaguardare l’ecosistema terrestre e qual è il rapporto fra trascendenza e vita extraatmosferica.

Roberto Vittori, volendo assumere come orizzonte di proiezione i prossimi dieci-vent’anni, quali saranno i lavori legati allo Spazio? 
Partendo da oggi, bisogna anzitutto considerare che la nostra è l’era del New Space. Soprattutto negli USA, sono i privati che entrano nel settore aerospaziale. Privati talmente intraprendenti che occupano anche altri settori. Pensiamo a Elon Musk, a tutti i comparti e alle aziende che si collegano a questo nome: Tesla, X (Twitter), e soprattutto Space X, fondata nel 2002. Un’azienda che ha aperto una nuova epoca. Space X è stata il primo colosso privato nel settore spaziale. Ma dopo sono arrivate anche altre società private che investono soldi propri per andare nello Spazio, esplorarlo, utilizzare risorse fuori dall’atmosfera. Fino al 2000 lo Spazio, in qualche modo, era delle agenzie spaziali, dei governi, delle istituzioni. Dal 2000 in poi è diventato un’opportunità per i privati. E questo è il primo punto a mio avviso molto positivo perché allarga la base, aumenta le opportunità, facilita l’ingresso di giovani, l’ingresso di nuove idee e dunque di nuovi lavori. Chiaramente, essendo privati, questi soggetti sono anche imprevedibili: seguono logiche alternative a quelle delle agenzie e dei governi. Ma se tutto ciò continuerà, tra quindici vent’anni, la superficie lunare sarà un’opportunità per il pianeta stesso: ci si andrà per estrarre ossigeno, idrogeno, terre rare. E sarà una realtà che cambierà in positivo il nostro modo di concepire l’economia e l’industria.

Che discipline occorre studiare, allora? 
Direi che occorre studiarle tutte. Lo Spazio è, per così dire, una “nuova dimensione”, che necessita di esperti in materie tecniche, scientifiche, umanistiche. Per intenderci, quello che accade nel presente è simile alla scoperta di un nuovo continente nel passato. Noi stiamo scoprendo un nuovo pezzo, destinato a diventare parte della nostra quotidianità. L’unica cosa da dire è: siate pronti. Nel futuro, tutto ciò che è stato sino ad ora, sarà differente: utilizzare le risorse extraatmosferiche – intendo dire – è un qualcosa cui non siamo abituati. Io credo che bisogna essere determinati ad accettare la sfida ed essere protagonisti.

Lo Spazio è legato a scenari fantascientifici: dal cinema alla letteratura all’arte figurativa. Che legame c’è, secondo lei, tra scienza e fantascienza? 
Direi che la fantascienza aiuta a creare il ponte tra la realtà e quel che sarà. Ma il legame è appunto più profondo: coinvolge arte, scienza, tecnologia, immaginazione… Tutti ingredienti indispensabili. Noi siamo “esseri terrestri” e dunque abbiamo difficoltà a immaginarci al di fuori dell’atmosfera, a orbitare a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, ad atterrare sulla superficie lunare, magari entrando nelle caverne perché sulla superficie lunare l’uomo non può sopravvivere a lungo a causa delle radiazioni. Quello che descrivo è un mondo totalmente differente e la fantascienza è di fatto il confine tra scienza, tecnologia e immaginazione. In altre parole: essa aiuta a immaginare, e dunque a capire. E poi c’è l’arte, che mette insieme tutte le componenti dell’essere umano.

Abbiamo parlato del New Space statunitense. Come si muove l’altra grande potenza del mondo orientale, la Cina? 
Ironicamente, anche la Cina comincia la sua avventura negli anni Zero. Benché sia da sempre un attore spaziale, in origine aveva comunque un ruolo secondario. Ed è solo nel 2000, con l’avvento del New Space statunitense, che anche il Dragone decide di fare un passo successivo. Appronta un programma di esplorazione umana dello Spazio, con gli astronauti che loro chiamano taikonauti, con il proprio Soyuz – la navicella spaziale – che loro chiamano Shenzhou (il vascello divino) e con una stazione spaziale, riuscendo così a essere la prima nazione ad atterrare sul lato oscuro della Luna, ad arrivare su Marte. In vent’anni la Cina ha riprodotto tutto quello che Stati Uniti da una parte e l’allora URSS dall’altra, erano riuscite a fare. Ma c’è una debolezza: a causa dell’assetto politico stesso della potenza estremo-orientale, non c’è spazio infatti per la creatività. La Cina è condannata a rimanere vent’anni indietro rispetto al mondo statunitense, dove – tra le tante contraddizioni – personaggi particolari come Jeff Bezos e Elon Musk esistono, possono esistere.

Ci sta dicendo che il futuro ha bisogno di self-made men? 
Dico che il futuro ha necessità di dare libero sfogo alla creatività, di assumere un approccio non convenzionale. Un approccio irrituale. Perché se perseveriamo nel già-visto, anziché sperimentare, non è detto che funzioni. L’ambiente extraatmosferico non ha gravità – o ha una gravità parziale. Chi ha volato nello Spazio riesce ad avere una dimensione forte di questo tipo di differenza. Voglio dire: l’astronauta che vola a bordo della Stazione Spaziale Internazionale sa che, nello Spazio, quel che si vede e quel che si sente non correlano. Se sulla Terra tutti noi riconosciamo di essere in piedi o seduti se siamo in piedi o seduti, sulla Stazione Spaziale Internazionale non lo riconosciamo più. Il modo in cui il cervello sintetizza la realtà è totalmente differente: è un po’ come tornare bambini. Sulla superficie lunare c’è parziale gravità, sulla superficie marziana ci sono altre situazioni. Il modo in cui l’essere umano interagisce col mondo circostante cambia. E questo è quel che avviene dal punto di vista del singolo. Ma qualunque cosa io voglia fare, anche al livello economico, ha lo stesso problema.

Bisogna essere creativi sulla Terra come nello Spazio?
Io credo di sì. L’approccio classico, strutturato, top-down, non necessariamente funziona quando parliamo di Spazio. Non a caso il Congresso statunitense, già nel 1984, creò le condizioni per permettere ai privati di entrare in un settore che molti consideravano esclusivo delle forze governative. La Nasa, per fare un esempio, ha avuto un ruolo importantissimo, ma soffre di avere – come ogni altra agenzia governativa – il cosiddetto mandato. Le agenzie devono attenersi a passaggi obbligati. Per cogliere la differenza coi privati, pensiamo ancora a Elon Musk che, a un certo punto, ha deciso di andare nel mezzo del nulla, al confine col Messico, per creare una Space City. Iniziativa certamente pazza, irrituale, a seguito della quale, investendo il suo capitale, ha cominciato a costruire in serie dei lanciatori. Un approccio del genere è impensabile dal punto di vista dei governi. È per questo che realtà come la Cina, dove la libertà e la creatività sono subordinate allo Stato, non sono terreno fertile. La Cina è eccezionale nell’approccio classico, governativo, strutturato. Ma copia con vent’anni di ritardo Space X. Prima o poi riuscirà a raggiungere gli obiettivi, non c’è dubbio, ma sempre con ritardo.

Eppure, pensando al passato, quella della Stazione Spaziale Internazionale è stata la stagione di una grande cooperazione fra le nazioni, in particolare USA e Urss. Come vede, da questo punto di vista, il prossimo futuro? 
La Stazione Spaziale Internazionale è stata definita, legittimamente, come il più grande successo di cooperazione internazionale mai realizzato. Ragione per la quale il Congresso statunitense vi investì con una motivazione ufficiale, “la ricerca”, che era in realtà una finta motivazione. La ricerca, sulla Stazione, è infatti contaminata dalla presenza dell’uomo: quando l’astronauta è a bordo, per sopravvivere, ha bisogno di ventole e di sistemi. Lo stesso movimento crea e contamina la microgravità, che invece è essenziale per la scienza. Altro che ricerca. La Stazione Spaziale Internazionale deve la sua esistenza al tentativo riuscito di dialogo tra Urss e USA. E così ha funzionato perfettamente. Eccetto che per un problema: gli USA non hanno mai voluto la Cina, che è diventata così “il grande escluso”. Eppure, dal punto di vista dell’allineamento dell’allora Urss e USA, la Stazione Spaziale è talmente forte che ancor oggi ne misuriamo gli effetti. Ma questo è il passato: quello che accade oggi è un punto di non ritorno.

ISS - fonte: Nasa su Unsplash 

Ovvero? 
La Stazione Spaziale continuerà a esistere, ma ormai guardiamo oltre: guardiamo alla superficie lunare, alla superficie marziana, agli asteroidi, alla Stazione Spaziale Lunare… In altre parole: il futuro sarà focalizzato sulle risorse extraatmosferiche. Soprattutto sull’idrogeno che verrà estratto dal ghiaccio secco della superficie lunare. E sappiamo che questo tipo di interesse di certo non appartiene alla Russia, che vive grazie all’esportazione di materie prime. Mentre in occidente sappiamo che non possiamo perseverare nell’estrazione del carbone, del petrolio, distruggendo così l’ecosistema terrestre.

Quali sono gli ambiti di ricerca in cui lo Spazio si rivela essenziale per la salvaguardia dell’ecosistema? 
Prima di rispondere, vorrei precisare che “Spazio” è una parola a tratti impropria. Occorre distinguere infatti tra: orbite terrestri, superfici lunari, superficie marziana, asteroidi e quant’altro. Sono i cosiddetti domini operativi. Se io guardo alle orbite terrestri, alle orbite basse, alle piattaforme satellitari e ai servizi da piattaforme da satelliti, mi riferisco per esempio alle telecomunicazioni e all’osservazione della Terra, che mi permette di guardare incredibili immagini con precisione. E s’intende perfettamente che per sventare disastri, incendi, inquinamenti, con questa definizione, si ha una marcia in più: si ha uno slancio maggiore per comprendere e monitorare. E questo è un aspetto consolidato. Ma se invece si vuole salvaguardare il pianeta in modo nuovo, allora occorre parlare di risorse. E quindi non di orbite terrestri ma di superfici lunari. Di estrazione e non solo.

Cos’altro, oltre l’estrazione?
Dico qualcosa che è fantascienza, oggi, ma non lo sarà per sempre. E cioè che la nostra capacità industriale pesante potrebbe tranquillamente essere esportata sulla superficie lunare. La Luna potrebbe diventare la nostra zona industriale, la nostra miniera.

Fonte: Alexander Andrews su Unsplash

Suggestivo. Ma dietro questo scenario, non ci sono dei rischi? Non rischiamo di sporcare, oltre la Terra, anche lo Spazio? 
Senz’altro. Ma quando parliamo di ecosistema, è proprio l’ecosistema terrestre quello di cui parliamo. L’unico che conosciamo e che conosceranno anche i nostri figli. La Luna non ha un ecosistema: non ha acqua, non ha aria, non ci sono risorse da degradare. Nel mondo ideale terremmo tutto incontaminato, certo. Ma dovendo scegliere, posso dire che è preferibile usare le risorse extraatmosferiche piuttosto che continuare a degradare l’atmosfera con uno sfruttamento sconsiderato. Gli asteroidi e la superficie marziana sono più di là nel tempo, ma la superficie lunare è molto vicina. E non dimentichiamo che già in Italia abbiamo capacità di estrarre ossigeno dalla regolite. O che negli USA sperimentano l’estrazione dell’idrogeno dal ghiaccio secco lunare. Si tratta semplicemente di accelerare il processo.

Il mondo, oggi, vive la cosiddetta fine della pace. In tal senso, anche lo Spazio serve a farci la guerra? 
Lo Spazio è sicuramente destinato a diventare un ulteriore ambito di confronto-scontro per le risorse. Se una nazione – o un privato – comincia a estrarre idrogeno, chi ha detto che quell’idrogeno gli appartiene? La Cina, per dire, punta molto all’economia. E ha ben compreso che le risorse extraatmosferiche sono il futuro. Sono destinate a essere, non appena la tecnologia ne consentirà lo sfruttamento sistematico, terreno non di incontro ma di scontro. Pechino ha compreso, insomma, quali sono le priorità: in primis, la crescita economica. E ha altresì messo a fuoco che il futuro dell’economia mondiale dipenderà dalle risorse extraatmosferiche. Il che è difficile da metabolizzare. Ma, appunto, non è la ricerca scientifica, non è l’utilizzo dei satelliti spia: quello che fa la differenza, oggi, sono le risorse extra atmosferiche per l’economia globale.

Un’ultima questione: il rapporto Spazio-trascendenza. Che rapporto vive un astronauta con la morte? 
Posso dire che è un rapporto inesorabile. Uscire fuori dall’atmosfera è sempre, direi intrinsecamente, rischioso. E questo a prescindere dalla tecnologia. Lo Spazio è ostile, e l’uomo – per natura – non può sopravvivere nello Spazio. Perciò ha bisogno di essere protetto: ha bisogno di scafandri e navicelle spaziali. Che però possono rompersi. E questo è il punto: se si rompe una automobile, sopraggiunge il meccanico. Ma se c’è un buco in una navicella, nessuno scende a ripararla. Epperò, come in tutte le cose, una volta comprese le condizioni e il contorno, si può comunque operare con ragionevolezza.