22.06.2022 Francesco Subiaco

Ormai solo Heidegger può salvarci sull'AI

Può una AI pensare? O mettersi a ridere perché ha capito una battuta di spirito? Una macchina è capace di associare ad una parola una immagine, ad un simbolo un significato?

Queste sono solo alcune delle domande fondamentali su cui si basa lo studio dell'intelligenza artificiale e che negli ultimi anni di sviluppi e sperimentazioni non hanno più una risposta così scontata. Programmi capaci di sostituire programmatori nella realizzazione di algoritmi, algoritmi in grado di destrutturare e capire barzellette e monologhi comici, progetti in grado di associare immagini a parole chiave, non sono più solo dei bei propositi per il futuro, ma stanno diventando delle prove tecniche per rivoluzionare il nostro presente. Alphacode, Palm, Imagen, sono le rampe di lancio per una nuova e rivoluzionaria fase dello studio dell'intelligenza Artificiale, che vuole traghettare l'AI da programmi capaci di eseguire istruzioni razionali, detti Soft AI, a progetti capaci di stati senzienti, di concepire scelte coscienti, come nel caso dell'intelligenza Artificiale Generale, o AGI. Un percorso che aldilà delle apparenze di luminosa avventura conoscitiva, o di un assalto al cielo per superare i limiti della della scienza conosciuta, è ancora molto accidentato e ricco di miraggi e zone grigie. Associare immagini ad un testo, analizzare un articolo in base ad un database, portando avanti una idea di coscienza come mera imitazione o simulazione della coscienza umana, rende una macchina davvero intelligente o senziente?

Credits: Thomas Tastet su Unsplash

Per il filosofo Hubert Dreyfus, la risposta a queste domande è un netto "no". Dreyfus, tra i più interessanti studiosi del secondo Novecento che si è cimentato nell'analisi dell'AI, ha espresso la sua teoria sull'impossibilità del raggiungimento dell'AGI in testi come "Alchemy and intelligence" e "What Computers Still Can't Do: A Critique of Artificial Reason", calando le intuizioni della fenomenologia e la filosofia di Heidegger allo studio dell'AI. Una spiegazione integrale dei limiti e dell'illusioni della scienza nel creare macchine pensanti che partendo da premesse ontologiche e filosofiche sviluppa una prova ontologica-teologica dell'impossibilità dell'Agi che si basa sulla concezione del pensiero e della coscienza come una attività assoluta dell'uomo, che tramite le frange della coscienza, riesce a decifrare e a comprendere in maniera continua una esistenza caotica non basata su dati, ma su fatti, in maniera non lineare. Mentre l'essere umano immagazzina esperienza che estrae direttamente dal caos del mondo, una macchina può comprendere il mondo solo tramite l'analisi di dati, che seppure potesse estrarli non riuscirebbe a organizzarli, data la loro natura non lineare e qualitativa-sensibile, o almeno da essi non saprebbe creare nuove conoscenze. Una mancanza di intuizione e sensibilità che rendono palese la totale non sovrapponibilità del cervello con un computer da una parte e che aprono poi una altra critica che Dreyfus elabora a partire da testi come "Essere e tempo" e i "Quaderni neri". Per il pensatore di Alchemy and intelligence, l'essere dell'uomo, che è una creatura analogica al contrario dei computer, non è un essere generico o formale, ma è l'esserci heideggeriano, il Dasein, una forma di essere che è cosciente e deve confrontarsi con temi quali, una esistenza mortale e il dilemma del vivere con altri umani mentre si esiste, fondamentalmente, soli con se stessi. Una unicità dell'uomo che è data non dalla sola razionalità, ma dal fatto che la sua esistenza è in realtà un essere-per-la-morte.

Hubert Dreyfus

È la morte, e la limitatezza dell'uomo che dona un significato ed un senso, una semantica come dice Dreyfus, all'attività umana, e che lo distingue dalla Machine, nettamente, poiché essa vive una esistenza "simbolica", che in quanto non organica e non mortale, gli impedisce la coscienza ontologica del mondo, ma limita le AI ad essere un simulacro, una forma, una sintassi dell'essere umano. L'intelligenza Artificiale per Dreyfus vive una non esistenza, in quanto puramente formale, che non solo gli impediscono di comprendere realmente il mondo, ma che a causa della sua non mortalità, non permettono ad una AI una completa e vera autocoscienza. Per Dreyfus essa, quindi, è solo una emulazione dell'attività umana, rendendo vera la frase di Nicolas Gomez Davila, secondo cui la tecnica non ha accettato i sogni dell'uomo ma li ha parodiati, che vive emozioni di accompagnamento, inautentiche ed astratte, incapaci di creare stati coscienti e soprattutto l'intelligenza. Una critica quella dreyfusiana che in questi giorni di giudizi opachi sul futuro dell'AI, governati da instabili euforie, possono illuminare sulla reale entità delle innovazioni che stanno sconvolgendo il nostro tempo, ma che lo cambieranno in un modo inedito e imprevisto. 

Mostrando come sottolineò in passato Heidegger che "Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica. Di gran lunga più inquietante è che l’uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo".